domenica 25 gennaio 2015

#province Irrazionale refrattarietà a #mobilità dei dipendenti in sovrannumero

Il dibattito a commento delle norme della legge di stabilità 2015 in merito alla riorganizzazione delle province in questi giorni appare surreale. Esso è sostanzialmente concentrato su un tema: come giustificare la possibilità per regioni e comuni, in primo luogo, ma anche altre amministrazioni pubbliche, di continuare ad assumere liberamente, prescindendo dagli obblighi di ricollocazione dei quasi 20.000 dipendenti provinciali in soprannumero.

Al di là di ogni esercizio interpretativo delle norme e del loro significato, occorre chiedersi, prima di ogni cosa, a chi rechi vantaggio questo atteggiamento interpretativo o, anche, porre la consueta domanda cui prodest? Chi, cioè, può trarre vantaggio, e quale, dall’idea che il percorso segnato dall’articolo 1, commi 425 e 425, della legge 190/2014 non sia da considerare cogente.

Non c’è il minimo dubbio, ad essere oggettivi, che tale percorso sia mal concepito e descritto. Salta subito all’occhio, ad esempio, l’assenza di una norma che specificasse l’estraneità dagli obblighi di assunzione di vincitori di concorsi appartenenti a graduatorie vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015 o di dipendenti provinciali in soprannumero delle assunzioni dei dipendenti non appartenenti alle qualifiche amministrative degli enti del Servizio Sanitario Nazionale. Non è evidentemente razionale immaginare che le ricollocazioni dei 20.000 dipendenti provinciali possano ostacolare le assunzioni di medici e infermieri. E, tuttavia, la norma, per come scritta, pone un privilegio alle assunzioni per ricollocazione del personale provinciale in soprannumero: da tale punto di vista, occorrerebbe una velocissima sua correzione, dal momento che per quanto una via interpretativa (circolare o decreto attuativo) possa ritenersi utile, la sanzione della nullità di assunzioni contrarie alla disciplina dei commi 424 e 425 è troppo assoluta e grave per non indurre il legislatore a questa pronta e necessaria correzione di rotta.

Proprio la sanzione della nullità delle assunzioni al di fuori dei binari tracciati dai commi 424 e 425 avrebbe dovuto sollecitare le amministrazioni pubbliche e gli interpreti ad una profonda prudenza nell’indicare interpretazioni “elastiche” e comportamenti attuativi poco in linea con le previsioni ivi contenute.

E invece, il Governo stesso, mediante il Ministero della giustizia, ha dato il più clamoroso esempio di volontà di far finta che le previsioni del comma 425 siano state scritte per finta, attraverso il celeberrimo bando per l’assunzione in mobilità di 1.031 dipendenti, con privilegio per i dipendenti dei ministeri: esattamente l’opposto di quanto stabilisce appunto l’articolo 1, comma 425, della legge 190/2014! In aggiunta, i comuni stanno attivando a grappoli avvisi di mobilità, del tutto avulsi e staccati dagli obblighi operativi imposti dal comma 424.

Un’anarchia totale, certo discendente da carenze normative: il legislatore avrebbe ben potuto meglio specificare quali fossero i vincoli alle assunzioni negli stessi commi 424 e 425, chiarendo:

  1. a) che esse riguardavano anche le mobilità “ordinarie” ex articolo 30, comma 1, del d.lgs 165/2001, indicando quanto meno che esse fossero subordinate alle preventive mobilità per ricollocazione dei dipendenti provinciali soprannumerari;

  2. b) che le amministrazioni sono vincolate ad utilizzare le risorse da turn-over per assumere i dipendenti provinciali in soprannumero, laddove (come nel 99,9% dei casi) la dotazione organica di diritto risulti superiore alla dotazione organica di fatto con posti vacanti per profili amministrativi;

  3. c) che, conseguentemente al punto b), le amministrazioni non possono lasciar passare il biennio 2015-2016 “risparmiando” le risorse del turn over, per utilizzarle poi nel 2017, quando gli obblighi di ricollocazione dei dipendenti provinciali saranno cessati, allo scopo di attivare liberamente concorsi e mobilità.


