sabato 10 settembre 2016

Assunzioni e spesa di personale: il fenomeno di ciò che è, ma è anche altro


La Corte dei conti lo ha specificato da tempo: la spesa di personale costituisce un aggregato cangiante, a seconda delle norme e della prospettiva con cui lo si guarda. Come è noto, la Sezione Autonomie con la deliberazione 26 luglio 2013, n. 17, lo ha ammesso candidamente: non esiste “una disposizione normativa che indichi sicuramente quali siano le componenti dell’aggregato spesa di personale, e quindi quali siano le voci da includere e quelle, viceversa, da escludere”.
Un caso clamoroso di negazione di quello che dovrebbe essere un elemento fondante di qualsiasi ordinamento giuridico: la certezza del diritto.
Per quanto concerne la spesa di personale, ma addirittura lo stesso concetto di “assunzione”, il lavoro pubblico ormai da decenni brancola nel buio, in assenza di indicazioni chiare e stabili nel tempo, rendendo così impossibile quella programmazione che, però, lo stesso legislatore e Corte dei conti vorrebbero costante, continua, corretta, precisa.
Si assiste, dunque, ad una serie di indicazioni contraddittorie, dalle quali molto spesso emerge che un certo istituto al contempo “è” ma anche “è un’altra cosa”.

