lunedì 17 agosto 2015

La conversione del decreto enti locali abolisce la legge 190/2014. Mobilità, congelamento assunzioni e sovrannumeri incompatibili con la legge 125/2015

La legge di conversione del “decreto enti locali” mette a soqquadro la già caotica normativa relativa alla riforma delle province ed al riordino delle funzioni.

Il legislatore non si è avveduto che approvando l’articolo 7, comma 9-quinquies, della legge 125/2015, di conversione del d.l. 78/2015, ha posto in essere una decisione in contrasto insanabile con le disposizioni contenute nell’articolo 1, comma 421, della legge 190/2014. Vediamone le ragioni, dopo aver esaminato e confrontato il testo a fronte delle due disposizioni:

 











Articolo 1, comma 421, l. 190/2014Articolo 7, comma 9-quinquies l. 125/2015
La dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario è stabilita, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta rispettivamente, tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, in misura pari al 30 e al 50 per cento e in misura pari al 30 per cento per le province, con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri, di cui all'articolo 1, comma 3, secondo periodo, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i predetti enti possono deliberare una riduzione superiore. Restano fermi i divieti di cui al comma 420 del presente articolo. Per le unità soprannumerarie si applica la disciplina dei commi da 422 a 428 del presente articolo.Al fine di dare compiuta attuazione al processo di riordino delle funzioni delle province disposto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, le regioni che, ai sensi dell'articolo 1, comma 95, della medesima legge, non abbiano provveduto nel termine ivi indicato ovvero non provvedano entro il 31 ottobre 2015 a dare attuazione all'accordo sancito tra Stato e regioni in sede di Conferenza unificata l'11 settembre 2014, con l'adozione in via definitiva delle relative leggi regionali, sono tenute a versare, entro il 30 novembre per l'anno 2015 ed entro il 30 aprile per gli anni successivi, a ciascuna provincia e città metropolitana del rispettivo territorio, le somme corrispondenti alle spese sostenute dalle medesime per l'esercizio delle funzioni non fondamentali, come quantificate, su base annuale, con decreto del Ministro per gli affari regionali, di concerto con i Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze, da adottare entro il 31 ottobre 2015. Il versamento da parte delle regioni non è più dovuto dalla data di effettivo esercizio della funzione da parte dell'ente individuato dalla legge regionale.

Non è chi non veda l’incoerenza della legge 190/2014 (a sua volta in contrasto frontale con l’articolo 1, commi 92 e 96, lettera a), della legge 56/2014) con la disposizione della legge di conversione del decreto enti locali.

La previsione contenuta nella legge di stabilità 2015 è con ogni evidenza rivolta a tagliare automaticamente ed in modo lineare il costo del personale provinciale, addetto alle funzioni non fondamentali, allo scopo, poi rivelatosi impossibile da ottenere, di affrettare il riordino delle funzioni, di competenza regionale.

Quanto dispone, invece, la legge 125/2015 è la conseguenza dell’inerzia delle regioni, molte delle quali giunte all’agosto del 2015 non hanno adottato alcuna legge di riordino delle funzioni provinciali, con l’effetto paradossale che la legge 190/2014, combinandosi con l’articolo 1, comma 89, della legge 56/2014, ha lasciato in capo alle province e alle città metropolitane per intero tutte le funzioni provinciali (fondamentali e non fondamentali) avendo tuttavia messo a regime una sottrazione di risorse pari a 4,8 miliardi circa (tra vecchi e nuovi tagli). Il che ha messo in ginocchio le province e reso loro impossibile erogare i servizi senza compromettere in modo irrimediabile la regolare tenuta finanziaria, come ha avuto modo di sottolineare la Corte dei conti, Sezione autonomie, prima con la deliberazione 17/2015, poi con la Relazione sugli andamenti della finanza territoriale, approvata con deliberazione 25/2015.

Come si nota, la legge 125/2015 corregge, anzi, inverte completamente la rotta tracciata sciaguratamente dalla legge 190/2014 ed impone alle regioni:

  1. a) di adottare entro il 31 ottobre 2015 le leggi di riordino;

  2. b) di rifondere alle province le spese per la gestione delle funzioni non fondamentali, qualora entro il termine fissato sopra le regioni non provvedano.


