sabato 3 novembre 2012

Taglio delle province con effetti finanziari “a sua insaputa”

Luigi Oliveri

A commento del decreto legge sul “riordino” delle province, il Governo, nel comunicato stampa relativo, ha indicato quanto segue: “Al termine di questo processo sarà possibile calcolare gli effettivi risparmi che comporterà l’intera riforma”. Lo stesso concetto è stato espresso a più riprese dal principale “fautore” del decreto, il Ministro della Funzione Pubblica, Patroni Griffi.

L’accorpamento ed il riordino delle province è presentato dal Governo, tra una stampa plaudente ed un’opinione pubblica cui è stato fatto il lavaggio del cervello in merito, come uno dei punti qualificanti della “spending review”.

Peccato che i conteggi degli effetti finanziari della legge 135/2012, effettuati dalla Ragioneria Generale, nemmeno contemplino la voce di risparmi derivanti dall’operazione sulle province. E lo stesso Governo lo ammette, come visto sopra.

La cosa appare di una gravità enorme. Le riforme, i riordini, gli interventi di modifica dell’assetto ordinamentale dello Stato hanno un senso solo se comportino risultati positivi per la cittadinanza.

Nel caso di specie, il “riordino” delle province, occorre ricordarlo, è previsto in ben due decreti legge (a 7 mesi di distanza l’uno dall’altro), espressamente adottati per l’urgenza di provvedere al risanamento delle finanze pubbliche. D’altra parte, elemento imprescindibile della legittimità costituizionale della decretazione governativa è proprio la necessità e l’urgenza.

Tali caratteristiche, oggettivamente, non pare possano per loro natura giustificare interventi sull’assetto ordinamentale dello Stato.

Il Governo, per altro, intervenendo due volte sullo stesso tema, si ripete, a 7 mesi di distanza, ha dimostrato palesemente che tutta l’urgenza evocata in realtà non esiste proprio. E già questo elemento – completamente nascosto dalla stampa generalista e dai commenti dei “tifosi” della soppressione delle province – indica che l’intervento del Governo risulta piuttosto poco legittimo sul piano costituzionale.

Però, sull’urgenza è anche possibile filosofeggiare. La necessità, invece, o c’è, o è un’invenzione.

La necessità di intervenire con decreto, adottato con tanta frettolosità che nella conferenza stampa i Ministri Patroni Griffi e Cancellieri hanno presentato una cartina geografica dell’Italia con i confini sbanchettati (senza parole…), non poteva che essere dettata dall’esigenza di reperire risparmi, da destinare alla revisione della spesa, essendo il riordino contenuto in due leggi finanziarie.

Invece, come rilevato, di risparmi non c’è nemmeno l’ombra. Solo un auspicio, un’eventualità.

Se risparmi vi saranno, sarà un’eventualità “a sua insaputa”, come ormai da molto tempo a questa parte avviene per i politici.

Potrebbero esserci, come non esserci. Il fitto mistero verrà svelato “alla fine del processo”, senza nemmeno sapere se e quando il processo sarà effettivamente finito.

Il Governo, probabilmente, è persuaso che l’accorpamento delle province sia operazione analoga alla fusione di due bottegucce di periferia: un inventario di salumi, formaggi, stoviglie, libro mastro, atto notarile e tutto risolto. Tanto è vero che pensa che la ricognizione di tutti i cespiti mobiliari e immobiliari, delle dotazioni organiche, dei rapporti giuridici, possa essere compiuta in solo 4 mesi, entro il 30 aprile 2013.

Una sottovalutazione anche tecnica (ma non sono tecnici?) delle attività da realizzare francamente sorprendente.

Certo, appare difficile accettare che un Governo, chiamato in una situazione di assoluta emergenza a risanare i conti impieghi il suo tempo (poco) e le sue risorse in un’impresa, come quella della riforma dell’assetto ordinamentale degli enti locali, con decreti d’urgenza raffazzonati e banalizzanti il problema, senza nemmeno riuscire a ricavare un centesimo di risparmi nel breve periodo, unica situazione che legittimerebbe l’urgenza di provvedere.