Una confusione dilagante. Se le riforme “epocali” servissero davvero, dovrebbero prendere di mira esattamente questo insieme di contraddizioni e finalmente eliminarlo, per dare vita ad un corpo giuridico unico di disciplina del lavoro pubblico, che, in particolare, esca dall’equivoco di regolare il concetto di assunzione non alla luce della sua logica disciplina, quella lavoristica, ma anche e talvolta in modo preponderante, sulla base della disciplina finanziaria. Ciò che negli anni ha fatto sì, ad esempio che venga considerata spesa “di personale” quella relativa a consulenze e collaborazioni, pur non essendo propriamente spesa di personale in quanto non si determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato.
Siamo, tuttavia, lontanissimi da una riformulazione delle norme in materia, volta a cercare di fare un minimo di ordine.
Ne è testimonianza piena e diretta il d.l. 113/2016, convertito in legge 160/2016, che in pochissime norme, sostanzialmente gli articoli 16 e 17, rappresenta la summa della confusione passata, presente e futura, con cui il legislatore, coadiuvato nel generare caos da Corte dei conti, Aran e Mef in grande spolvero, ha sin qui “regolato” la materia. Alcuni esempi.
Spesa per gli incarichi a contratto. L’articolo 16, comma 1-quater, del d.l. 113/2016 convertito in legge 160/2016 dispone: “All'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dopo l'ottavo periodo è inserito il seguente: «Sono in ogni caso escluse dalle limitazioni previste dal presente comma le spese sostenute per le assunzioni a tempo determinato ai sensi dell'articolo 110, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267»”. Si tratta dell’esempio paradigmatico esattamente di un istituto che è, ma al tempo stesso non è.
Sappiamo che ai sensi dell’articolo 9, comma 28, del famigerato d.l. 78/2010 convertito in legge 122/2010 (una legge che andrebbe urgentemente eliminata per sempre dall’ordinamento giuridico) si pongono limitazioni alla spesa relativa ai contratti di lavoro flessibile: il 50% della spesa sostenuta per varie forme flessibili nel 2009, che per gli enti locali in regola con l'obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell'articolo 1 della legge 296/2006i, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, sale al 100%.
La Corte dei conti che, come ricordato sopra, contribuisce in maniera significativa al caos, con una serie di pronunce nel passato aveva affermato l’impossibile: cioè che la spesa per gli incarichi a contratto regolati dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000, cioè rapporti di lavoro inequivocabilmente a tempo determinato, non rientrasse nell’aggregato della spesa previsto dal citato articolo 9, comma 28.
Una teoria sicuramente azzardata e totalmente erronea. Come rilevato, l’articolo 110 si riferisce senza incertezza alcuna a rapporti di lavoro subordinato a tempo deteriminato, espressamente menzionati dall’articolo 9, comma 28, tra le forme flessibili oggetto del contenimento della spesa. Ma, non si sa mai che qualche magistrato contabile o di altre giurisdizioni possa essere incaricato di fare il capo di gabinetto o il dirigente a contratto in qualche comune. Dunque, la Corte dei conti ha lasciato questi incarichi fuori dal campo di applicazione dell’articolo 9, comma 28, pur in aperto contrasto con la legge. Dando vita così al fenomeno degli incarichi a contratto che sono rapporti di lavoro a tempo determinato a fini sostanziali, ma non lo sono a fini finanziari!
La magistratura contabile, però, conscia che l’ossimoro era davvero rilevante è tornata di recente sui suoi passi, proprio mentre era in moto il processo legislativo del decreto enti locali 2016. Dunque, la Sezione Autonomie, con la delibera 3 maggio 2016, n. 14, ci ha ripensato: “Le spese riferite agli incarichi dirigenziali conferiti ex art. 110, primo comma, del decreto legislativo n. 267 del 2000 devono essere computate ai fini del rispetto del limite di cui all’art. 9, comma 28, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010”.
Per una volta che la legge era stata correttamente interpretata a partire dal chiarissimo dato letterale, apriti cielo.
Sì, perché la natura duplice dell’incarico ex articolo 110, tempo determinato “esente” dall’articolo 9, comma 28, in passato ammessa dalla Corte dei conti, ha indotto i comuni a creare un aggregato di spesa esemplificato in 1000 pari alla spesa per personale flessibile 2009, a cui aggiungere un 100 connesso alla spesa per l’articolo 110. Una volta che la Corte dei conti corregge il tiro delle sue interpretazioni, riallineandole finalmente alla legge, però, quei comuni si ritrovano i 100 spesi per gli articoli 110 compresi nel limite di 1000 per la spesa di personale flessibile: l’effetto è ridurre da 1000 a 900 il tetto col quale arrabattarsi per acquisire personale flessibile.
Poteva, dunque, restare ferma nell’ordinamento una disciplina finalmente chiara e lineare, a seguito dell’autocorrezione della Corte dei conti? No. Così è stato. Dunque, l’articolo 16, comma 1-quater, della legge 160/2016 ricrea per via normativa l’assurdo a suo tempo elaborato in provetta per via interpretativa.
Quindi le spese per le assunzioni ai sensi dell’articolo 110 (non solo di dirigenti, ma anche dei responsabili di servizio e delle alte professionalità) sono escluse dall’articolo 9, comma 28, nonostante sia lo stesso comma 1-quater a ricordare che si tratta di contratti a tempo determinato. Che, quindi, sono tali ai fini della qualificazione giuslavoristica, ma non lo sono ai fini finanziari. Lo scempio alla logica e alla razionalità del diritto prosegue.
Limiti di spesa. Vi sono, poi, i casi eclatanti dei limiti di spesa che sono, ma non sono, e comunque cambiano in relazione alla tipologia degli enti o a situazioni contingenti, che creano regole e sotto regole inestricabili.
Il comma 1 dell’articolo 16 della legge 160/2016 fa un regalo non da poco alle sempre tanto bistrattate logica e razionalità del diritto, abolendo la lettera a) dell’articolo 1, comma 557, della legge 296/2006.
Anche in questo caso, si è assistito ad un balletto di contraddizioni inscenato tra Corte dei conti e Legislatore, che avrebbe dovuto trovare soluzione molto, molto prima.
Come è noto, il d.l. 90/2014, convertito in legge 114/2014 aveva sostanzialmente posto nel nulla il significato stesso dell’articolo 1, comma 557, lettera a), della legge 296/2006, introducendo nel medesimo articolo il nuovo comma 557-quater: “Ai fini dell'applicazione del comma 557, a decorrere dall'anno 2014 gli enti assicurano, nell'ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio precedente alla data di entrata in vigore della presente disposizione”. Si capiva anche qui perfettamente e senza ombra alcuna che il riferimento alla spesa di personale era un tetto fisso: il valore medio del triennio 2011-2013. Posto che tale tetto avesse valore 1000, gli enti avrebbero potuto annualmente far oscillare la spesa di personale un anno a 999, l’altro a 998, l’anno dopo di nuovo a 999 e così via.
Naturalmente questa interpretazione si sposava senza nessun problema alla formulazione della lettera a) del comma 557, volta a prevedere come sola disposizione di principio la previsione di una discesa annuale costante della spesa di personale rispetto all’anno precedente: una volta che si fissi un tetto invalicabile alla crescita della spesa, di fatto il principio posto è necessariamente rispettato.
Non così secondo la Corte dei conti, che nel 2015, mentre le amministrazioni erano soffocate dai problemi enormi di gestione del personale posti dalla sciagurata legge 190/2014, allo scopo di regolare la messa in soprannumero dei dipendenti delle province e creare percorsi di ricollocazione cagionanti un sostanziale blocco delle assunzioni, ha elaborato la teoria che la previsione della lettera a), espressamente qualificata dal comma 557 come “principio” fosse, invece, cogente. Dando così vita al bizzarro ulteriore mostro giuridico: il principio che è al contempo disposizione puntuale e inderogabile.
Almeno in questo caso, il Legislatore ha risolto la questione con l’abolizione della lettera a) dell’articolo 557. Ma sarebbe stata necessaria una norma di interpretazione autentica con effetto retroattivo, per porre davvero nel nulla la lettura erronea data dalla Corte dei conti, la quale sulla base del principio tempus regit actum può ovviamente ancora incidere sui comuni che avessero letto la disposizione come principio e non avessero garantito la discesa annuale della spesa, pur rispettando il tetto della media del triennio 2011-2013. Il rischio che la partita resti ancora aperta e la possibilità di contenziosi è lungi dall’essere scongiurato.
Che dire, poi, dei tetti di spesa annui, riferiti al flusso di assunzioni effettuabili e programmabili? Il caos regna totale.
Le regole in campo sarebbero le seguenti:
-                     tetto alla spesa per assunzioni flessibili non superiore al 50% della spesa del 2009, che sale al 100% per gli enti virtuosi, escludendo le assunzioni di cui all’articolo 110;
-                     il tetto della spesa per le assunzioni in ruolo è ricostruibile per il 2016 da questa iniziale tabella, riferita alla legge 190/2014 e al d.l. 90/2014:

80% del costo delle cessazioni del 2015

In questo 80% è compreso il 25% del tetto che vigerà negli anni 2016, 2017 e 2018.

Il 25% finanzia esclusivamente le assunzioni di cui alle lettere c) e d) dell’elenco qui a fianco.

Non è chiara la fonte di finanziamento di cui alla lettera e) sempre dell’elenco qui a fianco.

Chiusa la procedura di ricollocazione dei dipendenti provinciali, solo il 25% del costo delle cessazioni finanzierà tutte le assunzioni; tornerà a potersi svolgere la mobilità “neutra”.

Ai sensi del comma 228 della l. 208/2015 negli anni 2016, 2017 e 2018 si possono assumere a tempo indeterminato solo le qualifiche non dirigenziali.


Utilizzabile:

a)            prioritariamente per le assunzioni conseguenti a concorsi con graduatorie vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015;

b)           per le assunzioni dei dipendenti delle province posti in sovrannumero;

c)            per le assunzioni del personale appartenente alle categorie protette;

d)           per assunzioni per figure infungibili, ai sensi della deliberazione 19/2015 della Sezione Autonomie e dell’articolo 4 del d.l. 78/2015, convertito in legge 125/2015?

e)            per finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonchè la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti del personale provinciale trasferito (art. 10, comma 2, Dpcm 14.9.2015)