E’ da tenere bene presente che le regioni saranno obbligate a versare agli enti di area vasta le somme connesse alle funzioni non fondamentali finchè non abbiano adottato le leggi di riordino. Non è un caso che l’articolo 7, comma 9-quinquies nel fissare i termini entro i quali le regioni debbono pagare indica il 30 novembre del 2015 e il 30 aprile per ciascuno “degli anni successivi”. Il legislatore parla espressamente di “anni” al plurale, indicando, così, che l’obbligo normativo possa incombere sulle regioni a tempo indeterminato e, comunque, potenzialmente anche ben oltre il 31.12.2016, data prevista dall’articolo 1, comma 428, della legge 190/2014 come termine entro il quale occorre ricollocare il personale provinciale posto in soprannumero, in applicazione del precedente comma 421 della medesima norma.

Ora, i circa 20.000 dipendenti provinciali interessati dalla norma sono stati collocati ex lege in soprannumero sul presupposto che occorresse tagliare da subito la spesa di personale adibito a funzioni che avrebbero dovuto essere da subito sottratte alle province. Tuttavia, tali funzioni sono rimaste per lunghi mesi in capo alle province e lo stesso articolo 7, comma 9-quinquies, non esclude per nulla che tale situazione si possa prolungare ancora per anni. Tanto è vero che intende forzare le regioni ad effettuare il riordino, sotto la mannaia dell’obbligo di coprire finanziariamente i costi.

Ma, se l’articolo 7, comma 9-quinquies, della legge 125/2015 impone alle regioni di versare alle province e alle città metropolitane le spese da esse sostenute per le funzioni non fondamentali, allora di fatto trasferisce direttamente in capo alle regioni gli oneri finanziari per la gestione delle funzioni provinciali non fondamentali, che, del resto, derivano proprio da atti di delega o conferimento di funzioni adottati dalle regioni in esecuzione del d.lgs 112/1998.

In sostanza, la legge 125/2015 finisce per “regionalizzare”, almeno sul piano finanziario, le funzioni non fondamentali esercitate dagli enti di area vasta, accollandone i costi alle regioni.

Tra tali costi non vi è ragione di dubitare vi siano inclusi anche quelli relativi al personale: non è immaginabile, infatti, che le funzioni siano esercitabili senza il decisivo fattore-lavoro dipendente. Quindi, la legge 125/2015 non solo regionalizza sul piano finanziario le funzioni non fondamentali, ma obbliga le regioni ad accollarsi il costo del personale provinciale, qualora le regioni medesime non provvedano al riordino. Tale obbligo ha un’ulteriore evidente finalità: indurre le regioni a riordinare le funzioni accollandosi, a regime, l’intero costo e coprendo, così, il buco aperto nella finanza delle province dall’improvvida disposizione contenuta nella legge 190/2014, fonte di un prelievo forzoso a loro carico di 3 miliardi a regime.

Stando così le cose, allora è evidente che le regioni sono chiamate a coprire integralmente i costi delle funzioni non fondamentali, comprendenti anche il personale sia che non provvedano alle leggi di riordino entro il 31 ottobre 2015, sia, a maggior ragione, che adottino le leggi di riordino.

Questa conclusione, come rilevato all’inizio, contrasta radicalmente con l’impostazione della legge 190/2014, la quale ha visto il costo del personale delle province come una grandezza a sé, separata dall’esercizio delle funzioni cui il personale è connesso, tanto da giungere al taglio lineare delle dotazioni organiche.

Tale taglio, ora, dopo la legge 125/2015, però non ha più alcun senso, perché le regioni sono obbligate a sostenere i costi che gli enti di area vasta debbono sostenere per l’esercizio delle funzioni non fondamentali.

In sostanza, nell’impostazione (clamorosamente sbagliata) della legge 190/2014 il personale provinciale è stato dichiarato ex lege in soprannumero (salvo i provvedimenti di identificazione nominativa, di competenza delle province), decontestualizzando tale disposizione dal “riordino”. Infatti, per il personale soprannumerario la ricollocazione non è connessa al principio che la mobilità del personale debba seguire le funzioni trasferite. Lo stesso schema di Dpcm per la regolamentazione della mobilità dei dipendenti provinciali tramite la piattaforma informatica non guida i trasferimenti connettendo il personale alle funzioni da svolgere, ma di fatto prevede che i dipendenti delle province compiano una vera e propria diaspora verso altre amministrazioni, senza nessun collegamento con le funzioni alle quali erano adibiti, in completo contrasto con le logiche dei già citati commi 92 e 96, lettera a), della legge 56/2014.

