sabato 6 ottobre 2012

Ritorno dei controlli, è una cosa seria? (il caso Sicilia direbbe di no)

Luigi Oliveri

Il rafforzamento dei controlli sui provvedimenti di regioni ed enti locali è un fatto in sé positivo, che va considerato necessariamente in modo positivo.

Tuttavia, nel disegno di legge relativo all’equilibrio finanziario di regioni ed enti locali sono presenti elementi di criticità molto superiori, purtoppo, al fattore positivo della riesumazione del concetto che è necessario controllare bene l’esercizio dell’azione amministrativa.

Intendiamoci. Chi scrive sostiene da anni, da sempre, che la legge 127/1997 (la legge Bassanini-2), prima e la legge costituzionale 3/2001 (la riforma del Titolo V della Costituzione), poi, che hanno eliminato dalla faccia dell’ordinamento i controlli preventivi di legittimità abbiano costituito una vera e propria sciagura per l’Italia.

E’ vero che i controlli non sono riusciti ad evitare Tangentopoli. Sono, tuttavia, altrettanto vere queste osservazioni:

a)      l’eliminazione dei controlli non poteva certo migliorare le cose;

b)      infatti, fenomeni corruttivi e di sprechi come c’erano prima, ci sono adesso e, come segnala da anni la Corte dei conti, sono aumentati;

c)      dal 2001 (anno di completa eliminazione dei controlli preventivi esterni) la spesa delle regioni è aumentata del 40% e il debito pubblico dell’Italia cresciuto di una ventina di punti;

d)      moltissime sono le amministrazioni regionali e locali con problemi di bilancio immensi e gestioni fortemente critiche e irregolari.

Se uno strumento indispensabile per garantire la legittimità e la trasparenza, oltre che l’efficacia dell’azione amministrativa, come erano i controlli, non funziona bene, forse sarebbe il caso di potenziarlo, non di eliminarlo, come si è scelto malauguratamente oltre 10 anni fa. Commettendo l’altro devastante errore di ritenere:

a)      che occorresse guardare solo “al risultato” e non alla legittimità;

b)      che sarebbe bastato il “controllo” degli elettori, da esprimere col voto, nei riguardi degli organi politici.

c)      che controlli “successivi” sugli esiti della gestione sarebbero stati sufficienti per riorientare verso la virtuosità.

Parole vuote, idee impossibili. Il tempo, purtroppo, ha dato ragione a chi ha sempre criticato queste scelte dissennate, ma nel frattempo la situazione finanziaria e ordinamentale dell’Italia è divenuta quella che conosciamo.

Per questa ragione, l’entusiasmo nascente dall’intenzione di potenziare i controlli si strozza in gola a vedere i contenuti del decreto e anche i comportamenti del Governo.

Infatti, mentre si prova ad elaborare un sistema di controlli che riconduca a legittimità e ragionevolezza la spesa degli enti territoriali, nello stesso tempo si stabilisce di assegnare alla Sicilia un contributo di 1 miliardo, a risanare il deficit accumulato da una gestione dissennata. Ripetendo, così, manovre già viste per i comuni di Catania e Roma, ad esempio. Senza che nessuno possa impedire a più dei tre quarti dei componenti dell’assemblea regionale siciliana, protagonisti della devastante crisi della regione, di ripresentarsi candidati alle prossime elezioni.

Insomma, la replica eterna del meccanismo perverso della previsione di leggi, la loro violazione, il moto di indignazione, la revisione delle leggi, ma anche il salvataggio di chi le abbia violate o, quanto meno, l’assoluta inesistenza di concrete sanzioni per la mala amministrazione e chi abbia male amministrato.

Non è esente da vizi di sostanza anche il decreto che ridisciplina i controlli degli enti locali. Sulla cui effettiva idoneità a riportare l’amministrazione entro canoni di legittimità e pieno rispetto della disciplina economica e finanziaria c’è molto da dubitare.

La ragione dell’incertezza che si esprime sta principalmente in una circostanza molto precisa: anche a causa della vigenza dell’attuale Titolo V della Costituzione (che andrebbe urgentemente e totalmente rivisto, essendo causa principale dei mali attuali, avendo favorito l’illusione devastante del “federalismo” all’italiana), si potenziano essenzialmente controlli interni, anche si prova a dare un ruolo di controllo alla Corte dei conti.