L’intervento, che è pesantissimo sul piano organizzativo, sarebbe stato certamente molto più accettabile se immediatamente fosse stato dimostrabile un risparmio. Magari da riversare nella spesa necessaria per salvaguardare gli esodati, oppure per rifinanziare le spese incredibilmente tagliate per l’assistenza ai malati di Sla.

Invece, nulla. L’intervento sulle province si rivela esattamente quello che è. Una manovra frettolosa, che non produce alcun risultato finanziario tangibile e plausibile nell’immediato, a dispetto del suo inserimento in una manovra finanziaria. Una semplice captatio benevolentiae nei confronti dei cittadini, impoveriti dalla crisi e della pressione fiscale, ai quali mostrare un trofeo, niente più di un simbolo. Che può interessare solo, tuttavia, quelli che davvero si contentano di poco.

Perché l’effetto, eventuale e destinato a futura memoria, del riordino delle province comunque darà risultati scarsi e deludenti. Infatti, come il Governo non ha calcolato i risparmi, sperando che il Grande Spirito aiuti a produrne, allo stesso modo non ha calcolato i costi economici del riordino. Inventari, ricognizioni, bilanci da rivedere, accorpamenti di uffici, ridisegni organizzativi, procedure – probabilmente - di esubero e relazioni sindacali avvelenate, ridefinizione dei contratti, anno 2013 perso appresso a queste attività, impossibilità di programmare a lunga scadenza, riduzione dei servizi, incertezze operative derivanti anche dall’assenza di una definizione delle funzioni, costituiranno costi rilevantissimi, non solo finanziari, ma, appunto, economici. Un lunghissimo “fermo macchina” a tutto detrimento dei servizi ai cittadini.

“Alla fine del processo” gli eventuali risparmi molto probabilmente saranno annullati da queste spese. L’unico sistema per nascondere il fallimento annunciato del riordino sarà non rilevare e non rivelare questi costi.

Il Governo poteva scegliere tra tre diverse opzioni. Lasciare le cose immutate, ma avviare già lo scorso gennaio una riforma costituzionale, ponderata e meditata. Per giungere ad una decisione razionale. Se proprio si doveva intervenire sulle province, tanto sarebbe valso eliminarle completamente ed attribuire alle regioni funzioni, competenze, dotazioni e personale. Ciò avrebbe anche facilitato l’intervento di riforma, necessario ma che il Governo non ha minimamente pensato nemmeno di progettare almeno fin’ora: la revisione della finanza locale. La logica delle economie di scala richiede che quando si riordina e si accorpa, occorre passare dal molto al poco. E’ più facile ridurre da 110 a 20 enti, ed è più facile rivedere l’assetto della finanza, spostando le risorse che lo Stato trasferisce alle province e l’imposizione tributaria, verso le regioni. Inoltre, si sarebbe evitata l’incertezza assoluta che ancora regna in merito alla titolarità delle competenze.

Una seconda opzione, consisteva nel lasciare tutto come stava, vista la complessità della riforma costituzionale e la certa irrilevanza finanziaria dell’intervento.

Una terza, in un intervento limitato ai soli costi della politica. La drastica limitazione degli organi di governo (del resto, il decreto azzera le giunte prima ancora della naturale loro scadenza), con la previsione della loro gratuità, ed il connesso divieto di avvalersi di personale di staff, addetti stampa e comunicazione, dirigenti “di fiducia”, consulenti ed esperti.

Invece, si è adottata la decisione più sbagliata, come attesta lo stesso Governo nell’ammettere che non sa se otterrà dei risparmi.

Il riordino viene propagandato come se fosse un’abolizione delle province, che invece restano, solo ridotte di numero e ridisegnate in confini aberranti, che urlano vendetta davanti alla storia e alla geografia: Pisa con Livorno e un territorio che va da Cremona a Mantova sono solo un’aberrazione.

Le province restano. Divengono più grandi, ma perdono o dovrebbero perdere funzioni e competenze. Che senso ha? Oppure, citando l’immortale Luigi Pirandello, “Ma non è una cosa seria”.

3 commenti:

  1. Il riordino delle provincie è la classica montagna che partorisce, il topolino, anzi meglio, lo scarafaggio “o’ scarafone”. Non ci volevano i professori per mettere partorire una dello “pseudo-rivoluzioni “ più assurde e prive di senso della storia repubblicana.

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