sabato 26 gennaio 2013

#lavoro pubblico. Vietato ai dirigenti eseguire delibere illegittime

I dirigenti che eroghino compensi al personale non previsti dalla contrattazione collettiva sulla base di deliberazioni della giunta rispondono personalmente del danno. Le deliberazioni degli organi di governo, se caratterizzate da profili di illegittimità che un dipendente inquadrato come dirigente deve essere in grado di rilevare quale esplicazione della propria particolare professionalità, non fanno da “copertura” all’azione gestionale, contrariamente a quanto in troppi ritengono.

Lo chiarisce in maniera estremamente piana e precisa la Corte dei conti, Iª Sezione giurisdizionale centrale d'appello, con la sentenza 14 gennaio 2013, n. 29, che conferma la condanna di un dirigente comunale per l’erogazione di compensi di produttività senza titolo.

Il caso trattato riguarda la liquidazione ad alcuni dipendenti di compensi che avevano svolto attività per l’organizzazione e svolgimento di una manifestazione di poesia, non legittimate da alcun provvedimento regolamentare e/o contrattuale.

Nella sostanza, era stato posto in essere un ibrido tra incarichi non connessi all’espletamento di mansioni lavorative obbligatorie e i perniciosissimi (e ormai aboliti dal 2000) “progetti obiettivo”, la categoria tristemente nota per la sua dannosità risaputa delle attività “extra orario d’ufficio”, pagata a forfait o, peggio, in base a tariffe orarie, senza alcun innesto nel piano esecutivo di gestione e la determinazione di indicatori di risultato a priori, misurabili a valle, ma ammantate, ex post, della copertura dell’articolo 37del Ccnl 22.1.2004, di modifica dell’articolo 18 del Ccnl 1.4.1999.

In effetti, la Sezione ha concordato col pubblico ministero nel rilevare che la liquidazione dei compensi non era stata preceduta dal “periodico processo di valutazione delle prestazioni e dei risultati, né si era tenuto conto del livello di conseguimento degli obiettivi predefiniti nel PEG, e livello di performance oggetto di specifica certificazione dal Servizio di Controllo Interno”.

Di fatto, era stato attribuito un emolumento utilizzando, di facciata, l’istituto contrattuale dei compensi per la produttività, ma per finalità diverse. In realtà evidenzia la pronuncia, lo scopo era remunerare attività pienamente rientranti in quelle istituzionali, dal momento che i dipendenti interessati operavano nel settore addetto alle manifestazioni culturali, sicchè le prestazioni svolte erano comprese nella retribuzione contrattuale.

La sentenza spiega che le attività svolte dai dipendenti, in quanto rientranti nei compiti di istituto non possono mai essere retribuite “con un compenso ad hoc, se non violando il principio di onnicomprensività della retribuzione”.

E’ il classico caso, dunque, di compensi forfettari astrattamente ricondotti a risultati, in assenza di ogni presupposto di legittimità contrattualmente previsto. L’ennesima ripetizione dell’errore di chi dimentica il principio di onnicomprensività della retribuzione e della tassativa disposizione secondo la quale sono ammessi compensi esclusivamente regolati dal Ccnl, nel rispetto delle finalità e dei vincoli da esso imposti.

Non meno classica è la difesa o, comunque, la giustificazione addotta dall’incolpato, che si è fatto scudo, in giudizio, dietro una deliberazione della giunta, che aveva approvato il “progetto” delle attività richieste ai dipendenti, sostenendo, in sostanza, che la propria attività gestionale, cioè l’approvazione del progetto e l’assegnazione del compenso ai dipendenti, fosse “necessitata”, doverosa esecuzione di una decisione dell’organo di governo.

E’ quanto di più erroneo e antigiuridico, ritenere che un’attività gestionale di competenza della dirigenza possa essere configurata come necessitata da decisioni dell’organo di governo.

Si va a cozzare irrimediabilmente con le disposizioni chiarissime dell’articolo 107 del d.lgs 267/2000:

Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico- amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”; e ancora “I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione”.

Il principio di separazione e la disposizione dell’esclusiva responsabilità dei risultati della gestione escludono qualsiasi rapporto gerarchico tra organi di governo e dirigenti. Essi, nell’attuare i programmi politico amministrativi sono “soli”, hanno la responsabilità di conseguire gli obiettivi fissati dagli organi di governo, che costituiscono i binari, ma il mezzo per raggiungere la meta lo conducono i dirigenti esclusivamente, senza intromissioni di nessuno. Non possono cedere nemmeno per un attimo la conduzione ad altri o condizionare le scelte operative a decisioni “politiche”.