Il sistema, invece, per assicurare il rispetto dei tanti vincoli e limiti che caratterizzano l’amministrazione, impedendo che la “discrezionalità” male interpretata o l’ebbrezza per essere stati “eletti” convincano di poter assumere decisioni sempre elusive, evasive ed in violazione dei canoni normativi e di legittimità-efficacia, è di prevedere controlli esterni. Da parte di soggetti neutrali e terzi. Che non abbiano con l’ente controllato assolutamente nessun rapporto, né di nomina, meno che meno di servizio. Immaginare di attribuire a “società di revisione” o similari il compito di controllare gli atti degli enti locali e delle regioni è un errore clamoroso. Si è visto che soggetti come questi, anche profumatamente pagati, forse proprio per questa ragione non sono stati capaci di impedire i crack spaventosi di Enron, Cirio, Parmalat, banche ed assicurazioni anglosassoni.

Gli organi interni degli enti locali sono chiamati a gestire. In particolare, la dirigenza deve attendere alla gestione, rispettando la programmazione degli organi di governo. Gli atti degli uni e degli altri debbono passare un filtro esterno e terzo. Se la dirigenza controlla i propri atti o se, addirittura, la politica potesse ingerire negli atti e nei controlli, in particolare esercitando il potere di attribuire e revocare gli incarichi ai dirigenti e responsabili di servizio, il sistema dei controlli sarebbe inutile, edulcorato, depotenziato prima ancora di nascere. Come fin qui è stato. E l’esempio del ruolo dei revisori dei conti è calzante. L’organo di revisione, è osservazione oggettiva, non ha avuto mai alcuna capacità di impedire buchi di bilancio, deficit, contratti integrativi a dir poco discutibili e gestioni allegre.

Invece di cambiare decisamente direzione, il decreto si limita a “rafforzare” i controlli interni, con approcci anche eccessivamente burocratici.

Guardiamo il comma 147-bis che si introduce nel Tuel:

1. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è assicurato, nella fase preventiva della formazione dell’atto, da ogni responsabile di servizio ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità tecnica attestante la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa. È inoltre effettuato dal responsabile del servizio finanziario ed è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità contabile e del visto attestante la copertura finanziaria.

2. Il controllo di regolarità amministrativa e contabile è inoltre assicurato, nella fase successiva, secondo princìpi generali di revisione aziendale e modalità definite nell’ambito dell’autonomia organizzativa dell’ente, sotto la direzione del segretario, in base alla normativa vigente. Sono soggette al controllo le determinazioni di impegno di spesa, gli atti di accertamento di entrata, gli atti di liquidazione della spesa, i contratti e gli altri atti amministrativi, scelti secondo una selezione casuale effettuata con motivate tecniche di campionamento.

3. Le risultanze del controllo di cui al comma 2 sono trasmesse periodicamente, a cura del segretario, ai responsabili dei servizi, ai revisori dei conti e agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti, come documenti utili per la valutazione, e al consiglio comunale”.

Il primo comma prevede l’assurdo auto-controllo preventivo che il responsabile di servizio fa su se stesso. Ed anticipa, erroneamente, la funzione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria alla “fase di formazione”, quando invece interviene sull’atto già formato, allo scopo di attribuirgli efficacia, se si tratta di atto di spesa (la norma pare estendere il visto anche alle altre tipologie di atti). Una confusione ed un mero esercizio burocratico che, a ben vedere crea solo adempimenti e non cambia la sostanza. Non v’è un filtro tra la produzione dell’atto e dei suoi effetti, proprio, invece, di un serio e vero controllo preventivo, che ha lo scopo di evitare la produzione di efficacia di atti lesivi della legge, del merito e dell’efficacia.

Il secondo comma è ancora intriso dei cascami della cultura “aziendalista” all’amatriciana che da 20 anni inquina l’azione amministrativa, prevedendo controlli secondo i principi di revisione contabile, che col controllo di regolarità amministrativa hanno pochissimo a che vedere, affidandoli alla direzione del segretario. Ma anche in questo caso dell’efficacia concreta non si può che seriamente dubitare, perché:

a)      sono controlli successivi (non servono ad evitare la produzione di danni o illegittimità);

b)      restano interni ed affidati ad un soggetto debolissimo, come il segretario comunale, incaricato direttamente da sindaco e presidente della provincia, lontanissimo a quella terzietà che lo caratterizzava un tempo e che dovrebbe essere il tratto essenziale di un organo di controllo velo;

c)      è un controllo a campione, dunque, non pedissequo, che può casualmente lasciare fuori proprio gli atti meno legittimi e opportuni.

Il controllo, comunque, non porta ad alcuna conseguenza diretta. Non esiste alcuna possibilità di riforma o annullamento dell’atto, a meno che l’organo emittente sulla base dei rilievi ritenga di agire in autotutela.

