sabato 25 agosto 2012

Manovra: si spara nel mucchio contro gli enti locali

Non si smentisce l’idea del Governo di dirottare il più possibile verso gli enti locali il peso delle manovre finanziarie che da anni l’Italia è chiamata ad approvare.

Su Italia Oggi del venerdì 24 agosto il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo ha rilasciato un’intervista che rivela come l’atteggiamento nei confronti degli enti locali non sia per nulla cambiato, rispetto all’era Tremonti, che ha particolarmente insistito con questa politica economica. In particolare, attraverso una configurazione del patto di stabilità estremamente penalizzante, non solo per la limitazione alla spesa, ma soprattutto per il sostanziale blocco imposto tanto ai pagamenti, quanto, come diretta conseguenza, agli investimenti. Il patto di stabilità come attualmente configurato è certamente una delle cause principali della recessione economica.

Tuttavia, dalle dichiarazioni del sottosegretario non lasciano intravedere nessun cambiamento di rotta.

Il Governo pare partire dall’assunto che una parte significativa degli enti locali abbia dei bilanci sostanzialmente falsi, tali da dissimulare una situazione di vero e proprio dissesto. Lanciando l’accusa secondo la quale molte società partecipate sarebbero lo strumento per gli aggiramenti contabili.

Come sempre, purtroppo, a Roma una volta accertati comportamenti operativi e gestionali non del tutto ortodossi (a voler essere generosi), si adottano decisioni schizofreniche e per nulla adeguate ad una vera e propria azione di riconversione della spesa.

Sarebbe, intanto, opportuno e lecito sapere quanti casi di bilanci falsi esistano, quali siano gli enti locali che se ne sono resi responsabili, quali misure siano adottate nei confronti dei politici e della dirigenza che abbiano reso possibili questi eventi. Invece, di queste fondamentali informazioni non se ne sa nulla.

Esse sono lo spunto per decisioni quanto meno discutibili, perché fanno di tutta l’erba un fascio. Come quella della “caccia alle streghe” nei confronti delle società partecipate in house, considerate – tutte – lesive del mercato e fonte di assunzioni farlocche e di contabilità falsa.

Ci si aspetterebbe dal Governo una funzione di rilevazione dati e di controllo, tale da saper distinguere il grano dal loglio ed individuare, fior da fiore, i casi di mala gestione, sui quali intervenire.

Sì, perché in non poche circostanze il Governo ed il Parlamento hanno dimostrato di saper individuare molto bene le situazioni critiche dei bilanci dei comuni. Tutti si ricordano il caso del default del comune di Catania. Ma, in quel caso, non si decise di adottare una misura drastica e trasversale, tipo “abolire i comuni”. No. Esattamente al contrario, si utilizzarono formidabili risorse pubbliche per salvare il comune di Catania e, allo stesso tempo, al sindaco fu garantita la “promozione” con un seggio al Parlamento europeo.

Insomma, stranamente in Italia, si è capaci sempre di generalizzare su disfunzioni, inefficienze e sprechi, denunciandoli mediaticamente ed attivando veri e propri lavaggi del cervello (come per la questione dell’abilizione delle province), dai quali discendono misure lineari uguali per tutti. Che, naturalmente, finiscono per penalizzare i virtuosi, scalfendo ben poco gli enti tutt’altro che rispettosi delle regole. I quali, spesso, come ricordato sopra, si vedono poi beneficiati e “perdonati”.

Alla sacrosanta domanda che ha posto al sottosegretario l’idea di ripristinare i controlli preventivi di legittimità, che, pur non essendo la soluzione finale di tutti i mali, almeno avrebbero il pregio di limitare gestioni allegre (come ha, del resto, più volte chiesto il presidente della Corte dei conti), il sottosegretario si è limitato ad osservare che per quanto la soluzione sia giusta, essa sarebbe “di difficile attuazione perché bisognerebbe cambiare il Titolo V della Costituzione”.

Insomma, una volta che si propone ad un governo “tecnico”, una soluzione altrettanto tecnica, per rimediare ad una delle maggiori e più perniciose storture delle riforme-Bassanini e della ancor più nociva riforma del Titolo V, si oppone la difficoltà della modifica della Costituzione. Eppure, sotto la spinta del Governo, il Parlamento ha approvato in un nanosecondo una riforma costituzionale, quella che impone il pareggio di bilancio, dalla quale potrebbero discendere conseguenze devastanti per l’economia del Paese.

Dunque, il Parlamento ha dimostrato di sapere modificare, eccome, la Costituzione. Non si capisce perché reintrodurre un sistema fondamentale per limitare e soprattutto prevenire casi di cattiva gestione, non vi siano gli spazi. Il sottosegretario ricorda che “Nella legge che ha introdotto l'obbligo del pareggio di bilancio abbiamo previsto l'istituzione di un'Authority per il controllo dei conti pubblici. Un organismo indipendente (sul modello del Congressional budget office americano ndr) con compiti di analisi, verifica e valutazione in materia di finanza pubblica”.

Insomma, a problemi estremamente concreti ed urgenti, il controllo preventivo di legittimità degli atti delle amministrazioni, si risponde come al solito alla “uazz’America!”, come il fantastico americano a Roma di Sordi: pallide e distorte imitazioni di strumenti operativi totalmente inadeguati al sistema amministrativo e finanziario dell’Italia. Un sistema per creare nuove authority, nuove spese e, soprattutto, risultati probabilmente deludenti quanto quelli colti (?) dall’ineffabile Civit, terreno di coltura per consulenze di aspiranti vice ministri dell’attuale Governo.

Poi, il tutto viene condito dalle rilevazioni del “supercommissario” Bondi, che ha rilevato eccessi nelle spese per servizi intermedi degli enti locali. Salvo scoprire, poi, che sono finite nel calderone delle spese intermedie quelle per i servizi sociali o, come nel caso delle province, della formazione e dei trasporti, cioè spese per nulla intermedie, ma “finali”, cioè destinate ai cittadini.

Insomma, si ha la sensazione che la guida verso i risparmi ed i tagli anche per gli enti locali sia condotta a vista, senza radar.

Altra dimostrazione? Le stime sui possibili esuberi negli enti locali. Il sottosegretario Polillo ha confermato che si pensa ve ne siano 13.000, spiegando che “i tagli si concentreranno per lo più su coloro che matureranno a breve i requisiti per la pensione. Più che esuberi, dunque, saranno prepensionamenti”.

I prepensionamenti, per i primi due-tre anni, non comportano alcun vantaggio finanziario. Ma, soprattutto, non si spiega da nessuna parte da dove discende la stima dei 13.000 “esuberi”. Del resto, la legge 135/2012 rimette ad un futuro prossimo Dpcm la disciplina per determinare la dimensione standard ottimale delle dotazioni organiche degli enti locali. In assenza di questa, come hanno fatto a stimare i 13.000 esuberi? Viene da pensare che la cifra sia stata pensata a tavolino, guardando semplicemente ai requisiti pensionistici, senza prendere minimamente in considerazione la reale situazione di esuberi. Il che fa sospettare che dal Dpcm non deriverà alcuna spinta alla razionalizzazione vera, quella che dovrebbe selezionare gli enti poco virtuosi dagli altri, sanzionando i primi a beneficio dei secondi o anche solo sgonfiando di dipendenti i primi, a beneficio delle dotazioni dei secondi.

Difficile attendersi che queste scelte, frutto di revisioni di spesa vere e seriamente ponderate, possano essere realmente adottate.

L.O.

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