domenica 1 marzo 2015

#Durc fonte continua di #caos e incertezze #appalti

La questione del valore certificativo del Durc, ai fini dell’ammissione degli operatori nelle gare d’appalto assume sempre più i caratteri della bizzarria.

La sentenza del Consiglio di stato, Sezione V, 16 febbraio 2015, n. 781 costituisce un altro tassello del complicatissimo mosaico delle norme e regole alla base della disciplina del Durc. E probabilmente è la conferma ultima e definitiva, se ve ne fosse bisogno, che è proprio la disciplina del Durc a fare acqua ed essere una complicazione estrema del regime degli appalti e della concorrenza, oltre che una vessazione non da poco per le imprese.

La sentenza respinge l’appello di un’impresa e di un comune proposto contro la decisione di primo grado di annullare il provvedimento di esclusione di altra impresa, per asserita illegittimità del provvedimento medesimo, causata a sua volta dall’illegittimità del Durc dovuta al “mancato invito da parte dell'Ente previdenziale alla regolarizzazione, come previsto dall'art. 7 del D.M. del Ministero del Lavoro 24 ottobre 2007 e dall'art. 31, comma 8, del d.l. n. 69 del 2013”.

In sostanza, l’impresa non doveva essere esclusa, sebbene non avesse effettuato il versamento dovuto degli oneri previdenziali nei tempi e lo avesse predisposto solo ed appositamente al fine di inficiare la decisioni amministrative in fase di gara.

Si può affermare che per un verso, la lettura della disciplina del Durc emergente dalle decisioni che si stanno affermando nella giurisprudenza amministrativa hanno un pregio: quello del garantismo, derivante dalla possibilità per gli operatori economici di regolare posizioni previdenziali, allo scopo di non perdere opportunità di lavoro negli appalti pubblici, derivanti da documentazione burocratica.

Tuttavia, dall’altro lato si possono fare considerazioni molto diverse. Si può, infatti, evidenziare come il beneficio dato alle imprese di regolarizzarsi, infici la posizione delle imprese che, al momento della presentazione dell’offerta, sono pienamente in regola. E’ evidente che la possibilità di regolarizzare (non vogliamo usare il verbo “sanare”) incide negativamente sulla posizione dei concorrenti adoperatisi per agire nell’appalto nella piena regolarità previdenziale. Di certo, si tratta di un equilibrio molto delicato tra interesse del singolo operatore economico a non essere estromesso per cavilli, con l’interesse alla garanzia di vere situazioni di pari opportunità tra tutte le imprese, oltre che il supremo interesse pubblico a che la pubblica amministrazione negozi i propri contratti con imprese in regola con le prestazioni previdenziali, per evitare di dare spazio proprio con appalti sostenuti da denaro pubblico a chi incida negativamente nei rapporti economici e giuridici, sfuggendo agli obblighi previdenziali, magari per sottopagare i lavoratori.

Certo, qualsiasi impresa può giovarsi dell’aspettativa alla regolarizzazione. Ma, a fronte di questo beneficio, è evidente che decade un altro importantissimo aspetto della concorrenza e della tutela del lavoro e della fede pubblica: la certezza del diritto e delle procedure.

Il d.lgs 163/2006, in omaggio alla normativa europea, della quale è attuazione nell’ottica della tutela della concorrenza, impone che l’appaltatore sia in regola, in piena regola, con i versamenti previdenziali, certo indicando che le eventuali violazioni siano “definitivamente accertate”.

Tuttavia, è proprio l’elemento della definitività dell’accertamento che diviene del tutto imperscrutabile e mina alle fondamenta certezze delle posizioni giuridiche e, di conseguenza, gli equilibri dell’ordinamento e della concorrenza.

Di fatto, sentenze come quella del Consiglio di stato qui segnalata impediscono alle stazioni appaltanti di conoscere in modo chiaro e certo la situazione delle imprese sul piano previdenziale. Infatti, sostanzialmente si elimina nel Durc la capacità di attestare in modo definitivo la posizione previdenziale delle imprese.

Afferma Palazzo Spada che “In assenza della assegnazione di tale termine (di 15 giorni per la regolarizzazione, nda), il DURC negativo di cui trattasi era irrimediabilmente viziato ed era quindi inidoneo a comportare la esclusione della impresa cui è relativo, in quanto la violazione non poteva ritenersi definitivamente accertata, anche perché, nelle more, era stato spontaneamente effettuato dall’impresa il pagamento di quanto dovuto; non si verteva, quindi, in materia di sindacabilità del suo contenuto da parte della stazione appaltante”.

Nel caso di specie, la stazione appaltante aveva attivato con la Cassa edile una fitta interlocuzione documentale, per verificare se la posizione dell’impresa poi esclusa fosse rimediabile, affermando che non risultava, sulla base di essa, comprovata l’assenza di un’assegnazione di termini per regolarizzarsi, da parte della Cassa Edile.

Il Consiglio di stato ha, tuttavia, ritenuto che “Tale documentazione non è, secondo il Collegio, affatto idonea ad indurre a ritenere, come asserito dalla parte appellante, che la fase in contraddittorio fosse stata già stata espletata dall'Ente previdenziale, né tanto è arguibile dal DURC negativo o dalla sopra riportata risposta della Cassa Edile di Latina alla richiesta di chiarimenti formulata dal Comune, ovvero dalla circostanza che l’impresa si fosse attivata per sanare il mancato pagamento di contributi prima della scadenza della data di presentazione della domanda di partecipazione alla gara, sicché non risulta dagli atti di causa che detta fase fosse stata espletata.

