sabato 13 settembre 2014

#province Il Fatto si accorge con buon ritardo del #caos Delrio

Il Fatto Quotidiano sostiene da anni, abbastanza acriticamente, l'assurda e inutile campagna demagogica contro le province, capitanata da Sergio Rizzo e dal Movimento 5 Stelle, che ha fornito ai governi Letta, prima e Renzi, poi, un'ottima arma populistica per fabbricarsi consenso, alle spese dell'efficienza e della razionalità.

Per mano dell'autore della riforma, l'attuale sottosegretario alla presidenza del consiglio Delrio, ma, ovviamente, soprattutto del suo folto staff di consiglieri giuridici e collaboratori, con la legge 56/2014 si è compiuto e si continua a compiere uno scempio tale, che adesso perfino Il Fatto Quotidiano se ne accorge.

In un articolo del 12 settembre firmato da La redazione (meglio non esporsi quando vi sono parziali marce indietro sulle campagne che producono flop e devastazioni come quella sulle province) si legge: "la riunione dell’11 settembre (quella della Conferenza Unificata nella quale è stato stipulato un accordo del tutto vuoto tra Stato e regioni sulla riassegnazione delle funzioni provinciali, nda) non ha sciolto il nodo sulle (ulteriori) competenze che le Regioni dovrebbero distribuire alle Province. Anzi l’incontro è terminato con la decisione che ogni Regione deciderà per sé. L’unica decisione già definitiva riguarda la tutela delle minoranze linguistiche. Per il resto bisogna aspettare ancora – come scrive il Corriere della Sera – lasciando scoperte competenze importanti come cultura, turismo e sport sulle quali è necessario un coordinamento di “area vasta” che non sia il piccolo territorio di un comune, ma neanche l’estensione di una regione nella quale ogni area ha esigenze e dinamiche diverse. Il risultato è che da semplificazione diventi ulteriore complicazione".

Un benvenuto al Fatto Quotidiano  tra quelli che hanno sempre affermato queste semplicissime ovvietà. E cioè:

a) le funzioni delle province, sia quelle qualificate dalla legge come "fondamentali" (cioè inscindibilmente connesse all'ente), sia le altre, sono funzioni comunque necessitate e non sopprimibili; sicchè, province o non province, quelle funzioni qualcuno deve comunque esercitarle;

b) lo svolgimento di quelle funzioni, anche per effetto di una "cura dimagrante" alle spese provinciali, attivata in concomitanza con la scriteriata campagna per l'abolizione delle province, prevede oggi una spesa di circa 10 miliardi; questa spesa, province o non province, qualcuno deve sostenerla;

c) anzi, a ben vedere i 10 miliardi nemmeno bastano: l'articolo de Il Fatto evidenzia come 63 province violeranno il patto di stabilità e 33 andranno in predissesto, proprio perchè in 4 anni alle province sono stati imposti tagli del 16%; tagli "veri" e non fittizi come per i comuni che, a differenza delle province, hanno alzato all'inverosimile la pressione fiscale, incrementando le entrate;

d) tanto i 10 miliardi non bastano, che le regioni hanno avvisato il Governo: potrebbero acquisire le funzioni provinciali, ma se il Governo assegni loro "ulteriori risorse": così, dunque, andrebbe a farsi benedire l'intento enunciato, ma invero impossibile, della riforma di "risparmiare miliardi da reinvestire in servizi";

e) la grandissima parte delle funzioni provinciali, fondamentali e non, esattamente come scrive (con ritardo, ma va bene così) Il Fatto Quotidiano sono di area vasta”: troppo grande per un territorio di un comune, ma troppo piccola per l’estensione di un'intera regione; del resto se le province esistono in tutti i Paesi avanzati dell'Europa (sono assenti a Cipro; e noi prendiamo ad esempio questi avanzatissimi Paesi...), compresa la virtuosissima Germania alla quale ci si ispira sempre ad ogni starnuto, qualche ragione organizzativa, logistica, istituzionale ci sarà. Solo i demagoghi o i preparatissimi componenti dello staff tecnico giuridico di Delrio, evidentemente, hanno una visione diversa, sicuramente migliore, anche se, purtroppo, non coincidente con i fatti e la realtà;

f) tutto si risolve, come sempre, con ritardo (ma ben venga) si accorge Il Fatto Quotidiano , nella circostanza che la riforma Delrio tutto è fuorchè una semplificazione, bensì una complicazione. Aggiungiamo, un disastro, un caos, dal quale per riprendersi ci vorranno anni.

