sabato 25 marzo 2017

Quello strano no agli obblighi di trasparenza per gli uffici in staff alla politica

La deliberazione 241/2017 dell’Anac sull’applicazione dell’articolo 14 del d.lgs 33/2013 non può non destare più di una perplessità, nel regolare gli obblighi di pubblicazione per i dirigenti.

Si deve dare atto all’Autorità che essa, come riferisce nella delibera, “ha espresso forti perplessità sulla disposizione in esame, specie per quel che concerne l’ostensione dei dati reddituali e patrimoniali, tenuto conto che ai dirigenti comunque si applica la norma che stabilisce la pubblicazione degli emolumenti percepiti a carico della finanza pubblica”.
Perplessità più che condivisibili. L’Anac osserva argutamente che, in effetti, “con le modifiche apportate al d.lgs. 33/2013 dal d.lgs. 97/2016 si è introdotto un principio di tendenziale allineamento in tema di trasparenza tra organi politici e dirigenti”.
Non è chi non veda l’irragionevolezza di questo principio. O, almeno, tale irragionevolezza è stata ravvisata dal Tar Lazio, con l’ordinanza della Sezione I-Quater 2 marzo 2017, n. 1030, che ha accolto il ricorso di alcuni dirigenti dell’Autorità Garante della privacy proprio contro la pubblicazuione delle dichiarazioni dei redditi e della situazione patrimoniale, imposta ai dirigenti pubblici dall’articolo 14 del d.lgs 33/2013, avendo il Tar riscontrato:
- la consistenza delle questioni di costituzionalità e di compatibilità con le norme di diritto comunitario sollevate in ricorso;
- l’irreparabilità del danno paventato dai ricorrenti, discendente dalla pubblicazione online, anche temporanea, dei dati per cui è causa, da cui l’esigenza di salvaguardare la res adhuc integra nelle more della decisione del merito della controversia.
Naturalmente, l’Anac, più di aver sollevato perplessità sul contenuto della norma non poteva. Quindi, con la linea guida relativa alla trasparenza non poteva certo disapplicarla.
Sta di fatto che l’allineamento in tema di trasparenza tra organi politici e dirigenti sicuramente operato dal d.lgs 97/2016 che ha modificato i contenuti dell’articolo 14 del d.lgs 33/2013 appare molto discutibile. Non si capisce, infatti, la ragione per la quale debba esistere un medesimo regime di “controllo diffuso” della popolazione sullo stato patrimoniale sia di chi si candida a cariche elettive, sia di chi, invece, null’altro fa se non svolgere un’attività lavorativa.
Ponendo che i rischi di corruzione siano da fissare in misura equivalente per incarichi politici e dirigenziali, poiché questi ultimi non sono elettivi, non si capisce quale possa essere la ratio della loro ostensione alla popolazione: sarebbe bastato il deposito delle dichiarazioni dei redditi e patrimoniali agli atti delle amministrazioni, o al limite imporne anche la trasmissione alla Procura della repubblica per svolgere ogni possibile controllo. La pubblicazione appare eccessiva, come fuori mira l’assimilazione tra politici e dirigenti, espressamente non voluta dall’ordinamento del lavoro pubblico, che pone in maniera esplicita il principio di separazione tra politica e dirigenza.
Si vedrà quale sarà l’esito dell’iniziativa del Tar Lazio ed il destino della norma, se andrà al vaglio della Corte costituzionale.
Certo è, però, che la delibera 241/2017 dell’Anac difficilmente si fa apprezzare per coerenza. Infatti, se esordisce con una critica sommessa all’assimilazione tra politica e dirigenza ivi rilevata, per altro verso, mentre si autoesclude correttamente dal potere di sottrarre la dirigenza “operativa” agli obblighi di legge, contestualmente, invece, si assume un potere – oggettivamente non previsto da nessuna norma – per incidere sulle disposizioni normative e decidere di sottrarre agli obblighi di pubblicità i dirigenti incaricati negli uffici di diretta collaborazione (o in staff) agli organi di governo.
