11. Madonna dei
pellegrini (o di Loreto), olio su tela, 1604 S. Agostino, cappella Cavalletti,
Roma.
Dedichiamo a questa straordinaria pala d'altare lo spazio della quarta parte dell'analisi breve di alcune opere di Caravaggio esposte a Milano.
Si tratta di uno
dei capolavori assoluti e più noti del Caravaggio, che tocca i vertici più
elevati della sua arte, anche perché ha l’occasione di esprimere con essa la
sua adesione alla chiesa povera, vicina ai poveri, al popolo, visione religiosa
certamente assimilata nella Milano di Carlo Borromeo.
Ma è un quadro
noto ed importante per la storia che gira attorno alla modella utilizzata dal
Merisi, causa di uno dei tantissimi guai con la giustizia, uno tra i più gravi,
sventato grazie alle protezioni di cui il pittore godeva a Roma.
Il tema
dell’opera è chiaro e semplicissimo: due pellegrini dalle vesti lacere, povere
e sudice si inginocchiano davanti alla casa della Madonna in devota preghiera.
I loro piedi sono in primo piano, gonfi per la lunga camminata scalzi e
conseguentemente sporchi di terra e fango. Il realismo di questa immagine è
particolarmente pronunciato. Giovanni Baglione, pittore, grande rivale,
contemporaneo e biografo di Caravaggio nella sua Le vite de' pittori,
scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a'
tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642 così racconta della pala d’altare: “una
Madonna di Loreto ritratta dal naturale con due pellegrini, uno co’ piedi
fangosi, e l’altra con una cuffia sdrucita e sudicia”, sicchè “per
queste leggierezze in riguardo delle parti che una gran pittura aver dee, da’
popolani ne fu fatto estremo schiamazzo”. Il Baglione, pur essendo un
caravaggesco, non aveva molta stima e simpatia per Caravaggio e considerava una
degenerazione della pittura “alta” l’indugiare realistico su dettagli come la
cuffia sdrucita ed i piedi sudici. Ed attribuì a questo “disvalore” della
pittura le ragioni dello “schiamazzo” del popolo.
I due pellegrini
rappresentano perfettamente l’ideale di povertà ed umiltà della Chiesa tanto
caro al Caravaggio, che ha visto, come tutti gli abitanti di Roma, tantissimi
pellegrini laceri giungere nella città, spinti dalla devozione.
L’ideale di
povertà è rappresentato anche dalla casa di Maria, che si presenta con uno
spoglio scalino all’entrata, una povera porta ed un intonaco vecchio, imbrunito
dall’usura e sbrecciato, tanto che compaiono i mattoni sotto. Caravaggio forse
dipinge una delle tante case poco curate dei quartieri della Roma che
frequentava. Che fosse ispirato dall’ingresso della sua abitazione presa in
affitto da Prudenzia Bruni in vicolo San Bagio.
Il quadro coglie
il premio per la devozione degli stanchi pellegrini: il miracolo
dell’apparizione davanti ai loro occhi di Maria, col figlio in braccio, ad
accoglierli, salutarli, con un gesto che li onora e sembra quasi invitarli ad
entrare.
Anche Maria è
scalza, ma i suoi piedi sono invece torniti, colti nella leggerissima posa del
gesto dell’uscire e rientrare dall’uscio, quasi in volo. E’, probabilmente,
questo l’unico accenno al “volo” della casa da Nazareth a Loreto.
Ancora una
volta, Caravaggio innova e modifica i canoni. Nell’iconografia classica, la
casa della Madonna di Loreto è rappresentata in volo, sorretta da angeli e
cherubini.
Quella del
Caravaggio è solidamente ancorata al suolo, tangibile per le ginocchia e le
membra dei fedeli in preghiera, “ospiti” di Maria.
In braccio alla
Madonna, un Gesù bambino benedicente allegro, sorridente, contento di vedere ed
incontrare i fedeli che tanto hanno viaggiato per vederlo e pregare. Non sfugge
che anche la rappresentazione del bambino Gesù è particolarmente fuori dai
canoni: il bambino (probabilmente il figlio di Lena), infatti, è vistosamente più cresciuto rispetto all’età con
la quale classicamente viene rappresentato nella pittura.
