venerdì 20 febbraio 2015

#dirigenza pubblica Rottamare "per rottamare" la strada verso la politicizzazione #PA

Francesco Daveri su www.lavoce.info, nell’articolo “Renzi un anno dopo: fu vera rottamazione?” estende il concetto di rottamazione (di dubbio gusto e dubbia consistenza tecnico-giuridica) dalla politica alla dirigenza pubblica.

L’autore, insomma, sembra dare per scontato che esista tra politica e dirigenza un legame inscindibile, dando per altrettanto scontato che la dirigenza sia (e auspicando, forse, che debba esserlo) diretta promanazione della politica.

La Costituzione e le sue regole, ormai, considerando l’ampia opera di rottamazione della Carta avviata (ma lontana ancora dall’essere portata a termine), sembrano essere solo un peso, senza efficacia.

L’articolo pare dimenticare totalmente che ai sensi dell’articolo 98 della Costituzione gli impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione e che in combinazione con l’articolo 97 della Costituzione, la dirigenza costituisce un apparato posto al servizio della politica, per attuarne gli indirizzi, ma separato ed autonomo, proprio per garantire l’imparzialità e la terzietà, che la politica, retta da partiti e dunque di per sé “di parte”, non può garantire, se coinvolta non nel sacrosanto diritto di determinare l’indirizzo politico, ma di attuare concretamente con la gestione operativa tale indirizzo.

Daveri, insomma, pare voler applicare anche alla dirigenza dei “mandarini” il teorema della rottamazione intesa come “cambiamento per il cambiamento”, piuttosto acritico, considerando come valore in sé la rotazione dei dirigenti, ma anche la loro acquisizione all’esterno dei ruoli dirigenziali.

Riprende fiato e voce, dunque, quell’orientamento molto vasto già sentito e letto negli anni ’90, quando era fortissima la spinta verso la creazione dello spoil system, esattamente quello spoil system che la Corte costituzionale, dal 2007 in poi, considera contrario alla Costituzione, se esteso oltre i confini della dirigenza realmente collegata e strettamente connessa con la politica: i capi di gabinetto e i segretari generali dei ministeri.

Il modello del “rottamare per rottamare” che sembra tanto piacere a Daveri, oltre ad essere in evidente contrasto con la Costituzione, appare anche di assai dubbia utilità ed efficacia, specie se commisurato al sistema col quale l’attuale Governo lo ha applicato.

Si sa, i rischi di lasciare troppo spazio discrezionale a nomine ed incarichi alla politica finiscono per concretizzarsi in nomine di cavalli al Senato; o di vigili urbani (comandanti, per l’esattezza) come capi dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi. Col bel risultato che, poi, appaiono e scompaiono “manine” che modificano i testi delle leggi e dei decreti all’insaputa del Consiglio dei Ministri; oppure che i decreti legge siano redatti nel testo definitivo e trasmessi alle Camere con ritardi biblici rispetto ai tempi ristretti che l’urgenza (e la Costituzione) imporrebbero.

Capi di gabinetto e segretari generali sono da sempre oggetto di legittimo spoil system. Se esso non viene attuato, il teorema per il quale ciò sarebbe causa dei dirigenti è chiaramente falso e basato su un’analisi sbagliata: sono, infatti, i ministri pienamente detentori del potere di cambiare gli incarichi. Se la percentuale dei cambiamenti è ritenuta bassa, da un lato ciò è del tutto inconferente, poiché nessuna norma impone una percentuale minima; dall’altro, è solo responsabilità di chi, pur disponendo del potere, non lo esercita.

Ma, è davvero questo quel che chiede il Daveri? Una dirigenza come profanazione della politica? Un maggior numero di dirigenti “esterni”? Davvero questo è sintomo di maggiore efficacia e trasparenza. Ha verificato, Daveri, quanti “city manager”, come pomposamente sono definiti i direttori generali dei comuni, hanno contribuito efficacemente ad evitare situazioni di gravissimo dissesto a Roma, Napoli o Catania? E’ servito davvero a qualcosa che i comuni si siano dotati di queste figure, reclutate per lo più all’esterno delle dotazioni dirigenziali?

Quanti sono, poi, i dirigenti “esterni” incaricati come approdo dei politici trombati? Quanti altri trovano negli incarichi pubblici quello spazio conquistato come dirigenti politici, per sgravare il partito dal costo connesso? Quanti altri dirigenti esterni sono cooptati grazie al loro ruolo di fondatori e finanziatori di fondazioni molto vicine al politico o al leader di turno?

Non siamo affatto così sicuri, come Daveri, che una riforma della dirigenza quale quella prevista dal ddl delega all’esame del Senato possa migliorare l’efficienza dell’amministrazione pubblica e, soprattutto, garantirne imparzialità ed oggettività. Anche questa della pubblica amministrazione è esaltata come “riforma in quanto tale”, senza considerare e valutare con meditazione gli effetti, che non sono certo quelli di un progresso dell’efficienza, bensì appunto l’istituzionalizzazione della politicizzazione della dirigenza.,

La “lista degli idonei” cui si richiama Daveri, come strumento al quale attingere discrezionalmente da parte della politica per “crearsi” il dirigente su misura è in contrasto aperto con i principi costituzionali di separazione tra politica e gestione, posti ad evitare che i dirigenti da attuatori tecnici ed autonomi degli indirizzi politici, si trasformino in “commissari di salute pubblica”, chiamati ad agire per il solo perseguimento del vantaggio di una maggioranza, di un partito, di un leader, e non nell’interesse della Nazione.

Gli incarichi dirigenziali, per legge, da oltre 20 anni sono soggetti a valutazione; da altrettanto tempo è previsto che parte della retribuzione sia legata ai risultati, così come da sempre si impone che la selezione dei soggetti da incaricare derivi dalla valutazione delle “competenze”. Basterebbe, allora, applicarle le leggi, senza riforme che, sotto la falsa veste della maggiore efficienza, nascondono intenti totalmente diversi. Tali da consentire a regime come normale che la valutazione delle competenze di un sia pur validissimo comandante di polizia locale, espertissimo in un ambito, però, estremamente specialistico e dunque ristretto, possa considerarsi dotato di per sé delle competenze per trattare temi legislativi e di governo di natura e complessità completamente diversi, sol perché facente parte di una “lista di idonei” e perché vi sia, di volta in volta, il king maker a cooptarlo.

Non può essere questo il modello di dirigenza efficiente e competente cui un economista come Daveri può davvero pensare. Non può essere, dunque, davvero il ddl depositato al Senato la norma che un intellettuale oculato e preparato è realmente disposto ad apprezzare e considerare come utile per la riforma della dirigenza.

1 commento:

  1. Commento di grand commissis sulla riforma della dirigenza ....

    http://www.formiche.net/2015/03/10/linsostenibile-leggerezza-della-pubblica-amministrazione/

    RispondiElimina