martedì 27 dicembre 2016

La riforma Madia della dirigenza non avrebbe evitato il caso Marra

Sul Corriere della sera del 27 dicembre 2016, l'articolo intitolato «Statali, si studia un disegno di legge su incarichi a tempo e concorsi» si dà la notizia secondo la quale «il nuovo governo potrebbe tornare alla carica con i dirigenti della pubblica amministrazione».
In particolare «l'esecutivo potrebbe presentare un nuovo disegno di legge per recuperare almeno una parte delle norme studiate nei mesi passati e poi saltate, come quelle sugli incarichi a tempo, sul ruolo unico, sui corsi-concorsi, sulla riduzione dello stipendio per chi resta senza incarico. La questione viene esaminata in questi giorni, ma la decisione finale dovrebbe essere presa a gennaio».
La cosa non desta nessuna sorpresa. La dirigenza pubblica è un osso molto succoso da spolpare per una politica alla ricerca di deresponsabilizzazione erariale, da un lato, e della realizzazione di un apparato amministrativo che non risponda alla Nazione come pur prevede l'articolo 98 della Costituzione, ma si trasfiguri in un partitizzazione della PA, al servizio, quindi, della maggioranza e del politico al governo di volta in volta, per perseguire interessi ristretti delle cerchie di potere in cerca di autolegittimazione, piuttosto che l'interesse generale.
La sentenza 251/2016 della Corte costituzionale non può essere, da sola, un argine contro questi intenti, perchè, pur avendo fermato il percorso della deleteria riforma Madia, non è entrata nel merito dei contenuti della riforma, bocciata, come è noto per il «cavillo» della mancata intesa con le regioni e non per gli aspetti di grave violazione di norme costituzionali quali, in particolare, gli articoli 97 e 98 ed i principi ivi enunciati di imparzialità, non discriminazione, efficienza, autonomia operativa dei funzionari della PA.
In realtà, non mancano affatto pronunce della Consulta che hanno già evidenziato nel passato la profonda incostituzionalità di leggi intese a realizzare uno spoil system smisurato, del quale non si ha esempio in nessuna Nazione del mondo appena qualificabile come democratica: a partire dalle note sentenze 103 e 104 del 2007, la Corte costituzionale ha consolidato un orientamento fortemente contrario a qualsiasi legge che ammetta lo spoil system al di là delle pochissime centinaia di incarichi dirigenziali di massimo vertice nello Stato (come il Ragioniere generale o il Capo della polizia, per esempio).
E' ben evidente a tutti che la riforma Madia sarebbe risultata per larga parte incostituzionale esattamente per la violazione decisa e smaccata proprio alle enunciazioni più volte ripetute dalla Consulta. Ma, come si nota, il Governo non intende mollare la presa. E c'è da essere convinti che se non sarà questo esecutivo a dare la spinta al Parlamento, per mancanza di tempo, sarà il successivo ad agire. Anche perchè c'è la norma «apripista»: la legge regionale 18/2016 del Friuli Venezia Giulia, approvata poco prima della solenne bocciatura del decreto attuativo della riforma Madia. Lo Stato non vede l'ora di estendere la «mini Madia» friulana al resto d'Italia, nonostante la piena consapevolezza della frontale incompatibilità con gli insegnamenti della Consulta e dell'insostenibilità dei contenuti della riforma con la Costituzione, come del resto ha evidenziato in maniera chiarissima il Consiglio di stato, col parere della Commissione speciale 14 ottobre 2016, n. 2113. Parere, come noto, totalmente ignorato dagli estensori del testo finale del decreto attuativo della legge 124/2015.
C', dunque, da essere certi che presto o tardi il percorso di riforma ripartirà e che solo la Corte costituzionale potrà intervenire per porvi rimedio.