I tre vincoli operativi descritti qui sopra sono un’ovvia conseguenza delle disposizioni dei commi 424 e 425. Tuttavia, il fatto che debbano desumersi per via interpretativa lascia spazio per interpretazioni volte a desumere conclusioni differenti. Non che queste siano considerabili corrette. Ma, senza indicazioni chiare e cogenti, ci si rifugia pur sempre nell’utilizzazione di ratio interpretative finalizzate non all’applicazione della norma per quello che è, bensì per giungere ad un risultato diverso: di solito, quello richiesto da chi affida all’interprete la consulenza per giungere ad una conclusione congruente con la richiesta. Nel caso di specie, dimostrare che sia possibile non assumere i dipendenti provinciali da ricollocare.

Così, fioccano interpretazioni al limite dello specioso. Come quella secondo la quale la previsione contenuta nell’articolo 1, comma 424, della legge 190/2014 consentirebbe il reclutamento degli idonei per il fatto che tale comma contiene un espresso richiamo al “collocamento nelle graduatorie vigenti”, considerando che tale espressione può essere ritenuta una formula in grado di comprendere anche gli idonei, dal momento che essi sono, appunto, collocati nelle graduatorie. E’ evidente come, invece, tale teoria contrasti in modo frontale ed insanabile con le disposizioni chiarissime e di segno completamente opposto del comma 424, che lega la collocazione in graduatoria allo status di vincitore del concorso e non di idoneo. Le due cose sono molto diverse: il vincitore si è piazzato nei posti utili della graduatoria che danno diritto alla stipulazione del contratto di lavoro; l’idoneo ha superato le prove, ma con una valutazione non sufficiente per occupare i posti in graduatoria corrispondenti al numero delle assunzioni che col bando l’amministrazione si è impegnata ad effettuare.

Oppure, l’altra interpretazione speciosa: quella secondo la quale le mobilità volontarie sarebbero comunque effettuabili, perché i commi 424 e 425 bloccano le “assunzioni”, mentre le mobilità non sarebbero assunzioni ma “cessione di contratto”. Indicazione, questa, del tutto fuorviante, perché confonde il sistema di reclutamento del dipendente (concorso o procedura aperta per attivare la cessione del contratto, id est mobilità), con le conseguenze del sistema di reclutamento: la successiva assunzione. Che si determina sia nel caso di concorso, sia nel caso di mobilità, in quanto il dipendente contrae comunque un rapporto di lavoro nuovo e diverso, in parecchi elementi fondamentali: dalla sede di lavoro, alla mansione.

E qui si torna alla domanda: ma chi e perché si giova dell’idea che i commi 424 e 425 della legge di stabilità, nonostante comminino la nullità delle assunzioni in loro violazione, siano scritti per scherzo?

Dovrebbe risultare evidente che tali commi, per quanto abbiano clamorosamente complicato il processo di riordino delle funzioni provinciali previsto dalla legge 56/2014, hanno lo scopo fondamentale di ricollocare personale destinato al soprannumero.

Francamente, non si riesce a capire come sia possibile non considerare prioritaria la mobilità del personale provinciale in soprannumero, avendo riguardo alle seguenti circostanze:

  1. a) si tratta di 20.000 persone circa, un numero molto alto di posti di lavoro messi a rischio non da una crisi aziendale o da malfunzionamenti delle province, bensì dalla scelta, oggettivamente devastante e dannosa per il sistema, del legislatore di sottrarre alla spesa provinciale già dal 2015 circa il 30% (percentuale di decine di volte superiore ai tagli apportati a qualsiasi altro comparto), che raggiungerà il 45% nel 2017; un numero, di dipendenti, ancora, che se fosse messo a rischio nel sistema privato, determinerebbe giustamente un allarme sociale enorme, che non c’è solo perché l’eventuale licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici sarebbe solo colto da applausi, da chi è (a torto) convinto che in Italia ve ne siano troppi;

