domenica 19 ottobre 2014

#leggedistsbilità Vae victis alle #regioni l'ukaze della stampa e le soluzioni mistificatorie #tasse

Le regioni, questa volta, hanno commesso un errore: si sono messe contro il premier. E, in questa fase della vita italiana, pensarla anche leggerissimamente diversamente  a quanto detta il premier (per quanto risulti estremamente difficile stare dietro ad un pensiero continuamente cangiante) significa attirarsi immediatamente gli strali inferociti della stampa. La quale, forse anche se non richiesta dall'Autorità, si sente comunque nel dovere imprescindibile di attaccare a testa bassa chiunque si azzardi a manifestare un pensiero, magari banale, ma non "allineato".
E' così, dunque, che da qualche giorno, da quando, cioè, sono venute fuori le "bozze" del disegno di legge di stabilità (l'ennesima norma che il Consiglio de ministri approva senza conoscerne testo e contenuti) e le regioni hanno appreso del taglio da 4 miliardi loro imposto, i giornali hanno iniziato la campagna che negli ultimi tre anni hanno riservato alle province: regiones delendae sunt, le regioni debbono essere eliminate, anzi, distrutte e con disdoro.
Domenica 19 ottobre si registra quasi un'apoteosi dell'attacco alle regioni: non solo giornali "allineati" come Il Messaggero e Il Gazzettino hanno scaricato gragnuole di ganci ed uppercut alle regioni, ma anche un quotidiano più autonomo, come Il Fatto, non si è potuto sottrarre al coro contrario alle regioni, visto che l'argomento attira curiosità, lettori e vendite.
Non che, in realtà, i media si accorgano solo oggi del fatto, denunciato da tempo, che dall'entrata in vigore della legge costituzionale 3/2001, la famigerata riforma del Titolo V della Costituzione, le regioni abbiano incrementato del 45% la propria spesa, e del 25% quella socio-sanitaria. Tuttavia, mentre prima si trattava di inchieste connesse a fatti e questioni specifiche, questo o quello scandalo, la storia pochissimo commendevole dei rimborsi e delle spese dei consiglieri regionali (il caso Fiorito su tutti).
Tuttavia, adesso il registro è cambiato. I media, allo scopo di sostenere e dare manforte al prmier, sfoderano l'arma dell'insostenibilità del costo complessivo delle regioni. E, dunque, al di là di fatti gravissimi, ma in parte anche grotteschi e pittoreschi, come appunto quelli di Batman, sottolineano che 20 regioni sono troppe, che il costo medio del personale è il più alto di tutte le amministrazioni territoriali ed anche più alto di molte "ricche" amministrazioni centrali, che il costo medio per abitante è eccessivo, che i "governatori" sono come piccoli feudatari che svolgono anche impropria attività estera, che vi sono troppe e inutili sedi regionali all'estero, che le regioni hanno la partecipazione in migliaia di società ed enti di più che dubbia utilità. La conclusione non è, per ora, esattamente quella di abolire le regioni, come chiesto a squarciagola per le province, ma di ridurne il numero. Da 20 a 7, rispolverando vecchi studi e muovendo paragoni con i Lander tedeschi.
Simmetricamente, si rafforzano anche le pressioni della stampa verso la riduzione del numero dei comuni, dando risalto alla proposta di Fassino di accorpare tutti i comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti.
Sono idee certamente affascinanti e, come quella di abolire le province, sicuramente di "presa" mediatica ed elettorale molto forte. "Le famiglie hanno già pagato, ora paghino le regioni" è una frase ad effetto, priva di significato, perchè le regioni pagano, se pagano, con i soldi delle famiglie, ma certamente colpisce i cuori e gli animi di tanti che non sanno esattamente contro chi indignarsi.
Sta di fatto che il problema non consiste nel taglio o nell'accorpamento degli enti. Sì, certamente 8100 comuni sono molti: ma in Francia ve ne sono 24000 e nessuno urla allo scandalo. Sì, in Germania i Lander sono mediamente di maggiori dimensioni rispetto alle regioni italiane, ma queste non sono Stati e l'Italia non è uno Stato federale, nonostante il disgraziatissimo tentativo degli ultimi 13 anni, sancito dal devastante Titolo V, di trasformarla in qualcosa di simile, ma amorfo e mostruoso.
