domenica 12 marzo 2017

Dati patrimoniali dei dirigenti: il Tar Lazio dice stop alla loro pubblicazione

Il Tar Lazio che sospende un provvedimento del Garante della privacy relativamente alla pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi e dello stato patrimoniale dei dirigenti che lavorano presso il Garante stesso per violazione della privacy è una vicenda riscontrabile solo in Italia.

Solo nel nostro Paese possono accadere visibili paradossi come quello oggetto dell’ordinanza 2 marzo 2017, n. 1030, emessa dal Tar Lazio contro le note della segreteria generale del Garante, che hanno imposto ai dirigenti dell’Autorità di conferire i dati previsti dall’articolo 14 del d.lgs 33/2013, per la loro successiva pubblicazione.
Il Tar Lazio ha ritenuto di sospendere in via cautelare l’efficacia di dette note:
1) per la consistenza delle questioni di costituzionalità e di compatibilità con le norme di diritto comunitario sollevate in ricorso;
2) per l’irreparabilità del danno paventato da ricorrenti, discendente dalla pubblicazione online, anche temporanea, dei dati per cui è causa, da cui l’esigenza di salvaguardare la res adhuc integranelle more della decisione del merito della controversia.
La domanda da porsi è, allora: ma, questo benedetto FOIA funziona o non funziona? I cittadini hanno o no un diritto “sacrosanto” di vedere pubblicati i dati sul patrimonio e sui guadagni dei dirigenti pubblici?
Il Garante, che di queste cose dovrebbe intendersene, ha evidentemente ritenuto che sì, il FOIA debba prevalere. Il Tar, invece, ha ravvisato possibili profili di incostituzionalità e di danno esattamente alla protezione dei dati personali. Una cosa davvero singolare.
Ma, al di là delle amnesie possibili del Garante della privacy o di un problema di cortocircuito giudiziario, il vero tema è un altro. Riguarda l’opportunità della scelta di mettere in piazza la situazione patrimoniale dei dirigenti pubblici, estendendo nei loro confronti una previsione disposta da prima per gli organi politici di governo.
E’ una chiara volontà del legislatore di accomunare sorti della politica con quella della dirigenza, una sorta di segnale rivolto ai cittadini: “vedete? I dirigenti li nominiamo e revochiamo noi, dipendono da noi, sono con noi un tutt’uno, dunque li trattiamo come noi”.
Non è da trascurare la circostanza che la pretesa giuridica di pubblicare i dati patrimoniali dei dirigenti sia stata introdotta nel d.lgs 33/2013 dal d.lgs 97/2016, uno dei primi decreti attuativi della “riforma Madia”. Sì, quella stessa riforma che, appunto, intervenendo sulla dirigenza intendeva precarizzarla oltre ogni limite accettabile, soggiogarla al tallone della politica, renderla soggetta esclusivamente a valutazioni arbitrarie sulle nomine e sulle revoche.
Una riforma, questa della dirigenza, arenatasi fortunatamente per l’incidente di percorso della mancata intesa con le regioni, colpito dalla sentenza della Consulta 251/2016.
Il “clima” di riforma nel quale la previsione dell’articolo 14, comma 1-bis, del d.lgs 33/2013 ha esteso ai dirigenti gli obblighi di pubblicazione dei loro patrimoni non è indifferente per valutare l’opportunità della norma.
Che, al di là di ogni altra valutazione giuridica opportunamente rimessa dal Tar alle giurisdizioni della Consulta e della Corte Europea di Giustizia, appare appunto altamente inopportuna, soprattutto perché lesiva della netta separazione che deve essere perseguita e anche evidenziata tra la funzione politica e quella gestionale.
Mettere in piazza redditi da lavoro di chi non opera nella pubblica amministrazione per scelta politica, ma perché vi lavora, appare oggettivamente una forzatura. Esigere che i dirigenti depositino le dichiarazioni dei redditi e patrimoniali, per metterle a disposizione di qualsiasi autorità anche giudiziaria va benissimo, come strumento anti corruzione. La “piazzata” appare, invece, eccessiva, una conseguenza della volontà di accomunare tutto, i rischi di illecito arricchimento da attività politica di chi la politica la fa, come fossero identici a quelli di chi non fa politica, ma opera come apparato servente di questa, per garantirne il raggiungimento degli obiettivi, ma nel rispetto di regole imparziali tecniche e giuridiche.
Se l’ordinanza potrà essere l’occasione per rivedere profondamente la scelta oggettivamente demagogica di imporre la pubblicazione di dati riservati, che nessuna regola di salvaguardia dei dati personali ammetterebbe mai, ben venga. Soprattutto per estirpare l’idea che tra politica e gestione vi sia totale identità. Questa riguarda la dirigenza “fiduciaria”. Sarebbe meglio lasciare da parte chi nella PA lavora ed opera con meccanismi di reclutamento e di valutazione che con l’appartenenza politica e la “fiducia” non hanno nulla a che vedere.

2 commenti:

  1. Caro Oliveri, nonostante l'ordinanza del TAR ieri 15 marzo ANAC ha comunque promulgato le sue Linee guida in materia. Un vero e proprio braccio di ferro sulla pelle delle amministrazioni e dei loro responsabili per la trasparenza. Non sarebbe stato più opportuno che l'ANAC prendesse atto dell'attuale stato del contenzioso e sospendesse fino a novembre l'applicazione delle disposizioni in oggetto? E come dovrebbero comportarsi le amministrazioni di fronte a questa inedita situazione di un'Autorità che viola apertamente (anche se non formalmente) le decisioni di un organo della magistratura?

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  2. Altra considerazione. Non Le sfuggirà, caro Oliveri, che il Garante privacy, che non poteva sostenere uno scontro diretto con ANAC nell'attuale clima giustizialista, ha "provocato" indirettamente la smentita per via giudiziaria dell'Autorità sua "rivale", pur formalmente mostrando di volerle accondiscendere. Altro che "evidentemente ritenere che il FOIA debba prevalere". Machiavellico ma geniale.

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