venerdì 1 marzo 2013

La fatwa contro i dipendenti pubblici di #M5S. E' questo il "nuovo"?

Cosa distingue un pensiero democratico da uno confessionale o massimalista, da pensiero unico? La fatwa.

Il pensiero massimalista lancia sempre anatemi contro i nemici. Nemici “del popolo”, della religione, spie o pericolosi restauratori. La storia ne è piena: la piega verso il “terrore” della rivoluzione francese e le derive terrificanti del bolscevismo lo insegnano.

Siamo certamente ben lontani, in Italia, da tutto ciò. Però, alcuni proclami della prima formazione politica alla Camera sembra riecheggino qualche minuscolo atomo di quel modo di vedere e di agire.

Alcuni slogan lasciano un po’ perplessi, come “uno vale uno”. Considerando che, però, decidono solo in due, la cosa richiama sinistramente il “tutti gli animali sono uguali. Ma alcuni sono più uguali degli altri”.

Non minori perplessità desta la segmentazione della società in fazioni, distinte tra quelle “buone” e quelle “cattive”.

E’, ormai, noto quanto è stato pubblicato sul blog di Beppe Grillo, l’indomani dei risultati elettorali:

Gli italiani non votano mai a caso

Gli italiani non votano a caso, queste elezioni lo hanno ribadito, scelgono chi li rappresenta. In Italia ci sono due blocchi sociali. Il primo, che chiameremo blocco A, è fatto da milioni di giovani senza un futuro, con un lavoro precario o disoccupati, spesso laureati, che sentono di vivere sotto una cappa, sotto un cielo plumbeo come quello di Venere. Questi ragazzi cercano una via di uscita, vogliono diventare loro stessi istituzioni, rovesciare il tavolo, costruire una Nuova Italia sulle macerie. A questo blocco appartengono anche gli esclusi, gli esodati, coloro che percepiscono una pensione da fame e i piccoli e medi imprenditori che vivono sotto un regime di polizia fiscale e chiudono e, se presi dalla disperazione, si suicidano. Il secondo blocco sociale, il blocco B, è costituito da chi vuole mantenere lo status quo, da tutti coloro che hanno attraversato la crisi iniziata dal 2008 più o meno indenni, mantenendo lo stesso potere d’acquisto, da una gran parte di dipendenti statali, da chi ha una pensione superiore ai 5000 euro lordi mensili, dagli evasori, dalla immane cerchia di chi vive di politica attraverso municipalizzate, concessionarie e partecipate dallo Stato. L’esistenza di questi due blocchi ha creato un’asimmetria sociale, ci sono due società che convivono senza comunicare tra loro. Il gruppo A vuole un rinnovamento, il gruppo B la continuità. Il gruppo A non ha nulla da perdere, i giovani non pagano l’IMU perché non hanno una casa, e non avranno mai una pensione. Il gruppo B non vuole mollare nulla, ha spesso due case, un discreto conto corrente, e una buona pensione o la sicurezza di un posto di lavoro pubblico. Si profila a grandi linee uno scontro generazionale, nel quale al posto delle classi c’è l’età. Chi fa parte del gruppo A ha votato in generale per il M5S, chi fa parte del gruppo B per il Pld o il pdmenoelle. Non c’è nessuno scandalo in questo voto. E’ però un voto di transizione. Le giovani generazioni stanno sopportando il peso del presente senza avere alcun futuro e non si può pensare che lo faranno ancora per molto. Ogni mese lo Stato deve pagare 19 milioni di pensioni e 4 milioni di stipendi pubblici. Questo peso è insostenibile, è un dato di fatto, lo status quo è insostenibile, è possibile alimentarlo solo con nuove tasse e con nuovo debito pubblico, i cui interessi sono pagati anch’essi dalle tasse. E’ una macchina infernale che sta prosciugando le risorse del Paese. Va sostituita con un reddito di cittadinanza.

Nei prossimi giorni assisteremo a una riedizione del governo Monti con un altro Monti. L’ammucchiata Alfano, Bersani, Casini, come prima delle elezioni. Il M5S non si allea con nessuno come ha sempre dichiarato, lo dirò a Napolitano quando farà il solito giro di consultazioni. Il candidato presidente della Repubblica del M5S sarà deciso dagli iscritti al M5S attraverso un voto on line. Passo e chiudo. Sta arrivando la primavera. Ripeto: sta arrivando la primavera”.

Cosa si riscontra? Al di fuori di qualsiasi modalità scientifica di ricerca dei flussi elettorali, la filippica post elettorale individua due blocchi sociali:

il blocco a), composto da giovani senza un futuro, con un lavoro precario o disoccupati, spesso laureati, gli esclusi, gli esodati, coloro che percepiscono una pensione da fame e i piccoli e medi imprenditori che vivono sotto un regime di polizia fiscale;

il blocco b), composto, invece, da una gran parte di dipendenti statali, da chi ha una pensione superiore ai 5000 euro lordi mensili, dagli evasori, dalla immane cerchia di chi vive di politica attraverso municipalizzate, concessionarie e partecipate dallo Stato.

Il blocco a) è la fazione dei “buoni” quelli che hanno votato M5S. Per forza devono aver votato così, perché sono i buoni.

Il blocco b) è la fazione dei “cattivi”, quelli che hanno votato Pd e Pdl. Per forza devono aver votato così, perché sono i cattivi.

