sabato 10 ottobre 2015

Appalti centralizzati? Non per servizi sociali ed esclusi dal campo di applicazione del codice

Ricapitoliamo. L’Anac, con la determinazione 23 settembre, n. 11, ha sancito: “Riguardo a tutte le diverse tipologie di acquisti, tenuto conto della collocazione della norma nel Codice (nella parte II, relativa ai contratti pubblici di lavori servizi e forniture nei settori ordinari) il criterio principe per individuare le fattispecie rientranti nel perimetro della disposizione si ritiene che possa essere individuato nella riconducibilità dell’acquisto alla nozione di appalto pubblico secondo la definizione fornita dall’art. 3 comma 6, di lavori (art. 3, comma 7), forniture (art. 3, comma 9) e servizi (art. 3, comma 10) e nel suo pieno assoggettamento alle disposizioni del Codice dei contratti. Devono, pertanto, ritenersi sottratti all’obbligo di acquisizione in forma aggregata gli appalti esclusi in tutto o in parte dall’applicazione del Codice (artt. 19-26), cui si applicano solo pochissimi articoli del medesimo, tra i quali non è contemplato, per l’appunto, l’art. 33. Tra questi sono inclusi anche i servizi di cui all’Allegato IIB, ai quali, pertanto, non si applicano le disposizioni dell’art. 33, comma 3-bis del Codice”.

La determina dell’Anac intende fornire “indirizzi interpretativi sugli adempimenti ex art. 33, comma 3-bis, decreto legislativo 12 aprile 2006 n.163 e ss.mm.ii.” e, dunque, concerne direttamente il cosiddetto sistema di aggregazione degli appalti.

E’ evidente a tutti che l’articolo 33, comma 3-bis, del d.lgs 163/2006 non contiene affatto le limitazioni agli oggetti d’appalto di cui parla l’Anac.

Come mai, allora, l’authority ha pensato ad un atto di regolazione di questa disciplina così delicata, che esclude dal campo di applicazione delle centrali uniche appaltanti, almeno per gli enti locali, una fetta vastissima degli appalti stessi? Ricordiamo che l’allega II B al codice dei contratti elenca non solo i servizi sociali, cui hanno fatto riferimento tutti i commenti alla decisione dell’Anac, ma anche servizi alberghieri e di ristorazione, servizi di trasporto per ferrovia e per via d’acqua, servizi di supporto e sussidiari per i sistemi di trasporto, servizi legali, servizi di collocamento e reperimento di personale, servizi di investigazione e di sicurezza, eccettuati i servizi con furgoni blindati, servizi relativi all’istruzione anche professionale, servizi ricreativi culturali e sportivi, servizi sanitari e sociali appunto.

Un orizzonte immenso di servizi, moltissimi dei quali fortemente caratterizzanti proprio le principali attività degli enti locali, che viene sottratto alla disciplina delle centrali uniche appaltanti.

Ma come? La centralizzazione degli appalti non era la chiave per far funzionare la mitica “spending review”?

Evidentemente all’equazione secondo la quale riducendo le centrali di committenza si ottiene maggiore efficienza nella gestione degli appalti e automaticamente una riduzione della spesa non crede più molto nemmeno l’Anac.

L’authority, comunque, con la determinazione 11/2015 ha, almeno, il merito di essere stata capace di uscire dagli slogan e dalle banalizzazioni.

Per mesi, anni, abbiamo sentito dire e letto su tutti i giornali dei miracoli scaturenti dalle centrali uniche. Ma, alla lettura avveduta e realistica dei fatti, appariva chiaro da sempre che non era lontanamente immaginabile un sistema capace di garantire realmente l’unificazione di tutte le tipologie d’appalto.

E’ sempre spiacevole citare se stessi, ma quanto ha chiarito l’Anac con la determinazione 11/2015 era facilmente intuibile e prevedibile da molto prima. Infatti, chi scrive giunse alle stesse conclusioni il 31 luglio 2014, con l’articolo pubblicato su LeggiOggi “Appalti: l’illusione delle centrali-bacchetta magica”. Sembra inevitabile riportarne alcuni stralci. Come quando ci si chiede “se sia davvero immaginabile che una sola centrale d’acquisto regionale possa in modo efficiente gestire per gli enti locali in particolare i servizi tipici di questi enti:

- mense scolastiche;

- assistenza domiciliare per anziani o portatori di handicap;

- trasporto degli alunni disabili nelle scuole;

- assistenza socio-didattica per disabili sensoriali;

- organizzazione dei centri estivi;

- sfalcio erba;

- servizi bibliotecari;

- manifestazioni culturali, turistiche e sportive;

- trasporto disabili e gestione di centri loro dedicati”.

E in aggiunta: “Gli appalti di servizio della tipologia sintetizzata prima per loro natura non sono e non saranno mai gestibili da una centrale unica di committenza, per un fatto semplicissimo: sono troppo legati al territorio, alla contingente necessità di fasce di popolazione e alla specifica società in cui si opera, trattandosi, appunto, di servizi sociali. Cosa si fa, un appalto nazionale per la mensa scolastica?”.

E, infine: “Per mettere sotto controllo la spesa per i “consumi intermedi” è molto più importante e necessario fare cose meno “di bandiera” ma estremamente efficaci:

1) finalmente e per davvero, realizzare un prezziario, da aggiornare periodicamente, che vincoli la fissazione delle basi di gara; lo previde la prima volta la legge finanziaria per il 1994; non c’era internet, oggi si può;

2) ripristinare i controlli esterni preventivi di legittimità sui provvedimenti che avviano le gare, per controllare come mai non si usino le centrali di committenza, se oggetto dell’appalto è un’acquisizione da esse gestite, e verificare se si rispettino le basi di gara di cui appunto al prezziario.

E abbandonare l’idea infantile che l’attività della pubblica amministrazione si svolga tutta su una sedia dietro una scrivania dotata di stampante e pc: ci sono assistenti sociali, operai, insegnanti, infermieri, ispettori, agenti di polizia municipale, una quantità sterminata di lavoratori che svolgono le proprie funzioni fuori, senza nè pc nè carta nè scrivanie, che assicurano servizi per le persone, non imbrigliabili in mega appalti”.

Da notare che all’idea del “prezziario” è arrivato anche il legislatore, che con l’articolo 9, comma 7, del d.l. 66/2014 ha affidato all’Anac il compito di pubblicare i “prezzi di riferimento” per gli appalti possibili, in relazione all’assenza di convenzioni operative con la Consip.

Peccato che da allora, l’elenco dei prezzi di riferimento censiti dall’Anac sia fermo alla sola carta in risme e null’altro. E ulteriore peccato è che le tipologie delle convenzioni siano ferme a una quindicina di appalti di forniture e servizi.

Il tutto è segno evidente che le idee astratte sono bellissime per fare propaganda e dare per acquisiti risparmi da “spending review” faraonici, che, poi, alla prova dei fatti regolarmente non sono conseguibili, semplicemente perché le idee di fondo sono sbagliate nelle dimensioni.

La centralizzazione degli appalti era possibile, ed è opportuna, nell’ambito di forniture e servizi standard. Impossibile per gli appalti di opere pubbliche e servizi come quelli elencati prima. La presenza delle 35 centrali di committenza, esclusa tutta la vastissima tipologia di appalti che la stessa Anac esclude, è dunque solo una piccola, per quanto opportuna, misura di razionalizzazione, ma assolutamente non la panacea della spending review. Era meglio dirlo da prima, ma va benissimo che indirettamente l’Anac, finalmente, lo abbia confermato.

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