La riforma della dirigenza, costituente uno dei capitoli della più ampia riforma della PA, infatti, riscuote molto consenso tra i cittadini e la stampa generalista, che, limitandosi ad analizzarne gli aspetti generali e le enunciazioni di principio, come la valorizzazione del merito e della professionalità ed il contenimento delle retribuzioni (puntualmente contraddette, invece, nei testi normativi), presenta l'iniziativa come necessaria ed utile se non imprescindibile.
Il consenso larghissimo della riforma pare assolutamente trasversale: non è apparso per nulla, infatti, che le forze di opposizione si siano più di tanto impegnate ad avversare i contenuti proposti dal Governo. E' evidentissimo che tutte le forze politiche guardino con favore alla possibilità di realizzare uno spoil system diffusissimo, per «piazzare» nei gangli decisivi della pubblica amministrazione dirigenti «vicini» al partito.
La diffusione larghissima del consenso alla riforma della dirigenza nel senso della spinta verso un allargamento estremo dello spoil system è comprovata, oltre al resto, dalla posizione più volte espressa da una voce molto critica sull'operato del Governo, quella del direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che nel commentare in particolare il bilancio finale di quanto fatto dall'ex premier e le vicende di Roma, ha affermato di aver apprezzato in particolare proprio le linee generali della riforma Madia e di considerare come un vero e proprio problema l'assenza dello spoil system, indirettamente qualificata come elemento alla base delle disavventure operative, per così dire, nelle quali è incorso il sindaco di Roma, Virgina Raggi (ci si ostina nel rifiuto di utilizzare il femminile per la carica di sindaco).
Il direttore de Il Fatto Quotidiano, a proposito delle vicende legate a Raffaele Marra, ha sostenuto che, in fondo, il sindaco Raggi non avrebbe potuto fare molto per «liberarsene», proprio perchè i dirigenti di ruolo, qual è il dott. Marra, non possono essere licenziati in mancanza dello spoil system, indirettamente evocato come rimedio ai mali della burocrazia.
Si tratta, però, di una posizione profondamente erronea: lo spoil system non è, infatti, la soluzione, bensì il problema.
Sul piano della stretta cronaca, il direttore de Il Fatto Quotidiano, rispetto alla vicenda Marra, equivoca. Alla Raggi è stata imputata l'eccessiva fiducia nei confronti del Marra, discendente non certo dalla circostanza che il Marra stesso, in quanto dirigente di ruolo non solo non poteva essere licenziato in assenza di una giusta causa, nè che gli fosse stato assegnato il correlato incarico dirigenziale. Gli «imbarazzi» creati dal Marra alla Raggi derivano esattamente proprio dalla volontà di quest'ultima di avvalersi in pieno dello spoil system che la giurisprudenza continua a tollerare per i cosiddetti incarichi degli uffici «di diretta collaborazione» degli organi di governo, regolati, nelle amministrazioni statali, dall'articolo 14, comma 2, del d.lgs 165/2001 e dai regolamenti ministeriali; nelle amministrazioni locali, parzialmente disciplinati dall'articolo 90 del d.lgs 267/2000.
Non si deve dimenticare che il «caso Marra» è scoppiato quando il sindaco Raggi ha incaricato, avvalendosi esattamente del potere di incarico assuntamente fiduciario previsto dall'articolo 90 del Tuel, nel proprio staff, col ruolo di vice capo di gabinetto. Le funzioni negli staff, proprio ai sensi del citato articolo 90, possono essere assegnate dai sindaci senza concorsi e per via sostanzialmente fiduciaria a persone che, anche se dipendenti del medesimo ente incaricante, vengono poste in aspettativa ed assumono la configurazione di dirigenti (se incaricati di funzioni dirigenziali) in staff al sindaco, pur se già dirigenti di ruolo (per altro, l'articolo 90, come di recente modificato da una legge-Madia, il d.l. 90/2014 convertito in lege 114/2014, consente addirittura di incaricare in funzioni dirigenziali di staff ai sindaci persino persone non laureate, parametrando il loro stipendio a quello spettante ai dirigenti).