Invece, la legge 125/2015 torna implicitamente sui passi della legge Delrio, riproponendo l’aggancio tra spesa di personale e funzione svolta, obbligando le regioni a versare alle province ed alle città metropolitane le risorse necessarie per svolgere appunto le funzioni.

La conclusione ovvia, allora, è che l’articolo 1, comma 421, della legge 190/2014 non abbia più alcun senso e che possa addirittura considerarsi implicitamente abolito.

Non c’è più alcuna necessità che il costo delle dotazioni organiche delle province sia forfetariamente tagliato del 50% (taglio che è del 30% per le province montane e per le città metropolitane), visto che il costo del personale addetto alle funzioni non fondamentali deve essere sostenuto obbligatoriamente dalle regioni.

Conseguentemente, non ha neppure alcun senso la messa in soprannumero del personale provinciale: la sovrannumerarietà può giustificarsi solo con l’assenza delle risorse finanziarie necessarie per sostenere il costo del personale. Ma, visto che le regioni debbono trasferire alle province le risorse necessarie a gestire le funzioni nelle more del loro riordino, le province possono e debbono contare su una fonte di finanziamento che trova il suo titolo nella legge, per coprire i costi del personale addetto alle funzioni non fondamentali.

Di fatto, dunque, l’articolo 1, comma 421, della legge 190/2014 perde di ogni utilità e significato. Si deve ritenere che anche i provvedimenti di approvazione della lista nominativa adottati dalle poche province adempienti alle indicazioni della normativa siano da considerare di più che dubbia legittimità, se non addirittura nulli, visto che manca totalmente a questo punto la ratio della loro adozione: il taglio alle risorse finanziarie della spesa del personale.

La conclusione della perdita di efficacia dell’articolo 1, comma 421, della legge 190/2014 è ulteriormente rafforzata da due altre argomentazioni.

La prima risiede nella stessa legge 125/2015 e, in particolare, nel suo articolo 5, che ha rivisto le norme relative alla polizia municipale.

L’articolo 5 in argomento scardina totalmente l’articolo 1, comma 421, perché presuppone che le province possano identificare alcuni appartenenti ai corpi di polizia provinciale come da sottrarre alla lista dei lavoratori in soprannumero, perché da adibire a funzioni fondamentali. Questo significa che il taglio forfetario e lineare imposto dall’articolo 1, comma 421, citato non funziona più: potenzialmente, centinaia, se non migliaia di addetti alla polizia provinciale sono da sottrarre gli elenchi dei lavoratori in soprannumero. Dunque, le percentuali indicate dal comma 421 risulterebbero sbagliate e, se confermate, imporrebbero alle province di mettere in soprannumero un simmetrico numero di dipendenti addetti alle funzioni fondamentali, in assenza sia di qualsiasi criterio, sia di qualsiasi razionalità, perché si andrebbero a ridurre e di molto le professionalità necessarie per la loro gestione.

La seconda argomentazione emerge dall’Accordo quadro in materia di politiche attive per il lavoro, siglato in Conferenza Stato-regioni il 31 luglio 2015. Tra le altre obbligazioni contratte tra Stato e regioni sui servizi per il lavoro, ai fini del presente approfondimento interessa direttamente la previsione a mente della quale “il Governo e le regioni si impegnano a reperire le risorse per i coti del personale a tempo indeterminato, nella proporzione di 2/3 a carico del governo e 1/3 a carico delle regioni”.

Pertanto, per circa 7.500 dei 20.000 dipendenti provinciali destinati al soprannumero, certamente la previsione dell’articolo 1, comma 421, della legge 190/2014 perde qualsiasi suo significato: infatti, per questi 7.500 dipendenti è espressamente prevista la copertura del costo dei loro trattamenti economici almeno per tutto il 2016, con l’espressa possibilità di giungere al 2017.

