domenica 6 gennaio 2013

Legge di stabilità: limiti alle collaborazioni e concorsi per i “precari”

Non sono moltissime le norme che la legge 228/2012 (legge di stabilità per il 2013) dedica alla disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Il grosso degli interventi sul personale è stato oggetto del d.l. 95/2012, convertito in legge 135/2012. La legge di stabilità non ha infierito.

Collaborazioni esterne. Un primo ambito significativo riguardo al lavoro pubblico concerne una nuova “stretta” alle collaborazioni esterne, con l’ennesima modifica all’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001, del quale si modifica la lettera c).

E’ opportuno riportare il testo vecchio, raffrontandolo col nuovo:











 Vecchio testoNuovo testo
Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

(comma così sostituito dall'art.  46, comma 1, legge n. 133 del 2008)

 

a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

 

 

 

 

 

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

 

 

 
Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

(comma così sostituito dall'art.  46, comma 1, legge n. 133 del 2008)

 

a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Dunque, si prevede una nuova limitazione per tutte le altre forme di collaborazione esterna: è l’introduzione di un espresso divieto di rinnovare i contratti di collaborazione. Saranno ammissibili eventualmente solo proroghe.

E’ bene, dunque, soffermarsi brevemente sulla differenza intercorrente tra rinnovo e proroga, istituti troppo spesso confusi o, comunque, considerati l’uno sinonimo dell’altro.

Col rinnovo, le parti di un contratto prestano un nuovo consenso, per la stipulazione di un nuovo contratto, regolante il negozio giuridico alle stesse condizioni di uno precedentemente stipulato.

Il rinnovo, dunque, è una sorta di clonazione: è la riptezione di un negozio giuridico precedentemente instaurato, ma nuovo e autonomo rispetto al primo.

La proroga, invece, consiste semplicemente nella prestazione del consenso tra le parti a posticipare il termine di scadenza di determinate prestazioni dedotte nel medesimo contratto originario. A differenza del rinnovo, dunque, non insorge un nuovo contratto. E’ sempre lo stesso contratto, del quale si prolunga solo il termine finale. Se il rinnovo è una clonazione, la proroga è l’invecchiamento di un contratto.

Il rinnovo viene del tutto vietato, allo scopo di scongiurare il pericolo dell’inanellamento di una serie di collaborazioni esterne che, oltre a divenire il presupposto per un’illegittima precarizzazione, rivelerebbero l’assenza dei requisiti di straordinarietà e limitatezza nel tempo dell’esigenza dell’amministrazione di avvalersi di competenze esterne.

Molte volte, i vincoli soprattutto di durata delle collaborazioni esterne sono stati aggirati appunto con una serie di rinnovi. Tale prassi ora è da considerare radicalmente illegittima ed inapplicabile.

Ma anche la proroga, che rimane consentita, è possibile solo nel rispetto di precisi limiti. Le parti non sono libere di concordare una proroga a loro discrezione, ma solo:

a)                  in via eccezionale; occorrono, dunque, circostanze impreviste, imprevedibili, appunto eccezionali, non derivate da scelte od omissioni delle parti;

b)                  allo scopo di completare il progetto; dunque, la proroga serve esclusivamente per ottenere il risultato, il beneficio, la prestazione dedotta in contratto, alla quale si è obbligato il collaboratore;

c)                  per colmare ritardi nell’esecuzione delle attività non imputabili al collaboratore; pertanto, la proroga non può essere ammessa per permettere al collaboratore, inadempiente nei termini, di completare la propria prestazione. Laddove il ritardo derivasse appunto da causa del collaboratore, sarà dovere dell’amministrazione applicare tutte le sanzioni contrattualmente stabilite, ivi compreso il risarcimento del danno. La proroga deve essere ammessa, quindi, solo per impossibilità della prestazione discendente da causa non imputabile al collaboratore, secondo lo schema dell’articolo 1218 del codice civile.