Ma il "dagli all'untore" o la corsa ad abolire o accorpare questo o quell'ente, senza un progetto o una ragione ben precisa non è di alcun giovamento. Lo capisce anche un bambino quanto sia privo di senso agire in contemporanea diminuendo drasticamente il numero dei comuni e abolire le province. E' chiarissimo che proprio le province avrebbero potuto e dovuto essere riformate esattamente allo scopo di concentrare molti dei servizi che piccoli comuni non riescono a svolgere con efficienza (infatti, la legge Delrio vorrebbe che le regioni attribuissero alle province le funzioni di autorità di bacino dei servizi pubblici locali a rilevanza economica), invece di essere abolite e massacrate dalla legge di stabilità, che nel 2017 chiederà a tali enti 3 miliardi di tagli, 1 meno di quello previsto per le regioni. Con la differenza che le regioni possono attutire il colpo aumentando le tasse e che i 4 miliardi incidono per il 3,33% della loro spesa complessiva di 120 miliardi, senza la spesa sanitaria, mentre le province non possono aumentare alcuna tassa e i 3 mliardi incideranno su una spesa oggi di  i 9 miliardi, dunque per il 31% circa, 10 volte le regioni.
Le province, in un disegno di riduzione delle regioni da 20 a 7 diverrebbero ancor più indispensabili come enti intermedi tra i comuni e le regioni stesse, che assumerebbero dimensioni forse utili alle economie di scala, ma aumenterebbero a dismisura la loro distanza dalla popolazione amministrata.
E' chiaro, allora, come si parli solo per slogan e si affrontino i problemi e le questioni in modo episodico, occasionale e disorganico.
Queste riforme, votate all'abolizione di enti o a loro pesanti accorpamenti, per altro sono caratterizzate da impatti fortissimi anche sulla popolazione: basti pensare a quanto sgraditi siano, regolarmente, chiusure di presidi ospedalieri, accorpamenti di tribunali, riduzioni della presenza di uffici periferici dello Stato, ovunque.
Prima di pensare a mettere mano all'ordinamento pubblico con questa modalità, che pure non va esclusa, sarebbe molto più semplice e doveroso agire proprio sul fronte delle spese e delle entrate delle amministrazioni territoriali, ma anche e soprattutto dello Stato, non indicando tagli come sempre lineari, quali sono quelli previsti dal ddl di stabilità.
Occorrerebbe dire quali specifiche spese sono vietate, ricostruendo, dunque, come si arrivi all'importo previsto. Sarebbe utilissimo sapere, infatti, tornando alle regioni, come si sia arrivati alla cifra di 4 miliardi da "tagliare": è una somma sparata a caso, per far tornare i conti? Oppure, una grandezza frutto dell'analisi dettagliata della spesa regionale che risulta "in più"? La domanda è retorica. Se la risposta fosse la prima, il premier ed il Governo avrebbero gioco facilissimo a rispondere alle lagnanze delle regioni, dimostrando, dati analitici alla mano, le voci di spesa diseconomiche. Invece, come si vede, i contrasti viaggiano solo su concetti astratti. Perchè nessuno sa da dove dovrebbero provenire quei tagli, che, evidentemente, sono disposti in modo totalmente casuale.
Esattamente l'opposto di ciò che si dovrebbe fare. Come, per esempio, chiedersi perchè, nonostante il Ccnl delle regioni sia identico a quello di comuni e province, il costo del lavoro medio delle regioni è di quasi 22000 euro annui superiore e dopo aver trovato risposta, tagliare proprio quella spesa in più, condendo la decisione col divieto assoluto di ripristinarla ed istituendo organi di controllo preventivo sui contratti decentrati. Estendendo questo tipo di azioni a tutte le spese di regioni, comuni e province, ma anche altre amministrazioni, si otterrebbe quella che sarebbe una vera spending review, cosa che Cottarelli, uomo sbagliato nel posto sbagliato, non ha nemmeno lontanamento pensato di fare.
In più, se il Governo davvero fosse intenzionato a rendere efficaci e stabili i tagli alle regioni, così come agli altri enti territoriali, per evitare che essi si riverberin in simmetrici aumenti delle tasse (come fin qui sempre avvenuto) potrebbe facilmente modificare le leggi tributarie, riducendo, per esempio, le percentuali delle addizionali Irpef, così da ottenere una diminuzione a regime delle entrate fiscali regionali simmetrica alla riduzione delle spese.
Invece, tutto questo nel ddl di stabilità non c'è e nei dibattiti "illuminati" nemmeno se ne parla. Ciò, purtroppo, dimostra quanto si sia lontani da decisioni davvero utili ed efficaci per l'interesse dei cittadini.

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