Ci sono, dunque, tre fattori combinati per effetto dei quali la sovrannumerarietà disposta dall’articolo 1, comma 421, della legge 190/2014 deve considerarsi superata:

  1. a) dall’articolo 7, comma 9-quinquies, della legge 125/2015, in quanto l’attribuzione alle regioni dell’obbligo di coprire i costi sopportati dagli enti di area vasta per le funzioni non fondamentali non oggetto di riordino (se tali funzioni sono riordinate, gli enti di area vasta non dovrebbero più sostenerli o, laddove fossero confermati quali gestori, avrebbero diritto a maggior ragione della refusione dei costi, anche alla luce dell’articolo 119 della Costituzione);

  2. b) dall’articolo 5 della legge 125/2015, che nel consentire alle province di specificare quali dipendenti dei corpi di polizia provinciale destinare alle funzioni fondamentali e, dunque, sottrarre alla messa in soprannumero, sconvolge il computo forfetario del personale soprannumerario imposto dall’articolo 1, comma 421, della legge 190/2014;

  3. c) dall’Accordo quadro in materia di politiche attive per il lavoro del 31 luglio 2015, che assicurando la copertura della spesa del personale provinciale a tempo indeterminato addetto ai servizi per il lavoro, rende del tutto fuori luogo e inutile la loro collocazione in soprannumero.


L’abolizione implicita dell’articolo 1, comma 421, della legge 190/2014 ha anche effetti, allora, sulla mobilità del personale provinciale e dovrebbe indurre il Governo a rivedere totalmente lo schema di decreto.

Come rilevato sopra, la legge 125/2015 finisce per ricreare implicitamente la simmetria o il raccordo tra personale provinciale e funzione. Nel caso delle politiche del lavoro, l’accordo del 31 luglio 2015 è molto chiaro: sostanzialmente i servizi per il lavoro debbono passare così come sono dalle province alle regioni (oppure, le regioni possono nel frattempo applicare l’avvalimento previsto dall’articolo 1, comma 427, della legge 190/2014) e, in questo caso, Stato e regioni almeno fino a tutto il 2016 assicurano il finanziamento della spesa di personale. Dunque, una mobilità per sovrannumerarietà ed esigenze di ricollocazione risulta a questo punto totalmente irrazionale ed ingiustificata.

Nel caso delle altre funzioni non fondamentali, l’obbligo imposto alla regioni di addossarsene le spese non può ritenersi valido solo nell’ipotesi di violazione dell’imposizione di adottare le leggi di riordino entro il 31 ottobre 2015. L’articolo 119 della Costituzione obbliga comunque e in ogni caso le regioni a garantire il finanziamento delle funzioni non fondamentali, certamente nel caso in cui siano le regioni stesse ad assorbirle; ma anche laddove decidessero di attribuirle ai comuni o loro forme associative, oppure di lasciare in capo alle province. La conferma indiretta di ciò è data con estrema chiarezza dalla sentenza della Corte costituzionale 24 luglio 2015, n. 188, che ha bocciato leggi di bilancio con le quali la regione Piemonte aveva ridotto fino al 67% i trasferimenti alle province, relativi proprio alle funzioni da essa regione delegati o trasferiti.

L’articolo 7, comma 9-quinquies, della legge 125/2015 di fatto fa rivivere l’unica logica impostazione dell’articolo 1, commi 92 e 96, lettera a) della legge 56/2014 (forse, le uniche norme positivi della disastrosa legge Delrio): il personale provinciale non può essere disperso con procedure di mobilità scoordinate e lasciate all’iniziativa estemporanea dei comuni o delle amministrazioni statali (per altro, tutti dimostratisi molto riottosi), bensì va congiunta con il trasferimento delle funzioni, come si trattasse di una cessione di ramo d’azienda.

Operandosi il trasferimento del personale provinciale in uno con il riordino della funzione e la sua destinazione alle regioni, ai comuni o alle province stesse, non vi sarebbe la necessità della diaspora incontrollata dei dipendenti provinciali e i comuni e le altre amministrazioni potrebbero essere liberati dal vincolo alle assunzioni, imposto dall’articolo 1, commi 424 e 425, della legge 190/2014, vincolo evidentemente figlio del comma 421. A ben vedere, la caduta implicita di questo comma, determinata dall’articolo 7, comma 9-quinquies, della legge 125/2015, implica anche la caduta sostanzialmente dell’intera impalcatura dei commi dell’articolo 1 della legge 190/2014 che vanno fino al 429.