Al contrario, deve ritenersi che – qualora tale fase fosse stata posta in essere dalla Cassa Edile - essa sarebbe stata evidenziata negli atti posti in essere”. Per precisare: “deve ritenersi che, a fronte dei principi di prova acquisiti in giudizio circa il mancato svolgimento della fase in contraddittorio, nessun idoneo principio di prova abbia fornito l’appellante circa l’avvenuto esperimento della fase stessa, a nulla valendo la circostanza che le procedure di rilascio del DURC di norma tanto prevedano, perché ciò costituisce una presunzione iuris tantum e non iuris et de iure”.

In sostanza, Palazzo Spada finisce per confermare che le stazioni appaltanti non hanno praticamente possibilità concreta di indagine per comprendere se l’attestazione del Durc sia definitiva o meno, essendo questa questione rimessa totalmente ad inconoscibili rapporti tra gli enti competenti (Inps, Inail e Cassa edile) ed imprese.

In sostanza, dunque, in fase d’appalto, sulla base di questo modo di interpretare le norme suggerito dalla giurisprudenza, non si avrà mai modo di sapere con certezza se l’impresa è da escludere o includere. Lasciando aperte le porte a destra al contenzioso proposto dall’impresa con Durc irregolare, se esclusa; e a sinistra, al contenzioso aperto dalla concorrente, se non esclusa.

Le stazioni appaltanti restano sostanzialmente prive di ancorare ad una data precisa le valutazioni sull’ammissibilità dell’impresa, perché tale data dovrebbe essere antecedente a quella di presentazione dell’offerta, ma l’obbligo di attribuire i 15 giorni per la regolarizzazione, decorrenti da un dies a quo non conoscibile per le amministrazioni appaltanti, rende davvero tutto sostanzialmente rimesso all’iniziativa delle imprese. Con buona pace dei tempi misurabili e certi degli appalti.

Il tutto discende, per altro, da una visione giurisprudenziale difficile da considerare condivisibile. Palazzo Spada, infatti, afferma che il decreto del Ministero del Lavoro del 24 ottobre 2007 e l’articolo 31, comma 8 del d.l. 69/2013, convertito in legge 98/2013 “hanno sostanzialmente modificato l’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, laddove stabilisce che il requisito della regolarità contributiva deve sussistere alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla procedura concorsuale”.

Sono conclusioni molto discutibili. Intanto, contrastanti con quanto prevede l’articolo 255 del d.lgs 163/2006, a mente del quale “Ogni intervento normativo incidente sul codice, o sulle materie dallo stesso disciplinate, va attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in esso contenute”. Ma, ammettendo anche che una legge non possa avere una clausola di autorafforzamento (della quale, comunque, non si può non tenere conto, almeno quando si argomenta di sue modifiche implicite parziali), è proprio il merito che non convince.

L’articolo 38, comma 2, lettera i), del codice dei contratti impone che alle gare partecipino le imprese in regola con i versamenti previdenziali. La “definitività” dell’eventuale accertamento negativo è la condizione per escludere l’impresa.

Ora, un accertamento “definitivo” per essere tale non può che essere “certo”; a sua volta, la certezza non può che essere connessa alla sussistenza del requisito ad una certa data e non ad eventi flessibili ed ingestibili.

Le disposizioni contenute nel d.l. 69/2013 non possono modificare l’articolo 38 del d.lgs 163/2006, laddove non risulti possibile evincere nell’unico documento utile per la verifica degli adempimenti previdenziali, il Durc, se sia stata aperta o meno una procedura di regolarizzazione, la quale, per altro, per produrre effetti ai fini dell’appalto, dovrebbe avere un’efficacia retroattiva oggettivamente incompatibile con il requisito di “onorabilità”.

In ogni caso, è evidente il cortocircuito operativo creato da questo filone giurisprudenziale, ma, soprattutto, dalla disciplina del Durc, davvero un ginepraio inestricabile.

La questione della definitività andrebbe risolta in termini veloci e indubitabili semplicemente dando attuazione a quanto si attende da anni: la consultabilità a video della situazione previdenziale ad una certa data, la quale deve essere la definitiva ed incontrovertibile attestazione della situazione ivi indicata. Ogni questione intercorrente tra Inps, Inail e Cassa edile ed appaltatori dovrebbe essere risolta esclusivamente tra essi, senza influenze nella gara d’appalto, che non può risentire di vicende ad essa esterne, essendo in ogni caso la solerzia della ditta indice di serietà ed onorabilità certo maggiore di chi ritardi nei pagamenti e, poi, si regolarizzi, per altro in modo passivo, aspettando il sollecito dell’appalto o dell’ente previdenziale.

Oppure, si potrebbe percorrere una strada del tutto opposta, non esente da rischi di comportamenti speculativi: prevedere che sempre e comunque le amministrazioni appaltanti liquidino alle imprese, ma paghino all’Inps e che sia, poi, l’ente a compensare i versamenti previdenziali, trattenendo quanto necessario. Si potrebbe, così, anche fare a meno delle trattenute previdenziali sugli stati di avanzamento lavori.

Idee ve ne possono essere molte altre e molto migliori. Ma, certo, non è possibile ammettere ancora che il Durc sia fonte di incertezza del diritto e di complicazione senza rimedio per appaltatori e pubbliche amministrazioni.

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