La pala d’altare
dipinta da Caravaggio è carica di elementi innovativi, che colpiscono in modo
molto forte l’osservatore, soggiogato da altri due fattori. Il primo è il
solito straordinario effetto di luce e oscurità, capace di dare alle figure
rappresentate una straordinaria tridimensionalità, accentuata ulteriormente
dalla tecnica dell’olio su tela, grazie alla quale la raffigurazione si staglia
rispetto agli affreschi dei laterali e della volta della cappella Cavalletti,
ove il quadro di Caravaggio è stato posto.
Il secondo è
l’anche questo consueto e pronunciatissimo realismo del Caravaggio, che
racconta episodi come i miracoli o le storie bibliche sempre attraverso il
linguaggio della realtà, un verismo pronunciato che lo spinge a ritrarre
modelli veri, reali, riconoscibili.
Ed è proprio qui
che l’arte di Caravaggio si intreccia inscindibilmente con la vita di
Caravaggio e le sue scelte sempre forti e in molta misura provocatorie.
La chiesa di S.
Agostino da molto tempo era il luogo di preghiera ed anche di sepoltura delle
cortigiane d’alto bordo di Roma. Caravaggio aveva già utilizzato come modelle
delle cortigiane, come Annuccia Bianchini e Fillide Melandroni ed è evidente
che le sue frequentazioni lo portano in ambienti ricchi di cortigiane e
prostitute.
Non si è,
dunque, sottratto all’istinto di tornare a far impersonare Maria da una
cortigiana, ritraendo Maddalena (Lena) Antognetti, conosciutissima a Roma, perché
“riceveva” pochissimo lontano da S. Agostino, in piazza Navona.
Un realismo, che
più reale e provocatorio non poteva essere. Un conto, infatti, era stato
utilizzare prostitute per dare il volto alla Madonna in quadri destinati a
collezioni ed abitazioni private. Ben diverso era, invece, rappresentare una
prostituta in una commessa “pubblica”, coma la pala d’altare di una cappella di
una chiesa frequentatissima dai devoti e molto amata dai romani.
Due altre volte
Caravaggio dipingerà pale d’altare aventi per soggetto Maria: la Madonna dei
palafrenieri (o della serpe), che ritrae di nuovo Lena
Madonna dei palafrenieri o della serpe, olio su tela 1605-06, Galleria Borghese, Roma |
e la Morte della vergine (che secondo alcuni ritrae ancora una volta una prostituta, realmente morta, affogata nel Tevere, forse Annuccia Bianchini).
Morte della Vergine, olio su tela 1604-06, Louvre, Parigi |
Entrambe furono oggetto
di rifiuto da parte dei committenti.
Nel caso della
Madonna di Loreto, invece, gli eredi di Ermete Cavalletti, che era andato in
pellegrinaggio a Loreto, capirono e forse condivisero il messaggio del Merisi e
l’opera venne accettata ed esposta nella cappella, ove si trova a Roma.
Non fu, dunque,
il quadro a presentare per Caravaggio una tra le tante vicissitudini, quanto la
modella, Lena Antognetti.
Il legame che il
pittore aveva con la cortigiana (probabilmente non solo “sentimentale” ma anche
“d’affari”) lo indusse il 29 luglio 1605 ad aggredire il “notaio” (in realtà,
un funzionario del tribunale papale, qualcosa di maggiormente simile ad un
cancelliere) Mariano Pasqualone, che, con la sua denuncia contro Caravaggio, ci
ha lasciato una testimonianza viva dell’irruenza del pittore, raccontando
quanto accadutogli mentre passeggiava a piazza Navona: “ io sono qui
all’off[ici]o perchè son stato assassinato (ferito) da Michelangelo da
Caravaggio pittore nel modo che dirò a vostra signoria. Il signor Galeazzo et
me adesso che può essere un’hora di notte incirca (tra le 20 e le 21, nda)
passeggiando in Navona avanti il palazzo del signor imbasciator di Spagna, mi
sono sentito dare una botta in testa dalla banda di dietro, che io sono subbito
cascato a terra et sono restato ferito in testa, che credo sia stato un colpo
di spada che come vostra signoria vede io ho una ferita in testa dalla banna
manca, et poi se ne è fuggito via Io non ho visto chi sia stato quello che mi
ha ferito, ma io non ho da fare con altri che con detto Michelangelo, perché a
queste sere passate havessimo parole sul Corso lui et io per causa d'una donna
chiamata Lena che sta in piedi a piazza Navona passato il palazzo ovvero il
portone del palazzo del signor Sartorio Teofilo,, che è donna di Michelangelo.