Il Governo non lo ammetterà mai, il Parlamento non sembra essersene reso conto, ma l’articolo 7, comma 9-quinquies, della legge 125/2015 è l’ammissione del clamoroso fallimento sotto ogni profilo dello squinternato disegno ideato dalla sventurata legge 190/2014 e della sua necessaria revisione.

La speranza è che ora Governo e Parlamento, prima che intervengano i giudici, prendano atto dello sconvolgimento determinato con la legge 125/2015 e regolamentino al più presto la disciplina del riordino delle province, provando finalmente ad agire con raziocinio, a partire dai gravissimi errori sin qui commessi. Basterebbe semplicemente azzerare le previsioni di cui ai commi da 421 a 429 della legge 190/2014 e ripartire col processo di riordino, alla luce delle novità introdotte con la legge 125/2015, rivitalizzando la Delrio ed il Dpcm 26.9.2014. Non ci vorrebbe molto: basterebbe superare l’ostinazione a ritenere utilissima e validissima una riforma, quella delle province, che è risultata alla luce dei fatti un disastro (annunciato) e che di fatto è già stata rivista e corretta proprio dall’articolo 7, comma 9-quinquies, della legge 125/2015. Si tratta di condurre l’opera di revisione fino in porto.

 

 

 

4 commenti:

  1. Se è vero come è vero che il personale di polizia provinciale svolge compiti di polizia ambientale e stradale, non si potrà mai sostenere che è sovrannumerario rispetto alle funzioni fondamentali di un ente tra cui figurano la tutela dell'ambiente e la regolazione della circolazione stradale. A meno di non voler assurdamente affermare che per lo svolgimento di queste funzioni non occorre personale operante sul territorio ma solo figure amministrative che lavorano solo in un ufficio.
    Dunque l'inserimento del personale di polizia provinciale nel computo di quello adibito alle funzioni fondamentali non sconvolge alcun taglio forfetario del 50%, atteso che ad essere incongruente era la circolare del 30 gennaio 2015 del ministero della funzione pubblica, che prefigurava una ricollocazione delle funzioni di polizia ancora non citata da alcuna norma di legge.

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  2. "....avendo tuttavia messo a regime una sottrazione di risorse pari a 4,8 miliardi circa (tra vecchi e nuovi tagli). Il che ha messo in ginocchio le province..."

    E il bello è che i miliardi in questione non hanno il benché minimo valore in tema di taglio della spesa, a fronte di un bilancio globale delle pubbliche amministrazioni che supera di slancio gli 800 miliardi annui. Peccato che gli italiani non lo sappiano.

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  3. Mi pare che, tecnicamente, la legge 125/2015 annulla di fatto tutto quel complesso mecanismo chiamato "riforma delle province": molto rumore per nulla. Nelle regioni che non hanno legiferato sul riordino, rimane tutto come prima ( perchè dovrebbero legiferare ora, mi domando? La sanzione non mi pare nè certa nè irricevibile); in quelle che lo hanno fatto, potrà esserci un passaggio in più ( passaggio competenze e personale alle regioni nelle materie non fondamenatali) . L'unico nodo, non da poco, rimane la questione dei fondi per la gestione del personale e delle funzioni, esattamente come era stato preventivato mesi e mesi fa; qualcuno dovrà pur finanziarli. Le mobilità sono al palo, sia perchè quasi nessuno ha determinato i soprannumerari, sia perchè il sito del governo non è attivo e bisticciano fra ministeri ( notizia di oggi su "Il messaggero": i provinciali passano alle scuole, ma forse no).
    Rimane irrisolta la questione iniziale che fu malposta dal governo Monti : quanto si risparmierà dalla "riforma" delle province? Nulla, probabilmente; ma questo lo sapevamo : "la fine è nota" , come il libro di G.H. Hall.

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  4. La logica conseguenza sarà che le Regioni - pur di non finanziare le proprie funzioni ( non fondamentali per gli enti di area vasta o Province ) - cercheranno di disconoscerle e, quindi, come accade per il Piemonte, tenteranno di ricondurle nel solco di quelle fondamentali delle Province ( tuela ambientale/pianificazione ...........).

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