Stando così le cose, la Raggi non si è «trovata» il problema-Marra perchè impossibilitata a licenziarlo a causa dell'assenza dello spoil system. Esattamente all'opposto, la Raggi ha creato da sè il problema-Marra, proprio esercitando il potere di spoil system assuntamente consentito dall'articolo 90 del d.lgs 267/2000, chiamandolo fiduciariamente come vice capo di gabinetto. La stessa Raggi, poi, ha ulteriormente aggravato il problema, quando ha revocato al Marra l'incarico nello staff, «restituendolo» a funzioni dirigenziali gestionali, ma mettendolo a capo del personale con una procedura piuttosto «telecomandata», aprendo anche la stura alla quanto meno poco elegante vicenda dell'attribuzione al fratello del Marra di una posizione dirigenziale più alta e meglio retribuita di quella precedente, in una posizione di plateale conflitto di interesse del capo del personale poi arrestato per fatti di corruzione risalenti al 2013.
Dunque, l'eventuale entrata in vigore della legge Madia non avrebbe per niente salvaguardato la Raggi dall'esposizone alle non opportune «influenze» del Marra.
Per altro, chi segue il ragionamento proposto dal direttore de Il Fatto Quotidiano mostra di non aver valutato pienamente i contenuti del decreto attuativo della legge 124/2015. Esso, infatti, prevede uno spoil system selvaggio, prevedendo l'obbligatoria scadenza degli incarichi dirigenziali senza possibilità di rinnovo esclusivamente per la dirigenza di ruolo di natura operativa.
Ma, i dirigenti degli uffici di diretta collaborazione o in staff agli organi di governo sono lasciati totalmente fuori dal sistema infernale degli incarichi. La durata di questi incarichi in staff non è di 4 anni, bensì coincide con quella del mandato politico e i medesimi incarichi possono essere rinnovati ad libitum; inoltre, quel dirigente di ruolo (come il Marra) che a seguito dell'avvicendarsi di un sindaco si ritrovasse senza più l'incarico nello staff, tornerebbe direttamente a ricoprire l'incarico dirigenziale per il quale sarebbe andato in aspettativa, perchè la riforma Madia consente un «paracadute» proprio ai dirigenti di matrice spiccatamente politica, mentre è impietosa con i dirigenti assunti per concorso, sena legami diretti con i partiti e senza tessere.
Diagnosi come quelle proposte dal direttore de Il Fatto Quotidiano sono totalmente sbagliate, così come le terapie immaginate. Il sistema per garantire una dirigenza efficiente è quello indicato dal Consiglio di stato, col parere 2113: introdurre una valutazione seria ed efficace dell'operato dei dirigenti. La pretesa di una dirigenza soggetta allo spoil system è un modo semplicistico e poco rispondente alla volontà dei «padri costituenti» tante volte evocati in questi mesi per risolvere i problemi della PA; è d'obbligo ricordare che una dirigenza «di partito» era proprio uno degli elementi caratterizzanti la dittatura che la Costituzione, nata dalla Resistenza, intende non si produca mai più nel nostro Paese. Riformare la PA e la dirigenza ricorrendo a categorie e criteri incompatibili con la Costituzione, sia pure con forme più «sofisticate» e meno smaccate (visto che non è previsto il dominio del «partito unico» nella cosa pubblica) non pare, oggettivamente, una grande idea.
Sperare che la stampa più attenta alla conservazione dei valori democratici, nei quali non può mancare una PA e una dirigenza pubblica autonoma dai partiti, per quanto doverosamente obbligata a dare attuazone agli indirizzi politici, comprenda che la riforma della dirigenza non può essere nemmeno lontanamente caratterizzata dai contenuti della legge Madia è d'obbligo. Essere fiduciosi che si sappia davvero passare dall'analisi degli slogan a quelli concreti dei contenuti è, purtroppo, eccessivo.

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