E di gratia vostra signoria mi spedischi presto acciò me possa medicare”.
Lena “che sta in
piedi” a piazza Navona è la donna ritratta, che sta in piedi nel quadro a
ricevere i pellegrini, ma nella vita sta “in piedi”, sulla porta a ricevere ben
altra umanità e “clientela”.
Più trasgressivo
il quadro non poteva essere, anche se la sua posizione in una chiesa da sempre
frequentata dalle cortigiane attenuava la folgorante provocazione del
Caravaggio. Così che c’è da dubitare che lo “schiamazzo” del popolo derivasse
dallo stile pittorico, ma fosse, piuttosto, causato dal fatto che tutti
riconobbero Lena, che batteva poco lontano dalla chiesa di S. Agostino e
commentarono evidentemente ad alta voce, con lazzi e scherzi, l’accostamento
ardito tra sacro e profano concepito dal Merisi.
L’aggressione al
Pasqualone costò molto cara a Caravaggio. Già sotto processo per altri fatti,
si diede alla latitanza, fuggendo a Genova, dove grazie alle presentazioni di
Costanza Colonna, di Vincenzo Giustiniani e Ottavio Costa ebbe protezione. Per
tutto il mese di agosto si intrattennero trattative tra Caravaggio, i
protettori, il tribunale e lo stesso Pasqualone, per evitare al pittore una
durissima condanna. Il 26 agosto 1605, il Merisi era di nuovo a Roma per
firmare una sorta di transazione penale col Pasqualone: “Il Michel Angelo
Merisio essendo stato incaricato di parole oltraggiato da messer Mariano notaro
del Vicario et non avendo di giorno lui voluto portar spada mi risolsi a darli
dove io l’incontrassi et capitandomi avanti una sera con un altro accompagnato
et conosciutolo benissimo in viso, li diedi, del che me ne rincresce assai, che
se l’havessi da fare non lo farìa, et ne li dimando perdono et la pace e tengo
che detto messer Mariano con la spada in mano sia huomo da rispondere a me et a
qualsivoglia altra persona. Io Michel Angelo Merisi affermo quanto di sopra.
Datum 26 augusti 1605” [da Caravaggio, Graham Dixon, pag 286].
Proprio quello
stesso giorno, Prudenzia Bruni, che affittava l’appartamento di Caravaggio,
poiché non aveva ricevuto il pagamento della pigione chiese il sequestro dei
suoi beni e ne fece redigere un prezioso inventario[1].
Al che Caravaggio reagì il successivo 1 settembre 1605, lanciando pietre contro
l’abitazione della Bruni e poi suonando per strada stornelli ingiuriosi contro
di lei. Seguì, ovviamente, l’ennesima denuncia contro il Merisi.
[1] In primis una credenza d’albuccio con tre cantori incorniciata d’ontano con dentro undeci pezzi de vetro, cioè bicchieri, carafe, et fiasche di paglia, un piatto, due
saliere, tre cucchiare, un tagliere et una scudella, et sopra detta credenza
doi candellieri d’ottone, un altro piatto, due coltelli
piccoli et tre vasi de terra. Item una brocca d’acqua.
Due scabelli. Item un tavolino roscio con due tiratori. Item un paro de banchetti
da letto Un quatro. Item un forzieretto coperto de corame negro con dentro un
par de calzoni et un giuppone stracciati Una quitara, una violina Un pugnale,
un paro de pendenti, un centurino vecchio et un battente di porta Item un
tavolino un poco grande Item due sedie de paglia vecchie et una scopettina Item
due spade, et dui pugnali da mano Item un par de calzonacci verdi Item un
matarazzo. Item una rotella Item una coperta Item un letto da oprire et servire
per servitori Item una lettiera con due colonne Item una cassetta da far
servitio Item un scabello Item una cassapanca vecchia Item un catino de
maiolica Item un’altra cassa con dodici libn dentro. Item
due quadri grandi da depingere Item una cassaccia con certi stracci dentro Item
tre scabelli Item un specchio grande Item un scudo a specchio Item tre altri
quadri più piccoli Item una banchetta a tre piedi Item
tre talari grandi Item un quadro grande de legname Item una cassa d'ebano con
un cortello dentro. Item due banchetti da letto Item un trepiedi alto di legno
Item una caiioletta con certe carte de colori Item una libarda Item dui altri
telari.
Nessun commento:
Posta un commento