In ogni caso, anche laddove si possa dare vita alla proroga, non sarà possibile incrementare l’importo del compenso inizialmente previsto. Il maggior tempo da impiegare rimane, quindi, un rischio a carico del collaboratore (su questo punto, esistono, in effetti, dubbi di legittimità costituzionale della norma).

La legge 228/2012, all’articolo 1, comma 146, introduce un ulteriore limite alle collaborazioni esterne. La norma da ultimo citata stabilisce: “Le amministrazioni pubbliche individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), possono conferire incarichi di consulenza in materia informatica solo in casi eccezionali, adeguatamente motivati, in cui occorra provvedere alla soluzione di problemi specifici connessi al funzionamento dei sistemi informatici. La violazione della disposizione di cui al presente comma è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti”.

Senza, dunque, toccare l’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001, si esclude, in termini generali, la possibilità che le pubbliche amministrazioni conferiscano incarichi di consulenza in materia informatica. Tale possibilità è limitata, anche in questa circostanza, a casi eccezionali, da motivare adeguatamente, e solo per la soluzione di problemi specifici, oggettivi, progettualmente evidenziabili, connessi col funzionamento dei sistemi.

In questo caso, l’affidamento allegro di consulenze informatiche è espressamente sanzionato con la valutabilità ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti responsabili.

Non sono toccati da questa disposizione, invece, gli appalti per l’acquisizione di servizi informatici, disciplinati dal d.lgs 163/2006.

Il comma 148 dell’articolo 1 della legge 228/2012 prevede che le norme in tema di assegnazione degli incarichi di collaborazione dovranno essere rispettate anche dalle società partecipate dalle amministrazioni locali.

“Precari”. La legge 228/2012 non ha previsto nessuna riedizione delle famigerate “stabilizzazioni” nonostante le pressanti insistenze di molti.

L’articolo 1, comma 401, della legge di stabilità, aggiunge all’articolo 35 del d.lgs 165/2001, i seguenti nuovi commi:

3-bis. Le amministrazioni pubbliche, nel rispetto della programmazione triennale del fabbisogno, nonché del limite massimo complessivo del 50 per cento delle risorse finanziarie disponibili ai sensi della normativa vigente in materia di assunzioni ovvero di contenimento della spesa di personale, secondo i rispettivi regimi limitativi fissati dai documenti di finanza pubblica e, per le amministrazioni interessate, previo espletamento della procedura di cui al comma 4, possono avviare procedure di reclutamento mediante concorso pubblico:

a) con riserva dei posti, nel limite massimo del 40 per cento di quelli banditi, a favore dei titolari di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato che, alla data di pubblicazione dei bandi, hanno maturato almeno tre anni di servizio alle dipendenze dell'amministrazione che emana il bando;

b) per titoli ed esami, finalizzati a valorizzare, con apposito punteggio, l'esperienza professionale maturata dal personale di cui alla lettera a) e di coloro che, alla data di emanazione del bando, hanno maturato almeno tre anni di contratto di collaborazione coordinata e continuativa nell'amministrazione che emana il bando.

3-ter. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro il 31 gennaio 2013, sono dettati modalità e criteri applicativi del comma 3-bis e la disciplina della riserva dei posti di cui alla lettera a) del medesimo comma in rapporto ad altre categorie riservatarie. Le disposizioni normative del comma 3-bis costituiscono principi generali a cui devono conformarsi tutte le amministrazioni pubbliche”.

Tale disposizione mette sostanzialmente a regime le previsioni a suo tempo disposte dall’articolo 17, commi 10 e seguenti, del d.l. 78/2009, convertito in legge 102/2009, che però aveva limitato la possibilità di creare percorsi agevolati nei concorsi per i precari al solo triennio 2010-2012.

La legge 228/2013, dunque, supera il limite temporale temporale inizialmente fissato, non parla più delle stabilizzazioni che ancora incidevano sulla disciplina del 2009 e, soprattutto, contiene alcune innovazioni.