  2. b) i comuni, in particolare, ma anche le regioni e le amministrazioni dello Stato (in primis i famosi, ormai, uffici giudiziari) denunciano continuamente di essere carenti di personale: ma, poiché nessuno nega sia davvero così, perché nel momento in cui possono attingere ad una provvista di personale piuttosto ampia, stanno frapponendo ostacoli? La ragione consisterebbe nella circostanza che consumerebbero le risorse del turn over? Ma, le risorse del turn over a cosa servono? A tenerle ferme o investirle?;

  3. c) il personale provinciale, per quanto adibito a funzioni e servizi diversi da quelli di competenza dei comuni (nonostante si senta sempre ripetere il refrain, sbagliato, che le province sarebbero una duplicazione delle attività dei comuni), conosce molto bene le regole di funzionamento di un ente locale, dal momento che le province sono un ente locale soggetto alle medesime regole dei comuni; i comuni, dunque, possono contare su un patrimonio di esperienza certamente non da poco.


A queste considerazioni se ne dovrebbe aggiungere un’altra. Ma, si utilizza il condizionale, perché è stata la legge 190/2014 a cagionare un tale caos che si possono, ma solo in parte, anche comprendere alcune resistenze dei comuni e delle altre amministrazioni.

La considerazione è la seguente: i dipendenti provinciali sarebbero di grandissima utilità, per le amministrazioni, laddove fossero chiamate ad accollarsi le funzioni non fondamentali trasferite dalle province alle amministrazioni stesse.

Ma, come detto, qui la legge 190/2014 è sciaguratamente intervenuta contraddicendo totalmente il percorso tracciato dalla legge 56/2014, che non solo aveva previsto il trasferimento in mobilità dei dipendenti provinciali (e la loro quantificazione) come conseguenza ultima del processo di riordino, invece che come premessa, ma aveva connesso ovviamente i trasferimenti del personale alle funzioni ed aveva stabilito che fossero le province a finanziare gli oneri del personale alle amministrazioni riceventi.

Quanto sintetizzato prima è disposto in modo chiarissimo dalla prima parte dell’articolo 1, comma 92, della legge 56/2014: “Entro il medesimo termine di cui al comma 91 e nel rispetto di quanto previsto dal comma 96, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno e del Ministro per gli affari regionali, di concerto con i Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze, sono stabiliti, previa intesa in sede di Conferenza unificata, i criteri generali per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite, ai sensi dei commi da 85 a 97, dalle province agli enti subentranti, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso, nonché quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista. In particolare, sono considerate le risorse finanziarie, già spettanti alle province ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione, che devono essere trasferite agli enti subentranti per l'esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali e fatto salvo comunque quanto previsto dal comma 88”.

Il successivo comma 96, lettera a), specifica ancor meglio il percorso che aveva tracciato la legge 56/2014 per il trasferimento del personale ed il finanziamento degli oneri: “il personale trasferito mantiene la posizione giuridica ed economica, con riferimento alle voci del trattamento economico fondamentale e accessorio, in godimento all'atto del trasferimento, nonché l'anzianità di servizio maturata; le corrispondenti risorse sono trasferite all'ente destinatario; in particolare, quelle destinate a finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonché la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti, vanno a costituire specifici fondi, destinati esclusivamente al personale trasferito, nell'ambito dei più generali fondi delle risorse decentrate del personale delle categorie e dirigenziale. I compensi di produttività, la retribuzione di risultato e le indennità accessorie del personale trasferito rimangono determinati negli importi goduti antecedentemente al trasferimento e non possono essere incrementati fino all'applicazione del contratto collettivo decentrato integrativo sottoscritto conseguentemente al primo contratto collettivo nazionale di lavoro stipulato dopo la data di entrata in vigore della presente legge”.

