sabato 14 settembre 2013

Rotazione dei dipendenti, strumento principale #anticorruzione #PA

L’approvazione definitiva del piano nazionale anticorruzione accende tutti i cilindri del motore per guidare alla completa attuazione delle previsioni della legge 190/2013. In particolare, ora le amministrazioni dispongono degli strumenti per proporre ed adottare il piano triennale anticorruzione entro la scadenza del 31 gennaio 2014. Per quanto, vista la ponderosità degli adempimenti richiesti, essa scadenza appaia molto probabilmente soggetta a rinvii.

Il Pna (piano nazionale anticorruzione), in particolare nel suo allegato 1, chiarisce in maniera corretta alcuni aspetti della disciplina e, soprattutto, fornisce l’indice dei contenuti del piano triennale che ciascuna amministrazione deve adottare, indicando anche le misure da utilizzare, tra le quali, particolare interesse assume quella della rotazione di dirigenti e dipendenti.

Prima di soffermare l’attenzione su di essa, è utile sottolineare alcuni passaggi estremamente importanti dell’allegato 1 al Pna.

Natura del piano triennale. Molte amministrazioni che hanno avviato i lavori per adottare i piani anticorruzione e per la trasparenza, sono incorse in un errore: hanno ritenuto che tali documenti abbiano natura e contenuti regolamentari. E spesso hanno prodotto dei regolamenti con contenuti sostanzialmente ripetitivi delle disposizioni già fissate dalla legge 190/2013 e dal d.lgs 33/2013, con poche tabelle contenenti qualche azione ed obiettivo anticorruzione e per la trasparenza.

La Civit, nella sua nuova (ed esclusiva) veste di Autorità Nazionale Anticorruzione, spiega che le cose non stanno affatto così. “Il P.T.P.C. quindi è un programma di attività, con indicazione delle aree di rischio e dei rischi specifici, delle misure da implementare per la prevenzione in relazione al livello di pericolosità dei rischi specifici, dei responsabili per l’applicazione di ciascuna misura e dei tempi. Il P.T.P.C. non è un documento di studio o di indagine, ma uno strumento per l’individuazione di misure concrete, da realizzare con certezza e da vigilare quanto ad effettiva applicazione e quanto ad efficacia preventiva della corruzione”. E precisa che rispetto alle aree di rischio “il P.T.P.C. deve identificare le loro caratteristiche, le azioni e gli strumenti per prevenire il rischio, stabilendo le priorità di trattazione”.

Dunque, non ha nulla a che vedere con i regolamenti. E’ un documento operativo, semmai da inquadrare tra quelli di programmazione e definizione di obiettivi, azioni e risultati. Ribadisce la Civit: “Il P.T.P.C. deve quindi essere strutturato come documento di programmazione, con l’indicazione di obiettivi, indicatori, misure, responsabili,  tempistica e risorse”.

Responsabilità nella redazione e gestione del piano. La legge 190/2012 ha puntato sulla figura del responsabile unico della prevenzione della corruzione per far funzionare i meccanismi di contrasto alla prevenzione.

Il legislatore ha dato l’impressione che tutto il carico gravi su questa figura, ma non poteva essere così e la Civit lo conferma in molti passaggi dell’allegato 1 al Pna.

Spiega la Civit: “Nonostante la previsione normativa concentri la responsabilità per il verificarsi di fenomeni corruttivi (art. 1, comma 12, l. n. 190) in capo al responsabile per la prevenzione, tutti i dipendenti delle strutture coinvolte nell’attività amministrativa mantengono, ciascuno, il personale livello di responsabilità in relazione ai compiti effettivamente svolti. Inoltre, al fine di realizzare la prevenzione, l’attività del i responsabile deve essere strettamente collegata e coordinata con quella di tutti soggetti presenti nell’organizzazione dell’amministrazione”.

Fondamentale, in particolare, è il ruolo della dirigenza. Secondo la Civit “tutti i dirigenti per l’area di rispettiva competenza:

  • svolgono attività informativa nei confronti del responsabile, dei referenti e dell’autorità giudiziaria (art. 16 d.lgs. n. 165 del 2001; art. 20 d.P.R. n. 3 del 1957; art.1, comma 3, l. n. 20 del 1994; art. 331 c.p.p.);

  • partecipano al processo di gestione del rischio;

  • propongono le misure di prevenzione (art. 16 d.lgs. n. 165 del 2001);

  • assicurano l’osservanza del Codice di comportamento e verificano le ipotesi di violazione;

  • adottano le misure gestionali, quali l’avvio di procedimenti disciplinari, la sospensione e rotazione del personale (artt. 16 e 55 bis d.lgs. n. 165 del 2001);

  • osservano le misure contenute nel P.T.P.C. (art. 1, comma 14, della l. n. 190 del 2012)”.