Cosa c’entri, poi, nel terzo comma prevedere l’aggancio tra premio di risultati e regolarità amministrativa, proprio non lo si capisce. Ma come? Da anni si afferma che il risultato consiste è frutto del raggiungimento degli obiettivi programmati e non la valutazione della legittimità. Ed in effetti è così.

La legittimità e la regolarità sono un presupposto indispensabile, stanno prima della gestione e del risultato, non sono da valutare, ma da pretendere. La norma avrebbe un senso se l’atto illegittimo o irregolare fosse presupposto di automatiche sanzioni. Ma, allora, occorrerebbe agire in modo molto forte per eliminare definitivamente ogni legame di nomina tra organi gestionali e politici.

Inutile negare che nonostante l’autonomia operativa riconosciuta a dirigenti e responsabili di servizio, gli incarichi dirigenziali conferiti dagli organi di governo ne condizionano pesantemente detta autonomia. La quale viene praticamente annullata nei riguardi della dirigenza a tempo determinato, soprattutto e di più se incaricati sono (illegittimamente, lo si ribadisce e ripete) i funzionari interni, debolissimi di fronte a chi li coopta.

Un passo fondamentale per risanare e rimoralizzare la cosa pubblica è abbandonare per sempre la fallimentare e incostituzionale (lo ha accertato ripetutamente la Consulta) strada dello spoil system.

Occorre chiedersi che equilibrio o orientamento alla regolarità e legittimità possa avere chi viene nominato o incaricato dalla politica al preciso scopo di attuare i desiderata di questa, anche al di là dei canoni di legittimità. Ed è una domanda retorica.

Che vi sia un grave problema di indipendenza ed autonomia dei vertici amministrativi, specie se interessati dai controlli, pare essersene accorto anche il Governo, che introduce il seguente comma 2-bis nell’articolo 109 del d.lgs 267/2000: “L’incarico di responsabile del servizio finanziario di cui all’articolo 153 comma 4 può essere revocato esclusivamente in caso di gravi irregolarità riscontrate nell’esercizio delle funzioni assegnate. La revoca è disposta con Ordinanza del legale rappresentante dell’Ente, previo parere obbligatorio del Ministero dell’interno e del Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato”.

E’ chiara la preoccupazione che il responsabile dei servizi finanziari, chiamato a svolgere funzioni di controllo fondamentali non tanto per il controllo di regolarità amministrativa e contabile quanto, soprattutto, per gli equilibri finanziari, possa essere vittima di uno spoil system immotivato o, anzi, motivato dalla circostanza di non favorire manovre “spericolate”.

E’ necessario ricordare, a questo proposito, che lo spoil system e il sistema degli incarichi a contratto non è solo un potenziale elemento destabilizzante e fonte di sprechi. Uno dei comuni sull’orlo del fallimento, Reggio Calabria, per quasi otto anni ha compiuto sperperi di ogni tipo, sotto la regia di una dirigente ovviamente a contratto che una volta emerse le magagne si è anche suicidata.

Creare delle garanzie contro revoche immotivate di incarichi dirigenziali appare corretto. Per la verità è quanto già prevede l’articolo 21 del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale solo il mancato raggiungimento degli obiettivi e la violazione delle direttive possono comportare il troncamento degli incarichi anzitempo.

Il problema è cosa si intenda per raggiungimento degli obiettivi e rispetto delle direttive. Se gli uni e le altre sono rivolti a fini non coincidenti con il rispetto delle regole e dei vincoli possono scattare tra dirigenza e politica cortocircuiti che solo controlli esterni e preventivi potrebbero scongiurare.”.

Non si vede quale necessità, in un ordinamento normale, ci sarebbe di precisare in una legge che l’incarico di responsabile dei servizi finanziari possa essere revocato solo per gravi irregolarità nella gestione. Stride, per altro, con la “garanzia” apprestata al responsabile dei servizi finanziari la paradossale norma contenuta nell’articolo 1, comma 18[1], della legge 148/2011 che, invece, ha ripristinato in capo alla politica una sorta di “mano libera” nel revocare gli incarichi. E non si capisce perché non estenderla all’intero apparato di vertice, posto che, con riferimento ai controlli, ai sensi dell’articolo 147, comma 4, novellato, del d.lgs 267/2000 “Partecipano all’organizzazione del sistema dei controlli interni il segretario dell’ente, il direttore generale, laddove previsto, i responsabili dei servizi e le unità di controllo, laddove istituite”.

L’eliminazione dello spoil system e degli incarichi a contratti è necessaria, tanto quanto il ripristino di controlli esterni, per dare nuova forza ai principi del rispetto dei vincoli.

