sabato 26 settembre 2015

Dotazioni organiche, Sezione Autonomie, riduzione del costo del personale e legge 124/2015: cortocircuito gestionale

La Corte dei conti, Sezione Autonomie, con la deliberazione 27/2015 pone nuovi problemi agli enti locali per definire il quadro corretto degli interventi volti alla razionalizzazione della spesa di personale.

Le indicazioni della magistratura contabile appaiono tanto più complesse e di difficile attuazione, se messe in relazione con la previsione dell’articolo 17, comma 1, lettera q), della legge 124/2015 (legge delega di riforma della PA), laddove si prevede che il legislatore delegato si attenga al criterio della “progressivo superamento della dotazione organica come limite alle assunzioni fermi restando i limiti di spesa anche al fine di facilitare i processi di mobilità”.

Il quesito che si pone è come poter riuscire a porre in essere riduzioni progressive della spesa del personale, facendo a meno dello strumento che fin qui ha quanto meno consentito di avere un parametro per il contenimento massimo della spesa di personale stessa, consistente nel tetto al quantitativo di dipendenti ritenuto indispensabile, e cioè appunto la dotazione organica. Strumento, per altro, utilizzato anche – sebbene non sempre in modo utile – per determinare qualitativamente quali tipologie di categorie e profili risultino indispensabili per l’espletamento delle funzioni.

Torniamo alla Sezione Autonomie che con la deliberazione citata prima ha chiarito:

  1. non è venuto meno, nonostante le disposizioni del d.l. 90/2014, l’obbligo posto dall’articolo 1, comma 557, lettera a), della legge 296/2006, ai sensi del quale si richiede agli enti locali di assicurare il contenimento della spesa del personale mediante la “riduzione dell’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento delle spese per il lavoro flessibile”;

  2. la previsione del successivo comma 557-quater, secondo la quale a decorrere dal 2014, gli enti sono tenuti a conseguire “nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, il contenimento delle spese di personale, con riferimento al valore medio del triennio precedente alla data di entrata in vigore delle presenti disposizioni” non è alternativa, bensì integrativa dell’obbligo visto prima.


Dunque, le amministrazioni debbono conseguire la riduzione del costo del personale sapendo che esiste un tetto invalicabile, costituito dal valore medio della spesa relativa riferita al triennio 2011-2013, il quale tetto costituisce un parametro aggiuntivo alla sempre necessaria riduzione dell’incidenza della spesa di personale rispetto a quella corrente. Sicchè, non basta che anno per anno gli enti locali mantengano la spesa di personale entro il massimo di spesa consentito dal comma 557-quater, ma debbono comunque ridurlo in proporzione alla spesa corrente.

La deliberazione della Sezione Autonomie si presta a molteplici critiche. Alcune riferite all’assetto dell’ordinamento attuale, altre a quello che deriverà dall’attuazione della legge 124/2015.

In riferimento all’ordinamento attuale, probabilmente la Sezione Autonomie, che pure nella delibera 27/2015 mostra estrema attenzione a fornire interpretazioni costituzionalmente orientate, non ha dato una lettura completa e corretta dell’articolo 1, comma 557. Essa, infatti, ha soffermato la sua attenzione sul contenuto della lettera a), sorvolando sul precetto generale di detto comma, ai sensi del quale: “Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti al Patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, garantendo il contenimento della dinamica retributiva ed occupazionale, con azioni da modulare nell’ambito della propria autonomia e rivolte, in termini di principio, ai seguenti ambiti prioritari di intervento [...]”.

La norma è a sua volta rispettosa dell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione agli enti locali (autonomia molto meno rispettata per le province…), tanto che il comma 557 mentre rende chiari gli obiettivi, ridurre la spesa di personale, a differenza delle leggi finanziarie precedenti che avevano subito le censure della Consulta in quanto fissavano risultati fissi di riduzione della spesa, lascia all’autonomia, espressamente citata, delle amministrazioni il compito di individuare quali azioni intraprendere per abbassare il peso della spesa di personale e qualificando gli ambiti prioritari di intervento come “principio” e non come regola cogente.