Ma, in realtà, in applicazione dell’articolo 1, commi 424 e 425, della legge 190/2014, si può giungere ad utilizzare il 100% del costo delle cessazioni del 2015, a condizione che il restante 20% sia

riservato esclusivamente ai dipendenti provinciali trasferiti in sovrannumero
Anche in questo caso si nota un’incongruenza: nel 2016 il margine del budget assunzionale riservato ai dipendenti in sovrannumero diminuirà, invece di almeno restare costante.
Resti assunzionali del triennio 2012-2013-2014

Utilizzabili:

a)        liberamente per qualsiasi tipo di assunzione (purchè ciò sia previsto dal programma delle assunzioni 2016);


Nulla vieta di destinare queste risorse anche all’acquisizione di personale provinciale in sovrannumero.

I resti assunzionali del 2014 utilizzabili liberamente saranno quelli del 60% non integralmente riservati al personale soprannumerario?

Molto chiaro, vero? Ma, la situazione cambia con la legge 208/2015:
25% del costo delle cessazioni del 2015, che però per gli enti il cui rapporto spesa di personale/spesa corrente sia inferiore al 25%, per il solo 2016 può essere del 100% (articolo 1, comma 228, della legge 208/2015)

In questo 100% è compreso il 25% del tetto che vigerà negli anni 2016, 2017 e 2018.

Il 25% finanzia esclusivamente le assunzioni di cui alle lettere c) e d) dell’elenco qui a fianco.

Non è chiara la fonte di finanziamento di cui alla lettera e) sempre dell’elenco qui a fianco.

Chiusa la procedura di ricollocazione dei dipendenti provinciali, solo il 25% del costo delle cessazioni finanzierà tutte le assunzioni; tornerà a potersi svolgere la mobilità “neutra”.

Ai sensi del comma 228 della l. 208/2015 negli anni 2016, 2017 e 2018 si possono assumere a tempo indeterminato solo le qualifiche non dirigenziali.


Utilizzabile:

a)            prioritariamente per le assunzioni conseguenti a concorsi con graduatorie vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015;

b)           per le assunzioni dei dipendenti delle province posti in sovrannumero;

c)            per le assunzioni del personale appartenente alle categorie protette;

d)           per assunzioni per figure infungibili, ai sensi della deliberazione 19/2015 della Sezione Autonomie e dell’articolo 4 del d.l. 78/2015, convertito in legge 125/2015?

e)            per finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonchè la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti del personale provinciale trasferito (art. 10, comma 2, Dpcm 14.9.2015)

In applicazione dell’articolo 1, commi 424 e 425, della legge 190/2014, resta la possibilità di giungere ad utilizzare il 100% del costo delle cessazioni del 2015, a condizione che il restante 20% sia 
riservato esclusivamente ai dipendenti provinciali trasferiti in sovrannumero
Anche in questo caso si nota un’incongruenza: nel 2016 il margine del budget assunzionale riservato ai dipendenti in sovrannumero diminuirà, invece di almeno restare costante.
Resti assunzionali del triennio 2012-2013-2014

Utilizzabili:

a)        liberamente per qualsiasi tipo di assunzione (purchè ciò sia previsto dal programma delle assunzioni 2016);


Nulla vieta di destinare queste risorse anche all’acquisizione di personale provinciale in sovrannumero.

I resti assunzionali del 2014 utilizzabili liberamente saranno quelli del 60% non integralmente riservati al personale soprannumerario?

Con l’articolo 16 della legge 160/2016, il quadro della situazione cambia ancora:

25% del costo delle cessazioni del 2015, che però per gli enti il cui rapporto spesa di personale/spesa corrente sia inferiore al 25%, per il solo 2016 può essere del 100% (articolo 1, comma 228, della legge 208/2015)

In questo 100% è compreso il 25% del tetto che vigerà negli anni 2016, 2017 e 2018.

Il 25% finanzia esclusivamente le assunzioni di cui alle lettere c) e d) dell’elenco qui a fianco.

Non è chiara la fonte di finanziamento di cui alla lettera e) sempre dell’elenco qui a fianco.