Il citato articolo 17, comma 10, della legge 102/2009 prevede: “…possono bandire concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato con una riserva di posti, non superiore al 40 per cento dei posti messi a concorso, per il personale non dirigenziale in possesso dei requisiti di cui all'articolo 1, commi 519 e 558, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e all'articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244…”.

La disposizione del 2009 faceva riferimento espresso al personale non in possesso della qualifica dirigenziale, proprio perché era una disposizione tendente a chiudere l’esperienza delle stabilizzazioni, riservate, appunto, al personale non dirigente.

Come si nota, la previsione inserita a regime nell’articolo 35 del d.lgs 165/2001 e, dunque, operante come criterio generale per la disciplina dei concorsi, non limita le procedure selettive “agevolate” per i “precari” alle sole qualifiche non dirigenziali. La norma non riporta, in effetti, alcun riferimento ad alcun tipo di qualifica.

In astratto, quindi, i concorsi con percorsi agevolati potrebbero considerarsi estesi anche all’assunzione di qualifiche dirigenziali.

Non trattandosi di una “stabilizzazione”, cioè nella sostanziale trasformazione di un posto di lavoro con contratto a termine in un lavoro a tempo indeterminato, la previsione normativa potrebbe anche non suscitare particolari rilievi. Infatti, in ogni caso il lavoratore “precario” deve comunque piazzarsi utilmente in una graduatoria di un concorso pubblico, che dovrebbe essere finalizzato ad un’assunzione per un fabbisogno diverso da quello che originò l’attivazione del rapporto di lavoro “precario”. Stando, infatti, a quanto impone l’articolo 36, commi 1 e 2, del d.lgs 165/2001, le pubbliche amministrazioni possono fare fronte a fabbisogni lavorativi continuativi nel tempo esclusivamente con contratti di lavoro a tempo indeterminato, residuando la possibilità di attivare lavori flessibili solo per fabbisogni limitati nel tempo.

Il sistema dei concorsi con riserva o con punteggi specifici recide, sempre in via astratta, ogni legame tra un lavoro flessibile ed un successivo concorso. Il primo, infatti, si deve presumere sia stato attivato per un fabbisogno operativo e lavorativo ben diverso da quello cui fare fronte con quello che è oggetto della procedura concorsale.

Tutto funzionerebbe a meraviglia, se non fosse nota la tendenza tutta italiana ad aggirare le norme, per utilizzarle regolarmente a fini diversi da quelli immediatamente evincibili.

Il rischio che una facoltà ordinaria di attivare procedure concorsuali agevolate per i “precari” inneschi un sistema perverso di reclutamento nella pubblica amministrazione è molto forte. Tanto più lo è per le qualifiche dirigenziali. La dirigenza a contratto, infatti, per un non ancora sanato gravissimo vulnus alla Costituzione, si ammette sia assunta per via fiduciaria, anzi discrezionale, come ora tenta di fissare la legge 190/2012. Estendendo le procedure concorsuali agevolate ai dirigenti a termine assunti per via fiduciaria, si rende troppo forte la tentazione di creare un vero e proprio percorso di graduale stabilizzazione di “uomini di fiducia” nei gangli degli enti, mediante concorsi mirati.

L’unico freno a questo possibile meccanismo perverso (che, a ben vedere vale anche per le qualifiche non dirigenziali) è il limite percentuale – comunque piuttosto elevato – della soglia di riserva, definito nel massimo del 40% dei posti messi a concorso.

Nel caso, dunque, della lettera a) del comma 3-bis dell’articolo 35 del d.lgs 165/2001, non saranno possibili concorsi interamente riservati ai soli “precari”. Per attivare la riserva del 40% occorre che i posti messi a concorso siano almeno 3: non di frequente, negli enti locali soprattutto, si assiste a concorsi per qualifiche dirigenziali per così tanti posti.

Il fatto è che la norma si può prestare a facili fraintendimenti e violazioni, perdurando l’assenza dello strumento unico e fondamentale per limitare pericoli di mala amministrazione: i controlli preventivi di legittimità e merito, attuati da soggetti totalmente indipendenti dall’amministrazione attiva.