Inoltre, tutti i dipendenti dell’amministrazione partecipano al processo di gestione del rischio, osservano le misure contenute nel P.T.P.C. , segnalano le situazioni di illecito al proprio dirigente o all’ufficio dei procedimenti disciplinari, segnalano casi di personale conflitto di interessi.

Dunque, responsabilità e funzioni sono molto più diffusi di quanto uno sguardo sommario alla normativa possa lasciar pensare.

Resta, in ogni caso, l’unicità della figura del responsabile della prevenzione della corruzione, tanto che, secondo la Civit “i compiti attribuiti al responsabile non sono delegabili, se non in caso di straordinarie e motivate necessità, riconducibili a situazioni eccezionali, mantenendosi comunque ferma nel delegante la responsabilità non solo in vigilando ma anche in eligendo”.

Sono ammessi, invece, “referenti”, cioè collaboratori del responsabile anticorruzione, dotati di poteri di vigilanza e controllo molto ampi, operanti in sedi staccate in enti di specifica complessità, fermo restando il sistema di competenze e responsabilità.

Incarichi. Molto opportuna e chiarificatrice è la precisazione della Civit in merito agli incarichi non soggetti ad autorizzazione, secondo la disciplina dell’articolo 53, comma 6, del d.lgs 165/2001.

Moltissime amministrazioni hanno ritenuto di estendere a tali incarichi le disposizioni restrittive e di contrasto al cumulo di incarichi esterni nei confronti dei dipendenti pubblici. Ma si trattava di un’interpretazione del tutto sbagliata ed eccessiva.

La Civit lo chiarisce molto bene: “non deve essere oggetto di comunicazione all’amministrazione lo svolgimento di un incarico gratuito di docenza in una scuola di danza da parte di un funzionario amministrativo di un ministero, poiché tale attività è svolta a tempo libero e non è connessa in nessun modo con la sua professionalità di funzionario); continua comunque a rimanere estraneo al regime delle autorizzazioni e comunicazioni l’espletamento degli incarichi espressamente menzionati nelle lettere da a) ad f-bis) del comma 6 dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, per i quali il legislatore ha compiuto a priori una valutazione di non incompatibilità; essi, pertanto, non debbono essere autorizzati né comunicati all’amministrazione”.

Rotazione dei dipendenti. La Civit spende molto per illustrare l’importanza che ritiene rivesta la rotazione dei dirigenti e dei dipendenti, come strumento fondamentale per contrastare la corruzione.

Oggettivamente, infatti, la corruzione, intesa nel senso più ampio del reato e, cioè, come comportamenti tesi a subordinare l’interesse privato dell’attore pubblico (anche in accordo con i privati) rispetto all’interesse generale, potrebbe può essere favorita dall’incrostarsi di funzioni, responsabilità e relazioni negli stessi incarichi, non fosse altro per la confidenza e la forza dell’abitudine che emergono.

Secondo la Civit “L’alternanza tra più professionisti nell’assunzione delle decisioni e internazionale nella gestione delle procedure, infatti, riduce il rischio che possano crearsi relazioni particolari tra amministrazioni ed utenti, con il conseguente consolidarsi di situazioni di privilegio e l’aspettativa a risposte illegali improntate a collusione”.

La rotazione, pertanto, allontana il privilegio o la consuetudine e la prassi, che possono finire per favorire coloro che sono capaci di intessere relazioni con i dipendenti e dirigenti inamovibilmente inseriti in un certo ruolo, a discapito di altri. E già questo è un comportamento corruttivo, perché corrompe, lede il principio di imparzialità e parità di condizioni.

Non è un caso, sottolinea la Civit, che la legge 190/2012 si riferisca alla rotazione più volte. All’articolo 1 comma 4, lettera e), nel quale si assegna al Dipartimento della Funzione pubblica il compito di definire criteri generali per assicurare la rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti alla corruzione. All’articolo 1, comma 5, lettera b) ai sensi del quale le pubbliche amministrazioni centrali definiscono e trasmettono a Palazzo Vidoni procedure appropriate per selezionare e formare, in collaborazione con la Scuola superiore della pubblica amministrazione, i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi settori, la rotazione di dirigenti e funzionari. All’articolo 1, comma 10, lettera b), per effetto del quale il responsabile della prevenzione procede alla verifica, d’intesa con il dirigente competente, dell’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione.