Per quanto le province esistano e non costituiscano alcun problema nei Paesi competitori dell'Italia, in effetti niente potrebbe vietare di eliminarle.

L'assurdo della legge Delrio non è, infatti, la loro abolizione, anche perchè la legge Delrio non abolisce assolutamente nulla. E sia chiaro: anche la modifica della Costituzione si limita solo a cancellare la parola province dalla Carta. Ma questo, non significa abolirle! l'Inps, l'Aci, le unioni di comuni, altri enti che ciascuno può ricordare, non sono previsti dalla Costituzione, ma esistono, operano, lavorano, spendono.

L'assurdo della legge Delrio è la creazione di un caos istituzionale senza alcuna razionalità. Si introducono le città metropolitane. Nessuno si è accorto che esse potranno delegare le funzioni ai comuni, i quali comuni, a loro volta, potranno delegarne altre alle città stesse, le quali, disporranno di alcune competenze totalmente sovrapposte a quelle delle regioni; infatti i "governatori" non vedono affatto di buon occhio enti che vanno in diretta concorrenza tra loro.

Il sistema di ripartizione delle competenze ex provinciali, poi, prevede che lo Stato assegni ai comuni le funzioni provinciali disciplinate da norme attribuite alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Questa previsione era già contenuta nella spending review di Monti del 2012, che demandava a un Dpcm l'elencazione di tali competenze. Dopo oltre 2 anni quell'elenco non è mai stato redatto. Nella riunione della Conferenza Unificata ove stipulare l'accordo Stato-Regioni sulle funzioni provinciali, lo Stato ha scoperto di disporre di potestà normativa solo sulla funzione infinitesimale e nemmeno spettante a tutte le province della "tutela delle minoranze linguistiche".

Il grosso (grasso che cola, qualcuno direbbe) delle funzioni provinciali da redistribuire tra altri enti, allora, lo avranno le regioni. Ma, praticamente, non esiste un criterio serio. Mentre l'accordo Stato-regioni lascia che ciascuna regione faccia come creda (con la felicità di cittadini e imprese, che a Brescia si ritroveranno con una certa organizzazione istituzionale e al di là del Lago di Garda, a Verona, con una completamente diversa, per la stessa materia...), comunque, si evince che le regioni potranno acquisire le competenze, oppure darle ai comuni oppure ancora... alle province! E l'accordo, per altro, prevede anche che alle province restino le funzioni non fondamentali strettamente coordinate e connesse con quelle fondamentali. E vai a capire sulla base di quali elementi saranno definite queste connessioni. Ad esempio, la formazione professionale è connessa con l'istruzione? Sembrerebbe di sì, ma qualcuno potrebbe anche dire no.

Da qui il caos, la disorganizzazione, il "va bene tutto" che discende da una riforma talmente dissennata da aver immaginato che possa essere "semplificazione" e "razionalizzazione" immaginare di traslare le funzioni di 107 enti (le province), frammentandole tra altri 8100 comuni, 390 unioni di comuni, 10 città metropolitane e 20 regioni.

E per quanto riguarda la funzione strategica e importantissima delle politiche attive per il lavoro, svolta fino ad oggi dalle province? Non ci ha capito niente nessuno. Sicchè, l'accordo Stato-regioni mette questa materia in naftalina. Poichè, infatti, è in corso l'altra cervellotica riforma del Jobs Act che in maniera disordinata e velleitaria parla, forse, della creazione di un'Agenzia nazionale per il lavoro, in attesa che tutto ciò venga in essere, intanto i servizi per il lavoro restano alle province, un po' per celia, un po' per non morire.