Trascuriamo di approfondire la disciplina del “controllo strategico”, uno degli istituti più inutili e fumosi. Dall’inizio degli anni ’90, bastava agganciare ad una parola gli aggettivi “manageriale”, “aziendale” e “strategico” per reggere il filo della tragicommedia dell’aziendalizzazione dell’amministrazione pubblica, che ci ha portati dove ora siamo.

Più significativa appare l’introduzione, invece, dell’articolo 147-quater relativo al controllo sulle società partecipate, ai sensi del cui comma 1 “L’ente locale definisce, secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società partecipate dallo stesso ente locale. Tali controlli sono esercitati dalle strutture proprie dell’ente locale, che ne sono responsabili”.

Si attribuisce, dunque, direttamente a strutture interne degli enti il dovere giuridico di vigilare sulle società. Il controllo operativo dovrebbe essere già garantito dalla partecipazione dei rappresentanti degli enti nei consigli di amministrazione. Ma anche in questo caso vengono fuori le magagne di nomine spesso solo politiche e di competenze non sempre appropriate e, comunque, non sempre propense alla corretta amministrazione.

Il comma 2 dell’articolo 147-quater si volge ad estendere a tutte le società, non solo quelle in house, una forte limitazione dell’autonomia gestionale, in deroga alle regole di diritto privato. Infatti, “Per l’attuazione di quanto previsto al comma 1, l’amministrazione definisce preventivamente, in riferimento all’articolo 170, comma 6, gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, secondo standard qualitativi e quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l’ente proprietario e la società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa delle società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica”.

Come dire che in mancanza dei sistemi di rilevazione, meglio non costituire o partecipare ad alcuna società. E per quelle esistenti, gli enti debbono correre a predisporre i sistemi di direzione e controllo, una sorta di piano esecutivo di gestione valevole anche per le partecipate ed un sistema informatico per la gestione dei dati contabili, gestionali ed organizzativi.

Tale sistema, ai sensi del successivo comma 3 permetterà all’ente locale di effettuare il controllo periodico sull’andamento delle società. L’ente così “analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individua le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell’ente”. Il controllo, dunque, deve essere il più possibile concomitante con la gestione. L’ammissione che gli organi di controllo interni delle società non servono a molto.

Ma, anche in questo caso, non sarebbe stato meglio prevedere organismi di controllo esterni e terzi?

Il comma 4 dispone che “i risultati complessivi della gestione dell’ente locale e delle aziende partecipate sono rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la competenza economica”. Il passaggio definitivo verso il bilancio consolidato è segnato, ma manca ancora il sistema di parificazione delle risultanze contabili, tra sistemi totalmente diversi.

Soprattutto, però, manca una norma semplice e chiara: la previsione che al primo bilancio in perdita, gli amministratori della società decadono automaticamente, non possano più svolgere incarichi pubblici per un certo numero di anni, il presidente del Tribunale nomini un commissario per risanare la società e scattino le azioni di responsabilità nei confronti delle strutture amministrative del comune e gli amministratori comunali. In assenza di chiare previsioni sulle conseguenze della finanza allegra, i controlli possono poco, specie se interni.

A questo proposito, il decreto prova ad immaginare anche uno strumento di controllo terzo ed esterno, affidandolo alle sezioni regionali della Corte dei conti, con l’articolo 148 novellato del d.lgs 267/2000, che avrà il seguente nuovo testo:

1. Le sezioni regionali della Corte dei conti verificano, con cadenza semestrale, la legittimità e la regolarità delle gestioni nonché il funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto delle regole contabili e del pareggio di bilancio di ciascun ente locale. A tal fine, il sindaco, relativamente ai comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti, o il Presidente della provincia, avvalendosi del direttore generale, quando presente, o del segretario negli enti in cui non è prevista la figura del direttore generale, trasmette semestralmente alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti un referto sulla regolarità della gestione e sull’efficacia e sull’adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato, sulla base delle Linee guida deliberate dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti; il referto è altresì inviato al Presidente del consiglio comunale o provinciale. In caso di rilevata assenza o inadeguatezza degli strumenti e delle metodologie di cui al secondo periodo del presente comma, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 e dai commi 5 e 5-bis dell’articolo 248, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano agli amministratori responsabili la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione dovuta al momento di commissione della violazione. La Corte dei conti si pronuncia entro quindici giorni dall’acquisizione della documentazione. In caso di mancata consegna della documentazione da parte degli enti entro la data prevista, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano agli amministratori responsabili le sanzioni previste dal presente articolo”.