Ma, la rotazione già dalla riforma Brunetta, il d.lgs 150/2009, è stata considerata come strumento fondamentale di trasparenza e contrasto alla corruzione. Infatti, è stata inserita come una delle misure gestionali proprie dei dirigenti: l’articolo 16, comma 1, lett. l quater, del d.lgs 165/2001 prevede che dirigenti, con provvedimento motivato, facciano ruotare il personale coinvolto in procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva.

Tuttavia, la rotazione dei dirigenti e del personale presenta non indifferenti profili di delicatezza e complessità, dal momento che si pone in chiaro conflitto con l’altrettanto importante principio di continuità dell’azione amministrativa, che implica la valorizzazione della professionalità acquisita dai dipendenti in certi ambiti e settori di attività. Inoltre, può costituire forte ostacolo alla rotazione anche la dimensione degli uffici e la quantità dei dipendenti operanti. La rotazione è oggettivamente più semplice laddove le risorse siano maggiori.

La Civit, però, ricorda che lo strumento della rotazione non deve essere visto come una misura da applicare acriticamente ed in modo generalizzato a tutte le posizioni lavorative. Infatti, detta misura di prevenzione del rischio di corruzione impone alcuni passaggi preliminari. In primo luogo, occorre identificare in via preventiva gli uffici e servizi che svolgono attività nelle aree a più elevato rischio di corruzione.

E’ prevalentemente in questi ambiti che la rotazione degli incarichi deve essere utilizzata come strumento tipico anti corruzione. Ovviamente, anche in settori non identificati a priori è possibile avvalersene ricorrendone i presupposti, ma come “misura” operativa e da programmare col piano triennale va connessa all’identificazione delle aree a maggior rischio.

Occorre, poi, individuare in via preventiva anche le modalità di attuazione della rotazione in modo da contemperare le esigenze dettate dalla legge con quelle dirette a garantire il buon andamento dell’amministrazione. S’è detto prima del condizionamento della dimensione della struttura, variabile fondamentale della misura della rotazione. Il piano triennale, allora, dovrà contenere criteri generali, anche fissando i tempi della rotazione. La Civit ricorda di tenere presente le disposizioni sulla partecipazione sindacale. In realtà, quest’ultimo riferimento non giova certo alla linearità del percorso da seguire. La rotazione, infatti, è qualificata, come visto prima, come potere gestionale datoriale e, come tale, l’unica relazione sindacale formale prevista è quella dell’informazione successiva, sempre, però, che sia stabilita dalla contrattazione nazionale collettiva, la quale mancherà ancora per anni.

La relazione sindacale di cui parla la Civit, dunque, non esiste. Solo su base facoltativa e volontaria, le amministrazioni potrebbero avviare una consultazione informale, nella quale tenere conto di eventuali suggerimenti dei sindacati, senza dover stipulare alcun accordo in merito.

Particolare delicatezza riveste la rotazione degli incarichi dirigenziali. Tale ambito è totalmente sottratto alla contrattazione ma, si deve ritenere, a qualsiasi tipo di relazione sindacale, essendovi una sottrazione espressa nel d.lgs 165/2001, che del resto, all’articolo 19, riconnette il conferimento degli incarichi ad elementi legati alla professionalità acquisita dai dirigenti ed ai risultati conseguiti.

Anzi, a ben vedere, la rotazione si pone in palese contrasto con i criteri fissati dal citato articolo 19 per il conferimento degli incarichi dirigenziali, giacchè detta norma punta sulla continuità, dimostrata appunto dalla competenza e dai risultati ottenuti. Difficile, in effetti, assegnare ad un dirigente valutato come competente e in grado di conseguire i risultati previsti dai programmi un incarico diverso da quello che va in scadenza. Non è, infatti, un caso che la rotazione, inizialmente prevista come ordinario sistema di attribuzione degli incarichi col d.lgs 29/1993, sia stata successivamente eliminata, proprio perché contrastante con i principi di merito e continuità dell’azione amministrativa.

La legge 190/2012 l’ha ripristinata, ma evidentemente al solo scopo di utilizzarla appunto come misura particolare, per casi di specifico rischio.