Dunque, è lo stesso comma 557 che, per come formulato, va nella direzione diametralmente opposta a quella segnata dalla delibera 27/2015, secondo cui la riduzione dell’incidenza sia cogente. In realtà è solo un principio, una delle modalità mediante le quali gli enti possono agire, potendo anche attivarne delle altre, purchè, comunque, non oltrepassino la media triennale 2011-2013.

La Corte dei conti continua a non valutare la circostanza che considerare obbligatorio, al di fuori di parametri assoluti, ridurre un indice, significa ammettere conseguenze paradossali sul piano organizzativo, come ritenere possibile nel corso del tempo azzerare la spesa corrente del tutto oppure ritenere giustificato che effetti di “bonifica” della spesa corrente, come quelli che deriveranno dall’armonizzazione contabile, si riverberino in modo automatico ed acritico sul personale. Come se alla “pulizia” del dato della spesa corrente, cioè il denominatore, dovesse necessariamente corrispondere simmetrica ed anzi maggiore riduzione del numeratore, a prescindere del tutto dal fabbisogno lavorativo necessario.

Torniamo, dunque, all’articolo 17, comma 1, lettera q), della legge 124/2015 e all’idea di “superare” le dotazioni organiche.

Questa indicazione apre un problema: al di là dei vincoli finanziari esistenti, che hanno in effetti impedito alle amministrazioni pubbliche di riempire totalmente le dotazioni organiche (non di rado, anche perché gonfiate ad arte), cosa può sostituire l’elenco dotazionale per determinare la spesa massima ammissibile di personale, il numero massimo di dipendenti da assumere e i profili necessari?

Senza dotazione organica, il personale di cui ha bisogno l’ente è, sostanzialmente, quello in servizio. Il superamento della dotazione organica di fatto dà rilievo esclusivo a quella che oggi viene definita “dotazione di fatto”, cioè l’elenco del personale in servizio a tempo indeterminato, la quale costituirebbe la testimonianza fattuale del personale necessario per svolgere le funzioni.

Ma, se, come nella quasi totalità dei casi accade, la dotazione di fatto risulti in misura rilevante ridotta a quella che oggi è la dotazione organica (al netto delle sovrastime)? Come potrebbe un ente dimostrare un sottodimensionamento del personale senza un parametro fisso?

Il fine esplicito della riforma PA è eliminare la dotazione organica come “ostacolo” alla mobilità. I processi di riallocazione del personale pubblico hanno storicamente funzionato poco, in particolare esattamente quelli di natura “obbligatoria”, miranti a razionalizzare la distribuzione del personale da amministrazioni sovrabbondanti verso altre sottodimensionate. Uno dei contenuti più “osannati” della riforma Madia dello scorso anno, il d.l. 90/2014, fu proprio l’introduzione della mobilità d’ufficio entro i 50 chilometri, che avrebbe dovuto rimediare al problema.

Alcuni commentatori ritengono che il superamento della dotazione organica potrà servire proprio al rilancio della mobilità. Un acuto e critico osservatore delle riforme come Francesco Verbaro ha rilevato (“Addio alle dotazioni organiche per far partire la mobilità” in Quotidiano Enti Locali & PA, Il Sole 24 Ore) che “spesso le amministrazioni hanno opposto la mancanza di vuoto di organico alle richieste di mobilità”.

In realtà, le mobilità non sono state, poi, così insignificanti come il Legislatore ritiene. Guardando ai dati del Conto annuale del tesoro del 2013, scopriamo che quell’anno vi furono 29.842 passaggi in mobilità all’interno dello stesso comparto e altre 1.732 mobilità intercompartimentali. Non proprio briciole.

L’ostacolo alla mobilità, soprattutto se finalizzata alla razionalizzazione delle strutture amministrative, è sempre stato principalmente non la dotazione organica, quanto l’assenza dei parametri di equiparazione dei livelli stipendiali, approvati solo sotto la spinta del tentativo di ricollocare le migliaia di dipendenti provinciali in sovrannumero.

La dotazione organica, a ben vedere, con la mobilità ha davvero ben poco a che vedere. Sono due strumenti distinti, non in relazione tra loro. La dotazione, infatti, altro non è se non la determinazione quali-quantitativa del plafond di personale necessario; la mobilità è solo uno strumento di reclutamento del personale, ovviamente finalizzato a coprire esattamente i vuoti di quel plafond.