Come, poi, lo Stato pensi di riuscire a garantire che i 7.700 dipendenti provinciali circa impiegati nei servizi per il lavoro transitino tutti tra non meno di 2-3 anni verso l'Agenzia, è da capire. E' chiaro che comunque sommovimenti organizzativi (disorganizzativi) deriveranno dalla pessima riforma Delrio. Tanti dipendenti provinciali sono in predicato di andare in mobilità (nelle settimane scorse sono anche stati letteralmente "sparati" numeri assurdi da Il Messaggero, che ha parlato di 30.000 dipendenti, cifra senza alcun senso e realismo). Chi può impedire ai dipendenti dei centri per l'impiego di trasmigrare verso altre amministrazioni?

Caos su caos, disorganizzazione su disorganizzazione. Un sistema di legiferare per tentativi, che in realtà si rivela da subito inefficiente, inutile e velleitario, ma solo per chi guardi con disincanto. Per mesi e mesi lo scempio delle province ha trovato solo supporto e trionfalismo anche da parte di voci critiche e rigorose come quelle de Il Fatto Quotidiano che solo ora, leggendo in profondità norme e accordi attuativi, forse si sta accorgendo che appoggiare acriticamente campagne basandosi solo sui "titoli" come "aboliamo le province" non sempre produce buoni risultati.

2 commenti:

  1. Figuriamoci se i giornalisti capiscono qualcosa! L'importante è fare l'articolo ad effetto: ieri era l'abolizione delle province, oggi è che l'abolizione non funziona, domani sarà di nuovo abolizione (vera) per poi dire che era meglio prima ed ora si spende di più. Uno schifo! Ma litaliano medio non legge e capisce nulla: a lui sta bene qualsiasi cosa, purchè si legga sui giornali di tagli e lacrime e sangue (per gli altri ovviamente!).

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  2. Vista la legge Delrio, bastava applicarla: poche funzioni alle “nuove province”, queste ultime accorpate al comune capoluogo, addio agli uffici personale, ufficio acquisti uffico informatica ecc e mobilità del personale in esubero verso altri enti (almeno al Nord, tutti con carenze grosse di organici). LE ALTRE FUNZIONI ALLA REGIONE, e le poche,possibili ai comuni
    Ma la cocciutaggine, la presunzione della Regione Emilia-Romagna e della Lombardia, nel voler ridare tutte le funzioni alla “area vaste” sigh !!! con i soldi dei contribuenti, non quelli dei loro assessori all’organizzazioni, credo abbiano determinato l’accordo che produce il caos ben descritto dal Dott. Olivieri e dal fatto quotidiano. E credo che ben alleata sia stata la burocarzia del ministiro dell’interno, che con lo “svuotamento” delle province avrebbe visto una più rapida riduzione dei 110 posti di prefetto, questore, ecc e così anche per altri ministeri.
    Per chiudere, pochè nessuno ne parla, esiste anche l’agricoltura, che è uguale dalla Vetta d’Italia a Lampedusa, si occupa delle stsse materie, quasi esclusivamente regolamenti comunitari, svolge funzioni tecniche ed ispettive, che hanno un minimo di efficenza solo a livello Regionale.
    La regione Veneto non ha mai dato alle Province competenze rilevanti nel settore Agricoltura, ha approfittato della Legge Delrio per togliere le poche rimaste alle povince, ha unificato le sedi e risparmiato 900.000 Euro solo di affitti e utenze. La Regione Lombradia, la regione Emilia Romagna lvogliono lasciare a tutti i costi l’attuazione del nuovo piano di sviluppo rurale 2014-2020 (fra i pochi soldi veri a disposizione del paese) a queste disastrate province, e così, a macchia di leopardo, in tutta Italia.
    Niente e nessuno riesce a fare qualcosa perchè una funzione trovi applicazione uniforme in tutto il paese, anzi nonostante la crisi ed il degrado amministrativo in cui siamo coinvolti, si teorizza la “bellezza” della scelta di lasciare ad ogni Regione la decisione su come procedere
    Grazie per lo spazio
    Andrea Marini

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