Al di là dei problemi di costituzionalità che possono discendere dalla norma, che dovrebbe trovare in una riforma del Titolo V la sua propria radice, anch’essa presenta più di un motivo di perplessità, per quanto risulti positivo il coinvolgimento della magistratura contabile, almeno come deterrente vero contro l’amministrazione dissennata.

Le armi, tuttavia, sono contraddittorie e spuntate. La funzione di controllo non riguarderà gli atti e le singole decisioni, proprio perché questi sono ancora rimessi ai controlli interni, ma si limiterà ad un referto semestrale che avrà ad oggetto la regolarità della gestione e l’efficacia e sull’adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato. Unico elemento innovativo e dotato, potenzialmente di una certa efficacia, l’attribuzione alla Sezione autonomie della Corte del compito di tracciare le Linee guida sui controlli interni. Almeno, lo svolgimento di tali controlli non sarà lasciato alla totale improvvisazione dei singoli enti.

Tuttavia, visto che l’oggetto del controllo della Corte saranno, almeno pare, solo gli esiti dei sistemi di controllo, il pericolo che singoli atti e specifiche scelte produttive di illegittimità e danni sfuggano alle maglie sin troppo larghe di controlli. La sanzione per il mancato invio della documentazione prevista o per l’inadeguatezza è anche piuttosto severa. Ma la possibilità che siano attivati sistemi di controllo solo formalmente ineccepibili, allo scopo di passare indenni il vaglio semestrale della magistratura contabile, senza avere, tuttavia, una concreta efficacia deterrente è molto concreta.

In ogni caso, pensare di individuare nella Corte dei conti l’organo di controllo esterno appare un errore di prospettiva. Il controllo di regolarità dovrebbe essere preventivo e finalizzato all’attribuzione di efficacia al provvedimento. E’, dunque, una fase del procedimento amministrativo e deve essere svolto da un organo amministrativo.

Va benissimo che sia la Corte dei conti a definire le linee generali sull’andamento dei controlli, ma per cambiare davvero le cose, occorrerebbe costituire un organo di controllo amministrativo, indipendente, e terzo, ma funzionalmente dipendente dalla Corte dei conti.

Le amministrazioni debbono poter ricorrere avverso gli esiti del controllo, cosa che risulta impossibile contro le pronunce della magistratura amministrativa, la quale potrebbe essere chiamata a giudicare sui ricorsi come giudice di secondo grado.

Infine, il grande assente dalla ridefinizione dei controlli: la contrattazione decentrata. Uno degli elementi deflagranti della spesa corrente degli enti locali sono stati contratti decentrati totalmente irrispettosi dei vincoli e dei limiti imposti dalla legge e dalla contrattazione nazionale. Questo, perché sul contenuto dei contratti ci si è limitati a verifiche ispettive di molto successive.

Sarebbe il caso di approfittare dell’onda di riflusso che ha fatto comprendere l’indispensabilità delle verifiche, per estendere in modo espresso ad un atto, il contratto decentrato, importantissimo e foriero di spese incontrollate.

 

 

 

 

 

 







[1] 18. Al fine di assicurare la massima funzionalità e flessibilità, in relazione a motivate esigenze organizzative, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono disporre, nei confronti del personale appartenente alla carriera prefettizia ovvero avente qualifica dirigenziale, il passaggio ad altro incarico prima della data di scadenza dell'incarico ricoperto prevista dalla normativa o dal contratto. In tal caso il dipendente conserva, sino alla predetta data, il trattamento economico in godimento a condizione che, ove necessario, sia prevista la compensazione finanziaria, anche a carico del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato o di altri fondi analoghi.


3 commenti:

  1. Condivido, ma sui controlli credo siano fondamentali, se preventivi. Quelli successivi o in ogni caso le azioni di responsabilità giungono tardi, a danno già verificato. E sanzionano oggi, per fatti oroginatisi anni prima, è vero.

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  2. Penso che sia totalmente sbagliato affidare i controlli ad un organo giurisdizionale. totalmente insindacabile e pienamente discrezionale nella modalità.
    Sono anche contrario ai controlli interni, da chiunque svolti. La funzione del segretario di un ente non è quella di fare il controllore, ma di coordinare i fili.
    Occorrono controlli esterni di un organo amministrativo tecnico, composto solo da funzionari assunti per concorso, di legittimità, ma anche di merito. Controlli preventivi. Rigidissimi. Si perde tempo? Non è un problema. Meglio una ponderazione maggiore, che la gran velocità a sperperare denaro. Un milione e passa di euro per comperare fiori in Moldavia, da parte del comune di Alessandria, si sono potuti spendere perchè nessuno controllava. Nè all'interno, nè all'esterno.

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