Quando, domani, la dotazione organica verrà a mancare, come sarà possibile, allora, dimostrare l’esistenza di vuoti da coprire? E, allo stesso modo (come ha brillantemente spiegato F. Verbaro nell’articolo citato), come faranno le amministrazioni a dimostrare l’esistenza di esuberi?

La risposta potrebbe consistere nella valorizzazione della capacità di programmazione. L’elenco triennale dei fabbisogni, reso operativo dagli obiettivi gestionali disposti col Peg, possono di per sé essere i documenti, flessibili, che di anno in anno individuano con precisione la provvista di personale necessario allo svolgimento dei compiti.

Il problema è che l’assenza di un “tetto” qual è la dotazione organica, ma soprattutto l’eliminazione di un elenco rigido delle professionalità necessarie, detta provvista potrebbe essere estremamente mutevole ed incontrollabile.

Facciamo due esempi. Eliminando la dotazione organica si pone il gravissimo problema di regolare e programmare i contratti a tempo determinato. Essi hanno una disciplina particolare nella programmazione e gestione, perchè la loro “extradotazionalità” rende evidente che non si tratta di strumenti ordinari di gestione delle attività lavorative. Però, quando la dotazione organica non vi sarà più, vi sarà una libertà molto maggiore – con rischi di abusi – nelle assunzioni flessibili, non limitate dalle caselle della dotazione organica che potrebbero comunque essere il riferimento giustificativo del fabbisogno da ricoprire, sia pure non in termini permanenti.

Il secondo esempio è ancor più chiaro e riguarda i dirigenti e i responsabili di servizio “a contratto”. Attualmente, negli enti locali, è possibile assumerli entro il 30% della dotazione organica, o entro percentuali più ristrette anche al di là della dotazione organica. Quando essa verrà a mancare, non vi sarà più alcun parametro percentuale possibile, né saranno distinguibili incarichi “entro la dotazione”, da quelli “extra dotazione”, col rischio di una nuova ed ulteriore esplosione di incarichi a contratto, a disdoro dei concorsi pubblici e della complessa gestione del ruolo unico dei dirigenti.

Il Legislatore non pare aver minimamente considerato i rischi operativi che risiedono dietro l’eliminazione della dotazione organica, che, per quanto essa sia un adempimento “burocratico”, possano eliminarsi residue remore a gestioni e reclutamenti “allegri”, con rigonfiamenti di spese e di quantità di personale che potrebbero essere scongiurati solo da regole e vincoli alle assunzioni ancora più cogenti e duri di quelli di oggi. Il che porterebbe a cortocircuiti normativi, interpretativi ed operativi esattamente come quello che si verifica tra la delibera 27/2015 della Sezione Autonomie e la legge 124/2015.

Tale legge potrebbe contenere al suo interno un parziale rimedio al potenziale caos, laddove prevede altri criteri di delega, come la “definizione di obiettivi di contenimento delle assunzioni, differenziati in base agli effettivi fabbisogni” e la “introduzione di un sistema informativo nazionale, finalizzato alla formulazione di indirizzi generali e di parametri di riferimento in grado di orientare la programmazione delle assunzioni anche in relazione agli interventi di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

Il contenimento della spesa di personale basato non più su tagli lineari o, comunque, strumenti validi per tutti, come la riduzione progressiva dell’incidenza sulla spesa corrente, bensì sugli effettivi fabbisogni sarebbe un passo in avanti fondamentale. Sia perché si valorizzerebbe il fabbisogno e, dunque, lo si dovrebbe finalmente definire; sia perché i tagli lineari favoriscono sempre le amministrazioni meno virtuose.

Un sistema informativo nazionale per orientare la programmazione, poi, potrebbe essere lo strumento operativo per la rilevazione dei fabbisogni e la riorganizzazione, che potrebbe stare poi alla base dei processi di mobilità, fine principale dell’eliminazione della dotazione organica.

Occorre sperare che il legislatore prenda atto che, però, senza la definizione di strumenti di rilevazione dei fabbisogni e dei costi standard del personale, né la differenziazione delle modalità di contenimento della spesa di personale, né la programmazione potranno davvero funzionare.

Purtroppo, fabbisogni e costi standard sono i grandi assenti anche nella legge 124/2015, sebbene se ne parli da sempre.

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