Dunque, la rotazione degli incarichi dirigenziali va regolata in modo che il metodo sia “previsto nell’ambito dell’atto generale contente i criteri di conferimento degli incarichi dirigenziali approvato dall’autorità di indirizzo politico” e, accanto, identificare “un nocciolo duro di professionalità per lo svolgimento delle attività proprie di ciascun ufficio o servizio a rischio di corruzione”, allo scopo di assicurare la continuità. Il nocciolo duro non riguarda le persone, ma le competenze. Tuttavia, come più volte rilevato, la quantità ristretta di personale può essere un rilevante problema.

La Civit spiega che “il livello di professionalità indispensabile è graduato in maniera differente a seconda del ruolo rivestito nell’unità organizzativa (responsabile o addetto)”. Tendenzialmente, è maggiormente fungibile la professionalità medio-bassa. Ma è proprio la professionalità medio-alta che generalmente si innesta in incarichi di vertice che, proprio per questo, possono rivelarsi a particolare rischio, perché è da lì che passano decisioni, spese, contratti.

Naturalmente, per garantire che la rotazione non comprometta il funzionamento degli uffici ed il patrimonio di abilità presenti, occorre coinvolgere il personale “in percorsi di formazione e aggiornamento continuo, anche mediante sessioni formative in house, ossia con l’utilizzo di docenti interni all’amministrazione, con l’obiettivo di creare competenze di carattere trasversale e professionalità che possano essere utilizzate in una pluralità di settori”. Ciò, a parità di risorse, rende più agevole la rotazione. Il problema consiste nel reperire le risorse. Ottimo il suggerimento della formazione interna, ma occorre in ogni caso tempo e capacità.

Certo, sottolinea la Civit, è possibile anche “lo svolgimento di formazione ad hoc, con attività preparatoria di affiancamento, per il dirigente neo-incaricato e per i collaboratori addetti, affinchè questi acquisiscano le conoscenze e la perizia necessarie per lo svolgimento della nuova attività considerata area a rischio”.

Resta il fatto che nei piccoli comuni o in uffici organizzati in nuclei lavorativi molto piccoli la rotazione è cosa estremamente difficile, anche perché può rompere meccanismi, sempre molto delicati, di organizzazione e relazioni reciproche. La rotazione può influire anche sul benessere dei lavoratori, fatto anche della possibilità di colleganza e intesa tra loro.

Per quanto riguarda lo specifico problema della rotazione del personale dirigenziale addetto alle aree a più elevato rischio di corruzione, la Civit indica che “la durata dell’incarico deve essere fissata al limite minimo legale”, che, comunque, è di tre anni, non poco.

Invece, per il personale non dirigenziale, secondo la Civit “la durata di permanenza nel settore deve essere prefissata da ciascuna amministrazione secondo criteri di ragionevolezza, preferibilmente non superiore a 5 anni”. Le disposizioni organizzative dovrebbero comunque anche tenere conto anche delle esigenze organizzative, tra le quali appunto spiccano quelle dimensionali.

La Civit non si sofferma su un suggerimento pratico che per gli enti o gli uffici di piccole dimensioni appare l’unico utile a contemperare la rotazione con esigenze di competenza, professionalità e continuità amministrativa: la rotazione delle pratiche. Occorre, cioè, fare in modo che i dipendenti non intessano relazioni strette o continuative sempre con gli stessi interlocutori e far esaminare pratiche e documenti da più soggetti. In questo modo, pur rimanendo fermi i dipendenti, ruotano le pratiche e si riduce il rischio di incrostazioni.

Particolarmente delicato è il problema posto dalla Civit con la seguente affermazione: “per il personale dirigenziale, alla scadenza dell’incarico la responsabilità dell’ufficio o del servizio deve essere di regola affidata ad altro dirigente, a prescindere dall’esito della valutazione riportata dal dirigente uscente”.

Il riferimento è sempre alle aree di particolare rischio, ma l’indicazione della Civit non può considerarsi accettabile.

Infatti, essa, in primo luogo, trova spunto solo nel Pna, cioè in un documento amministrativo al quale si attribuisce, in questo modo, la funzione di innovare l’ordinamento ed introdurre disposizioni giuridiche non esistenti. Non è previsto da nessuna parte, tanto meno nella legge 190/2012, che l’applicazione della misura della rotazione implichi automaticamente (anche se la Civit si affida a formule vaghe come il “di regola” per attenuare la portata della propria affermazione) la necessità di assegnare il dirigente ad altro incarico, addirittura prescindendo dalla valutazione riportata.

Tale indicazione, non sorretta dalla legge 190/2012, si pone in contrasto insanabile con l’articolo 19, comma 1, del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale “Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute […]”.