Chiusa la procedura di ricollocazione dei dipendenti provinciali, solo il 25% del costo delle cessazioni finanzierà tutte le assunzioni; tornerà a potersi svolgere la mobilità “neutra”.

Ai sensi del comma 228 della l. 208/2015 negli anni 2016, 2017 e 2018 si possono assumere a tempo indeterminato solo le qualifiche non dirigenziali.

Però i comuni con popolazione da 1000 a 9.999 abitanti con un rapporto dipendenti/popolazione inferiore al a quello definito con il decreto del ministro dell'Interno per gli enti dissestati (articolo 263, comma 2, del Tuel):
possono assumere entro una spesa pari al 75% del costo delle cessazioni dell’anno precedente, fermo restando che la spesa passa al 100% se il rapporto spesa di personale/spese correnti è inferiore al 25%

I comuni con popolazione fino a 1000 abitanti continuano ad assumere tutto il turn-over.

A seguito dello sblocco delle assunzioni per gli agenti di polizia municipale nelle regioni interessate, le possibilità di spesa sono integralmente utilizzabili a tal fine.

Le risorse sono utilizzabili:

a)            prioritariamente per le assunzioni conseguenti a concorsi con graduatorie vigenti o approvate alla data dell’1.1.2015;

b)           per le assunzioni dei dipendenti delle province posti in sovrannumero;

c)            per le assunzioni del personale appartenente alle categorie protette;

d)           per assunzioni per figure infungibili, ai sensi della deliberazione 19/2015 della Sezione Autonomie e dell’articolo 4 del d.l. 78/2015, convertito in legge 125/2015?

e)            per finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonchè la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti del personale provinciale trasferito (art. 10, comma 2, Dpcm
14.9.2015)

nelle regioni e negli enti locali del loro territori non ancora interessate dallo sblocco delle assunzioni, disposto invece in Emilia Romagna, Lazio, Marche e Veneto. Presso queste regioni, quindi, non si applicano più le regole speciali indotte dalla legge 190/2014.

Inoltre, l’articolo 16, comma 1-ter, prevede che nelle regioni in cui sia stato ricollocato il 90 per cento del personale soprannumerario delle province, i comuni e le città metropolitane possono riattivare le procedure di mobilità: dunque, la spesa

In applicazione dell’articolo 1, commi 424 e 425, della legge 190/2014, resta la possibilità di giungere ad utilizzare il 100% del costo delle cessazioni del 2015, a condizione che il restante 20% sia 
riservato esclusivamente ai dipendenti provinciali trasferiti in soprannumero, nei territori per i quali non operi ancora lo sblocco completo delle assunzioni.
Anche in questo caso si nota un’incongruenza: nel 2016 il margine del budget assunzionale riservato ai dipendenti in sovrannumero diminuirà, invece di almeno restare costante.
Resti assunzionali del triennio 2012-2013-2014

Utilizzabili:

a)        liberamente per qualsiasi tipo di assunzione (purchè ciò sia previsto dal programma delle assunzioni 2016);


Nulla vieta di destinare queste risorse anche all’acquisizione di personale provinciale in sovrannumero.

I resti assunzionali del 2014 utilizzabili liberamente saranno quelli del 60% non integralmente riservati al personale soprannumerario?

Insomma, come si nota, il tetto alle assunzioni è e al tempo stesso è qualcosa d’altro; le assunzioni sono ma non sono possibili, le condizioni sono ma sono contestualmente diverse a seconda di come gira la ruota.
Un caos devastante, che rende la gestione del personale, della spesa, dei bilanci, dei Dup, dei Peg, della contrattazione decentrata, della programmazione delle assunzioni un’opera alchemica, lontanissima da ogni regola di “managerialità”, “flessibilità”, “aziendalismo”, gli slogan ripetuti da tempo, negati dalla realtà e da una congerie di leggi asfissianti, che nessuna riforma è in grado di eliminare una volta per tutte.


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