Andando al dettaglio della disposizione, si nota che il sistema di selezione agevolata per i precari deve essere innestato comunque nelle ordinarie misure restrittive delle possibilità di assunzione per le pubbliche amministrazioni, le quali sono sempre tenute:

-                     ad approvare la programmazione triennale del fabbisogno; nell’ambito di tale programmazione si deve evidenziare l’eventuale intenzione di avvalersi della facoltà di attivare le selezioni agevolate per i precari;

-                     a rispettare le norme vigenti di contenimento della spesa di personale: per gli enti locali soggetti al patto, il solito limite del 40% del costo delle cessazioni dell’anno precedente (sempre che il costo del personale sia diminuito e sia rispettato il patto di stabilità).

Le misure agevolate sono due. La prima è il concorso pubblico con riserva di posti nel massimo del 40% di quelli messi a bando. Il concorso deve essere pubblico, non interno. Il concorso non è riservato, cioè unicamente rivolto ai “precari”, ma aperto a tutti. Questi parametri sono fondamentali per la legittimità costituzionale della norma e per la legittimità dei bandi. Possono beneficiare della riserva solo coloro che abbiano condotto un rapporto di lavoro:

a)      subordinato (dunque non di carattere autonomo);

b)      a tempo indeterminato;

c)      della durata di almeno tre anni (non è richiesto siano continuativi);

d)      alle dipendenze della medesima amministrazione che indìce il concorso: la norma esclude, pertanto, la possibilità di cumulare tre anni di esperienza dovuti a lavori precari svolti in amministrazioni diverse (quanti rispetteranno questo indiretto limite?).

La seconda misura è quella del concorso senza riserva di posti, ma per titoli ed esami, nel quale il bando preveda un punteggio specificamente riservato:

a)                  ai medesimi soggetti che possono beneficiare del concorso con riserva di posti (lavoratori a tempo determinato con 3 anni di servizio presso la medesima amministrazione che indìce il concorso);

b)                  a coloro che alla data di emanazione del bando abbiano maturato tre anni di esperienza nell’espletamento di lavoro autonomo, sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa, sempre e solo presso la medesima amministrazione che emana il bando.

Non si può non constatare che la norma istighi le amministrazioni ad attivare sempre e comunque rapporti di lavoro flessibili nel limite dei tre anni.

Sorprendentemente, ma forse non troppo, visto che il medesimo problema si pose all’epoca delle stabilizzazioni del 2006 e 2007, le previsioni riguardanti le selezioni agevolate non si estendono ai lavoratori in somministrazione. A conferma del fatto che il “dualismo” del mercato del lavoro è frutto di una normativa sempre fin troppo selettiva e parziale.

Merita ricordare che l’articolo 1, comma 400, della legge 228 consente una discutibile “sanatoria in proroga” dei contratti “flessibili”.

Si tratta di una sanatoria, in quanto non si limita, la norma, a prorogare i contratti a termine oltre il limite dei 36 mesi fissato dall’articolo 5, comma 4-bis, del d.lgs 368/2001, ma prevede che la proroga riguardi i contratti flessibili in essere alla data del 30 novembre, i quali già superino il limite dei 36 mesi.

Come al solito, il legislatore correda molte delle sue prescrizioni con formule che richiamano la responsabilità disciplinare e/o erariale dei dirigenti. Ma, poi, interviene regolarmente attraverso disposizioni tendenti a “sanare” la violazione delle prescrizioni. L’articolo 1, comma 400, ha il duplice effetto perverso di accentuare il fenomeno di prigionia nel precariato del dipendente flessibile della pubblica amministrazione, al quale si prolunga “l’agonia” del lavoro precario, disincentivandolo da una ricerca attiva di lavoro con diverse prospettive; l’altro effetto è quello di sanare il comportamento di quei dirigenti che abbiano violato il limite dei 36 mesi di durata dei contratti, ponendovi sopra un ombrello di legittimità poco condivisibile.

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