La legge 190/2014, avendo sottratto alle province già nel 2015 un miliardo e a regime 3 miliardi, rende impossibile l’applicazione del comma 92 e, di conseguenza, del comma 96, i quali, nella sostanza, disponevano uno spostamento di risorse dalle province agli enti di destinazione delle loro funzioni non fondamentali, commisurato agli oneri necessari per gestirli, provincia per provincia, sulla base del lavoro degli osservatori nazionale e regionali, attivati col decreto 26.9.2014 attuativo del comma 92 e previsto dall’accordo Stato-regioni dell’11.9.2014.

Il Governo, nonostante fossero state attivate sia pure in ritardo le complesse attività di accertamento delle spese delle singole province e della loro correlazione alle funzioni, ha compreso che dalla riforma delle province non sarebbe scaturito nemmeno un centesimo di risparmio, proprio perché l’articolo 119 della Costituzione, citato dall’articolo 1, comma 92, della legge 56/2014, impone, ovviamente, di finanziare integralmente le funzioni conferite alle amministrazioni. Quindi, le funzioni non fondamentali delle province avrebbero dovuto passare alle altre amministrazioni (regioni e comuni in particolare) insieme con i finanziamenti: un mero spostamento di “ramo d’azienda”, si potrebbe affermare.

Allo scopo di far vedere che, invece, vi sarebbero stati “tagli”, ha interrotto il percorso ed ha utilizzato dati e rilevazioni di Sose e Nomisma che definire grossolani è eufemistico. Queste società consulenti hanno giustificato il sontuoso incarico proponendo, appunto, l’idea che le funzioni non fondamentali valessero circa 3 miliardi e che per gestire fosse sufficiente il 50% del personale nelle province, ed il 30% nelle città metropolitane e province montane.

Incarico sontuoso, consulenza prestigiosa, per un risultato davvero deludente: un taglio lineare del personale, del tutto avulso dal percorso di riforma, che avrebbe potuto proporre qualsiasi studente del primo anno di ragioneria.

Il tutto, per altro, in violazione palese proprio dell’articolo 119 della Costituzione. Infatti, la legge 190/2014, nell’attuare le sirene a comando delle società di consulenza, ha stabilito di sottrarre linearmente capacità di spesa e personale alle province, ma senza prevedere che le funzioni non fondamentali, da riattribuire agli enti subentranti, fossero accompagnate dai connessi finanziamenti.

La legge 190/2014 sottrae alle province capacità di spesa, imponendo loro un versamento forzoso al bilancio dello Stato. Dunque, non taglia alcuna spesa; infatti, simmetricamente, non riduce in alcun modo le entrate. Ma, riservando 3 miliardi a regime al bilancio dello Stato, mette gli enti che dovessero subentrare alle province nella gestione delle funzioni non fondamentali nelle condizioni di reperire da se stessi i 3 miliardi che mancano al sistema.

Pertanto, in assenza di una stretta correlazione tra funzioni da gestire e personale, i comuni e le amministrazioni non vedono un’utilità diretta nell’acquisire il personale provinciale. E l’insistenza sulla mobilità “libera” lascia aperto il sospetto che i comuni in particolare, non sappiano rinunciare alla selezione del personale sulla base di conoscenze e appartenenze, che in un processo di mobilità “volontaria” può essere guidato, nonostante tutto, mentre con l’acquisizione del personale provinciale da ricollocare no.

Il che, comunque, non giustifica la refrattarietà ad applicare le disposizioni dell’articolo 1, commi 424 e 425, della legge 190/2014, che costituisce, quanto meno, un’opportunità di riorganizzare, nonostante i moltissimi e gravissimi difetti della legge di stabilità, il sistema del lavoro nel comparto degli enti locali, fortemente danneggiato e inciso da riforme così poco meditate, da cagionare i problemi attuativi nei quali ci si trova immersi.

 

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