La Civit, che pure è nata per supportare le amministrazioni nei sistemi di valutazione (funzione poi “scaricata” all’Aran), dovrebbe sapere meglio di altri quale importanza rivesta la valutazione ai fini del conferimento degli incarichi dirigenziali.

Sarebbe stato molto più conforme a legge affermare, allora, che in applicazione del principio di rotazione, il sistema di valutazione deve tenere particolare conto della capacità dimostrata dal dirigente ad attuare i principi e le misure anticorruzione, fissando indicatori particolari, cui attribuire un particolare peso nella valutazione, proprio per costruire un percorso motivazionale idoneo e rispondente a legge, finalizzato a modificare l’incarico. Dalla valutazione non si può prescindere, ma si deve essere capaci di tenerla in considerazione nel giusto modo.

La Civit ricorda che agevola il processo di rotazione il potere, proprio del dirigente in qualità di datore di lavoro, di “mutare il profilo professionale di inquadramento del dipendente, nell’ambito delle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area o qualifica di appartenenza”, fondamentale per attuare la misura.

In particolare “in caso di notizia formale di avvio di procedimento penale a carico di un dipendente (ad esempio perché l’amministrazione ha avuto conoscenza di un’informazione di garanzia o è stato pronunciato un ordine di esibizione ex art. 256 c.p.p. o una perquisizione o sequestro) e in caso di avvio di procedimento disciplinare per fatti di natura corruttiva, ferma restando la possibilità di adottare la sospensione del rapporto, l’amministrazione

- per il personale dirigenziale procede con atto motivato alla revoca dell’incarico in essere ed il passaggio ad altro incarico ai sensi del combinato disposto dell’art. 16, comma 1, lett. l quater, e dell’art. 55 ter, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001;

- per il personale non dirigenziale procede all’assegnazione ad altro servizio ai sensi del citato art. 16, comma 1, lett. l quater;

- per le categorie di personale di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001 applica le misure cautelari previste nell’ambito di ciascun ordinamento e, salvo disposizioni speciali, l’art. 3 della l. n. 97 del 2001; l’applicazione della misura va valutata anche se l’effetto indiretto della rotazione comporta un temporaneo rallentamento dell’attività ordinaria dovuto al tempo necessario per acquisire la diversa professionalità”.

Poi, la Civit si riferisce alla mobilità, che, a suo dire, “specialmente se temporanea, costituisce un utile strumento per realizzare la rotazione tra le figure professionali specifiche e gli enti di più ridotte dimensioni”.

Lo stesso concetto si ritrova nell’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 24 luglio 2013, per l’applicazione della legge 190/2012 in regioni, enti locali ed enti del servizio sanitario nazionale.

Anche in questo caso, si introducono istituti giuridici per atti amministrativi, al di fuori delle previsioni di legge.

La mobilità è regolata in modo esaustivo ed esclusivo dall’articolo 30 del d.lgs 165/2001, che non contempla affatto la caratteristica della “temporaneità”, requisito immaginato senza alcuna base dalla Civit e dalla Conferenza unificata.

Un’invenzione che non suscita dubbi di legittimità, ma la certezza della sua illegittimità. Semmai, tra enti di piccole dimensioni sono possibili il distacco o incarichi a scavalco. Ma la mobilità è una cessione del contratto a titolo definitivo. A meno di non immaginare un continuo ping-pong di cessioni di contratto tra enti, che oggettivamente appare uno dei tanti rischi di iperburocratizzazione nascosti (ma non troppo) nelle norme su anticorruzione e trasparenza..

In ogni caso, la Civit indica una carta di riserva, “nel caso di impossibilità di applicare la misura della rotazione per il personale dirigenziale a causa di motivati fattori organizzativi”. E’ possibile applicare la misura “al personale non dirigenziale, con riguardo innanzi tutto ai responsabili del procedimento”. Anche se, lo si ribadisce, risulta molto più semplice e parimenti efficace (a meno di non avere evidenze di comportamenti corruttivi) la rotazione delle responsabilità dei procedimenti, più che quella dei responsabili dei procedimenti.

 

1 commento:

  1. A questo proposito, complimentandomi anche per questo blog, sempre aggiornato, segnalo volentieri questi altri due seminari, uno su anticorruzione, trasparenza e controlli e l'altro sul controllo di gestione degli enti locali.
    http://www.self-entilocali.it/anticorruzione-controlli-e-trasparenza/

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