Senza bisogno di alcuna particolare indagine, è, invece, del tutto evidente che oltre un quarto della popolazione non può identificarsi in un unico blocco sociale. E’ ovvio che il movimento lanciato da Grillo abbia raccolto consensi in modo diffusissimo in tutti gli strati della popolazione.

Eppure, la fatwa è lanciata. I “nemici del popolo” individuati. Essi, al netto di pensionati d’oro ed evasori, principalmente i dipendenti pubblici. Che, dopo aver ricevuto grazie a Pietro Ichino e Renato Brunetta l’epiteto ormai indelebile di fannulloni, ora sono accomunati agli evasori.

A nulla varrà, anatema emanato, condurre i ragionamenti. La semplificazione sociale rappresentata dal messaggio, per altro, oltre a fare presa in maniera semplice sui cittadini, è molto gradita alla stampa, di ogni orientamento e tipo.

Di semplificazione sommaria si tratta, come dimostrano anche le cifre esposte un po’ a caso, per fare sensazione.

I dipendenti pubblici non sono affatto 4 milioni, ma 3,1 milioni. Non è un errore da poco. Il partito maggioritario alla Camera, che trae molte delle proprie analisi dalla cronaca e non dall’analisi concreta dei fatti, ha preso per buono che i dipendenti pubblici siano troppi: e invece l’Italia ne ha molti meno della virtuosa Germania e il loro costo è completamente in linea con quello dei Paesi principali dell’Europa, con i quali compete, come si evince dai dati delle Sezioni Unite della Corte dei conti (Relazione 2011 delle sezioni riunite in sede di controllo sul costo del lavoro pubblico[1]).

Il M5S propone, ma forse perché siamo in una fase ancora di impostazione, idee piuttosto contraddittorie. Mentre afferma che i dipendenti pubblici sono in troppi e che occorre licenziarli (non chiarisce in quale quantità), al contempo rivendica l’acqua ed i servizi pubblici, difende la scuola pubblica a discapito dei finanziamenti a quella privata, pretende la sanità pubblica, senza più regalìe a quella privata. Ragionamenti, come molti altri, del tutto condivisibili. Ma, la contraddizione c’è. Dei poco più di 3 milioni di dipendenti pubblici un terzo quasi sono i docenti delle scuole; circa 400 mila lavorano nella sanità; altre centinaia di migliaia sono parte della “immane cerchia di chi vive di politica attraverso municipalizzate, concessionarie e partecipate dallo Stato”. Si vuole difendere la scuola pubblica, ma si predica l’abolizione “immediata” delle province, che le scuole superiori le costruiscono e manutengono.

Come conciliare la pubblicizzazione, sacrosanta, dei servizi, con la scomunica dei dipendenti pubblici?

E quale concreta utilità potrebbe avere per il rilancio dell’economia l’idea di utilizzare i risparmi dal licenziamento di massa degli odiati dipendenti pubblici per finanziare il reddito di cittadinanza? Un’idea che non produce ricchezza, ma spalma una fetta di torta che rimane asfittica e stretta, creando nuovi disoccupati, i dipendenti pubblici, che poi concorrerebbero al reddito di cittadinanza.

Contro i dipendenti pubblici le proposte viste sembrano null’altro che il frutto di una sorta di rivalsa sociale: poiché vi sono molti disoccupati, invece di pensare a come rilanciare l’economia per produrre nuova ricchezza e nuovi posti di lavoro, si punta ad estendere la disoccupazione anche a strati fin qui meno colpiti. Come se moltissime delle famiglie dei dipendenti pubblici non fossero state già colpite dalla perdita del lavoro di uno dei componenti.

Non si vede, in effetti, quanto differisca questa idea da quanto già fatto in Grecia, dove gli odiati dipendenti pubblici sono stati licenziati in massa ed hanno subito decurtazioni fortissime agli stipendi, senza che ciò abbia minimamente contribuito a risanare l’economia del Paese.

Ma, soprattutto, non si vede quanto si discosti questo modo semplificato di guardare al problema, reale, della razionalizzazione del lavoro pubblico, dalle idee propugnate da Ichino e Brunetta. Siamo proprio sicuri che sia “nuovo” ripetere gli slogan di Ichino e Brunetta? Sono stati proprio così convincenti Ichino e Brunetta? E siamo proprio così sicuri che un progetto veramente innovativo della società possa fondarsi su idee di Ichino e Brunetta?



[1]  La magistratura contabile spiega, ad esempio, che la spesa complessiva per il personale sostenuta dall'Italia e i principali Stati competitori è piuttosto simile. Nel 2009, l'Italia ha incontrato una spesa di 171.905 milioni di euro, contro i 254.326 della Francia, i 177.640 della Germania, i 189.464 dell'Inghilterra e i 125.164 della Spagna. La spesa pro capite italiana è di 2.863 euro, inferiore a quella francese (3.951) e a quella inglese (3.076) e superiore a quella tedesca (2.166) e spagnola (2.731). In linea anche il peso delle retribuzioni del lavoro pubblico rispetto al Pil: sempre nel 2009, in Italia la percentuale è stata dell'11,3 per cento, in Francia del 13,2 per cento, in Germania del 7,4 per cento, in Inghilterra del 12,0 per cento, in Spagna dell'11,8 per cento, nell'area euro del 10,8 per cento e nell'area Ue dell'11,2 per cento.

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