Leggiamo la delibera: “Con riferimento a tali uffici l’Autorità ha ritenuto necessario svolgere uno specifico approfondimento. Occorre in primo luogo distinguere tra incarichi dirigenziali conferiti all’interno degli uffici e incarichi di capo/responsabile dell’ufficio. Per i primi non vi sono dubbi sull’applicazione del regime di trasparenza introdotto per tutta la dirigenza amministrativa dall’art. 14, co. 1-bis. Più incerta, invece, appare l’individuazione del regime applicabile ai secondi”. Perchè sarebbe incerta? La domanda appare priva di risposta, soprattutto leggendo il testo dell’articolo 14, comma 1-bis, del d.lgs 33/2013 ai sensi del quale “Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui al comma 1 per i titolari di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo comunque denominati, salvo che siano attribuiti a titolo gratuito, e per i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione”.
La norma appare scritta in modo così ampio ed onnicomprensivo da far ritenere che:
- l’espressione “a qualsiasi titolo conferiti” ricomprenda l’assegnazione di incarichi dirigenziali sia a titolo di preposizione a vertici operativi, sia agli staff degli organi di governo;
- l’espressione “conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico” riguarda certamente proprio e specificamente gli incarichi negli staff degli organi di governo.
Sorprendentemente, invece, l’Anac sostiene che la intrinseca estraneità dei dirigenti in staff agli organi di governo alla dirigenza amministrativa non possa “essere superata da una interpretazione estensiva della disposizione dell’art. 14, co. 1-bis, allorché applica il regime di trasparenza di cui al co. 1 agli «incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedura pubbliche di selezione». Soprattutto la parte finale del periodo deve essere interpretata nel senso che il legislatore ha voluto comprendere nel regime di trasparenza tutti i dirigenti amministrati, ivi compresi quelli nominati come “dirigenti esterni” (in applicazione dell’art. 19, co. 6 del d.lgs. 165/2001). Anche per questi si resta nel campo della dirigenza amministrativa”.
Perchè includere i dirigenti in staff agli organi di governo tra gli obbligati alla pubblicità esattamente come i dirigenti preposti alla gestione sarebbe una “interpretazione estensiva” non è dato capire, visto che appare, al contrario, una stretta interpretazione letterale, come visto prima.
L’Anac, come si vede, sul piano interpretativo ritiene di poter esercitare quel potere di vera e propria disapplicazione della norma, che non ritiene di poter adottare per i dirigenti preposti alla gestione e sancisce: “Dalla lettura della nuova disciplina dell’art. 14 deriva una chiara esclusione per i responsabili degli uffici di diretta collaborazione dal regime introdotto per la dirigenza amministrativa”, precisando che “a tali soggetti sia applicabile il regime di trasparenza di cui alle lett. da a) ad e) del co. 1 dell’art. 14, dal momento che il più restrittivo regime che comprende anche la pubblicità di cui alla lett. f) risulta escluso”.
L’interpretazione fornita non è condivisibile né nel metodo, né nel merito. Sul piano del metodo interpretativo, l’Anac da un lato esercita un potere derogatorio o disapplicativo di cui assolutamente non dispone; inoltre, l’interpretazione che fornisce va sicuramente al di là del chiarissimo significato delle parole contenute nella norma, contrastando con le evidenze dell’interpretazione letterale che, quando risulti esplicita e non controversa, non può essere travisata da altre modalità interpretative.
Nel merito, poi, quanto conclude l’Anac appare ancor meno accettabile, proprio in virtù del rilevato “allineamento” del trattamento normativo della politica con quello della dirigenza. Come è possibile, infatti, da un lato evincere – correttamente – il principio di “allineamento” e, dall’altro, escludere da detto allineamento proprio la dirigenza più contigua e, quindi, oggettivamente e davvero “allineata” alla politica? Come è possibile, proprio per incarichi i cui compensi spesso sfondano tutti i tetti imposti dalla contrattazione collettiva? Come è possibile che questo si disponga per incarichi che, negli enti locali ai sensi dell’articolo 90, comma 3-bis, possono anche essere affidati a soggetti con la sola terza media? Non è evidente che le esigenze di “controllo diffuso” proprie del tanto esaltato “Foia” all’italiana dovrebbero concentrarsi soprattutto nei confronti di chi assurge a cariche onerose per processi strettamente politici e non di ingresso nel mondo del lavoro?

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