sabato 14 novembre 2015

Il caso De Luca conferma la visione dell'Anac: il potere di nomina della politica è fonte potenziale di corruzione

Il Piano Nazionale Anticorruzione aggiornato di recente dall’Anac allarga le aree considerate per loro natura a rischio. Oltre alle 4 previste dall’articolo 1, comma 16, della legge 190/2015 (provvedimenti concessori, appalti, erogazione di contributi e ausili finanziari, concorsi), aggiunge altre 4 aree “generali” di rischio:

- gestione delle entrate, delle spese e del patrimonio;

- controlli, verifiche, ispezioni e sanzioni;

- incarichi e nomine;

- affari legali e contenzioso.

Dunque, è acclarato dal principale strumento di lotta alla corruzione adottato dalla stessa Autorità nazionale che tutto quanto concerna l’ambito di incarichi e nomine risulti di per sé esposto a rischi rilevanti di corruzione.

Si tratta, come sempre, della corruzione di carattere amministrativo. Cioè di una nozione di corruzione “in senso ampio”, che, sempre secondo il Pna è da intendere come segue: “Si conferma la definizione del fenomeno contenuta nel PNA, non solo più ampia dello specifico reato di corruzione e del complesso dei reati contro la pubblica amministrazione, ma coincidente con la “maladministration”, intesa come assunzione di decisioni (di assetto di interessi a conclusione di procedimenti, di determinazioni di fasi interne a singoli procedimenti, di gestione di risorse pubbliche) devianti dalla cura dell’interesse generale a causa del condizionamento improprio da parte di interessi particolari. Occorre, cioè, avere riguardo ad atti e comportamenti che, anche se non consistenti in specifici reati, contrastano con la necessaria cura dell’interesse pubblico e pregiudicano l’affidamento dei cittadini nell’imparzialità delle amministrazioni e dei soggetti che svolgono attività di pubblico interesse”. Naturalmente, il compimento di questi atti non esclude che si possa anche giungere alla commissione dei reati di corruzione e concussione e gli altri reati contro la pubblica amministrazione, rilevanti per la fattispecie.

E’, dunque, perfettamente evidente che incarichi e nomine sono considerare dall’Anac esposte a un rischio congenito: quello di essere condizionate impropriamente da interessi particolari, tali da indurre nominante e nominando a comportamenti che potrebbero non comportare necessariamente reati, ma contrastanti con la necessaria cura dell’interesse pubblico.

Facciamo un solo esempio astratto: l’assegnazione di un incarico dirigenziale a contratto a persona di grandissima fiducia di un sindaco, per particolari rapporti di amicizia o affinità e comunanza di azione politica, ad una persona priva del necessario titolo di studio (la laurea). La fattispecie potrebbe non dare luogo al reato vero e proprio di corruzione; tuttavia, quanto esemplificato evidenzia una deviazione chiara dall’interesse pubblico. Un incarico simile, infatti, non garantisce l’imparzialità della scelta, né il possesso del destinatario della quantità di conoscenze necessarie allo svolgimento della funzione, mentre è finalizzato a rinsaldare un rapporto personale, e, dunque, un interesse privato, che finisce per prevalere su quello pubblico o, comunque, per piegarlo a fini diversi e in parte contrastanti.

Passiamo, ora, ad un esempio concreto, noto in base alla cronaca di questi giorni: la nomina del marito del giudice che ha fatto da relatore del collegio che ha sospeso la sospensione dalla carica del presidente della Regione Campania.

Non è questa, ovviamente, la sede per commentare i fatti, né per esprimere qualsiasi avviso che possa anticipare nessuna conclusione dell’inchiesta penale che si è aperta, anche perché di deve necessariamente applicare la presunzione di non colpevolezza.

Ma, come ci ha ricordato l’Anac, ai fini della lotta alla corruzione intesa in senso ampio, non deve necessariamente rilevare l’aspetto penale di una vicenda, bensì il più semplice manifestarsi del vulnus all’interesse pubblico, determinato dall’inquinamento di contrastanti interessi privati.

Le cronache dei giornali riportano che l’interessato alla nomina o incarico come direttore generale o dirigente amministrativo di un’Asl ha ritenuto di cogliere l’occasione data dalla circostanza che la propria moglie fosse giudice relatore della vertenza che avrebbe potuto segnare le sorti del possibile “king maker”, il presidente della regione Campania.

Al di là degli aspetti di rilievo penale, tutti da approfondire e valutare, il fatto appare esemplare: qualcuno ha cercato di approfittare della situazione di fatto, per tentare di far emergere il proprio interesse personale alla nomina, “scambiandolo”, per il tramite di intermediari alcuni dei quali appartenenti allo staff del presidente della regione, con l’interesse del medesimo presidente ad una pronuncia non sfavorevole, mercè la presenza di un giudice di collegio, per altro relatore, coniuge dell’interessato alla nomina.

L’inquinamento degli interessi, anche solo potenziale, è evidentissimo. E se la nomina del coniuge del magistrato alla fine non c’è stata, la sentenza invece sì.

Sembra evidente che un sistema come quello vigente, che lascia alla politica poteri estesissimi di “nomina ed incarico” si espone mani e piedi a pericoli di inquinamento. Un potere molte volte illimitato e al limite dell’arbitrario di nomina ovviamente finisce per orientare le proprie scelte non verso la selezione dei migliori, ma di portatori d’acqua o, persino, di ricattatori.

E, si ribadisce, non si tratta in questo caso di una valutazione personale pessimistica di chi scrive: è la stessa Anac, col Pna, a sancire che incarichi e nomine sono aree ad elevato ed innato rischio di corruzione.

Ma, visto che le cose stanno esattamente come paventa l’Anac, poiché le cronache e le sentenze, da quelle penali a quelle amministrative a quelle contabili, sono pieni della narrazione di illeciti dei più disparati proprio nel campo delle nomine e degli incarichi, sarebbe il caso di prenderne definitivamente atto. Per porvi rimedio.

Il Piano Nazionale Anticorruzione, così come i piani triennali di ciascuna singola amministrazione, non dovrebbe servire solo a denunciare l’ovvio, ma estendersi all’indicazione di specifici rimedi necessari alla riduzione dei rischi rilevati.

Nel caso degli incarichi e delle nomine sembra perfino banale osservare che uno dei fondamentali e principali rimedi alla corruzione non può che consistere nel sottrarre più ampiamente possibile alla politica poteri di nomina e incarico diretto, non mediati da serie e controllate procedure strettamente e realmente selettive.

Purtroppo, invece, con la legge Madia, la legge 124/2015 si è andati nella direzione completamente opposta, costruendo un sistema di affidamento degli incarichi dirigenziali lasciato al totale arbitrio degli organi di governo, con la sola labile copertura di una preselezione di sola forma, da parte di commissioni nazionali. Sarà facilissimo per ogni sindaco, assessore, presidente e ministro orientare le commissioni in modo che nelle rose dei preselezionati siano sistematicamente presenti i “predestinati”, perché poi le scelte arbitrarie cadano su di essi.

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