Soprattutto, se un’attività gestionale è contraria alla legge o ai contratti collettivi nazionali, come nel caso di specie, una deliberazione della giunta (o del consiglio) non la rende improvvisamente legittima; né elìde la responsabilità del dirigente. E’, comunque, il dirigente ad adottare la decisione gestionale che innesca il processo ed il rapporto causa-effetto da cui deriva il danno.

In ogni caso, anche laddove la deliberazione dell’organo di governo non fosse utilizzata come schermo, in una sorta di accordo tacito tra politica e gestione, ma fosse un’autonoma iniziativa di ingerenza della politica nella gestione, la dirigenza non può in ogni caso ritenersi esente da responsabilità e chiamata ad attuare, obtorto collo, una decisione illegittima.

La magistratura contabile, sul punto, è tranciante: “Si deve infatti respingere la tesi secondo cui la legittimità di tale delibera non era sindacabile da parte dell’appellante in quanto titolare ufficio dirigenziale che la doveva eseguire. Al contrario l’emanazione degli atti di competenza del dirigente implica sempre la valutazione dell’esistenza di tutti i presupposti di fatto e di diritto, come peraltro espressamente desumibile dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) che a proposito dei compiti del responsabile del procedimento (art. 6, comma1) individua, tra gli altri, quello di accertare, in via istruttoria, i presupposti rilevanti ai fini dell’emanazione del provvedimento: principio, questo, di carattere generale relativo all’attività amministrativa certamente applicabile anche al di fuori dell’ambito statale”.

E’ un passaggio fondamentale. La dirigenza non può e non deve attuare in modo acritico le deliberazioni degli organi di governo. Troppo spesso, in presenza di situazioni di tensione per differenti valutazioni o obiettivi, si adottano decisioni “di compromesso”: la dirigenza rinuncia alla propria doverosa autonomia di azione, per lasciarsi condizionare da “direttive” che, in realtà, indicano – illegittimamente – in modo puntuale come procedere e quali atti gestionali adottare.

Ma, tutto questo, ingigantisce le illegittimità e, comunque, non mette affatto al riparo la dirigenza da responsabilità, bensì la evidenzia meglio.

Secondo la Corte dei conti, poiché i dirigenti debbono svolgere un’istruttoria piena, che coinvolga nell’analisi della regolarità e legittimità anche le eventuali deliberazioni degli organi di governo, è doveroso evidenziare i vizi delle delibere e, soprattutto, rifiutarsi di darvi corso, laddove prescrivano scelte contrarie alle norme e al buon andamento. La sentenza, sul punto, è molto chiara: “A ciò si deve aggiungere che ove si tratti, come nel caso in esame, di provvedimento attuativo di altro ritenuto illegittimo l’ufficio competente deve astenersi dall’emanarlo, fornendo semmai ragguagli all’altro organo. Per di più nel caso di specie si trattava di provvedimento relativo all’attribuzione di emolumenti, certamente di competenza dirigenziale, per cui la responsabilità dell’odierno appellante deriva dai principi di competenza e di responsabilità espressi dall’art 97, secondo comma della Costituzione: “ Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari””.

L’indicazione della magistratura contabile è fondamentale. Esattamente all’opposto di quanto si ritenga, il dirigente compulsato da un provvedimento dell’organo di governo ad adottare una certa decisione, laddove emerga che l’indicazione dell’organo di governo sia illegittima, non deve provvedere.

Al contrario, ha l’obbligo di segnalare le illegittimità e le conseguenze negative che ne discenderebbero. Il principio di “leale collaborazione” non può certo giungere a costituire un rapporto di gerarchia e soggezione della gestione a direttive politiche illegittime, sia nel merito, sia per violazione dei confini della competenza.

La Corte dei conti svela che, nel rapporto tra dirigenza e politica, non funziona il meccanismo previsto dai codici disciplinari secondo il quale i dipendenti debbono eseguire le disposizioni inerenti l'espletamento delle proprie funzioni o mansioni che gli siano impartiti dai superiori, potendo solo, se ritengano che l'ordine sia palesemente illegittimo, farne rimostranza a che l'ha impartito, dichiarandone le ragioni, ma essendo costrettu a darvi esecuzione, laddove l'ordine fosse rinnovato per iscritto.

Questa previsione non funziona e non può valere per la dirigenza e per chi svolga incarichi dirigenziali, poiché l’assenza di rapporto gerarchico con gli organi di governo esclude radicalmente la possibilità di configurare le delibere di indirizzo come “ordini”: l’autonomia dirigenziale è agli antipodi di tale impostazione.

E, comunque, i codici disciplinari stabiliscono che i dipendenti non debbano eseguire l'ordine quando l'atto sia vietato dalla legge penale o costituisca illecito amministrativo, come proprio nel caso di specie.

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