giovedì 30 novembre 2017

Caos anche sulle attività di volontariato


La delibera 26/2017 della Sezione Autonomie della Corte dei conti produce altra confusione
  
Non bastando le tante difficoltà operative ed interpretative su temi rilevantissimi come gli appalti, la gestione del personale e l’ormai impossibile gestione della finanza e dei tributi, la Sezione delle Autonomie contribuisce al caos con l’ennesima discutibile pronuncia, questa volta in tema di volontariato.

Si tratta della deliberazione 24 novembre 2017, n. 26, che contraddicendo a 180 gradi le pronunce maggioritarie delle sezioni regionali di controllo, afferma che gli enti locali possono assicurare i singoli cittadini come volontari, inserendoli in specifici registri del volontariato da istituire con propri regolamenti.
Il principio di diritto affermato dalla Sezione è il seguente: “Gli enti locali possono stipulare, con oneri a loro carico, contratti di assicurazione per infortunio, malattia e responsabilità civile verso terzi a favore di singoli volontari coinvolti in attività di utilità sociale, a condizione che, con apposita disciplina regolamentare, siano salvaguardate la libertà di scelta e di collaborazione dei volontari, l’assoluta gratuità della loro attività, l’assenza di qualunque vincolo di subordinazione e la loro incolumità personale”.
Si tratta di una decisione che apre rischi di attivazione di vero e proprio lavoro nero. La magistratura contabile mostra di avere poca contezza pratica e concreta del modo col quale gli enti locali gestiscono le forme di regolazione delle attività dei cittadini che non costituiscono rapporti di lavoro e, comunque, possono essere rivolte all’utilità sociale. Ne è stato prova recente il sistema totalmente illecito sul piano lavoristico di utilizzo dell’ex lavoro accessorio (noto come sistema dei voucher), sulla base del quale tantissimi comuni hanno di fatto coperto fabbisogni ordinari della propria dotazione organica.
Le indicazioni della Sezione Autonomie vanno in diretto contrasto con la recente e più aderente ai rischi insiti nella realtà concreta deliberazione della Sezione Lombardia 24 ottobre 2017, n. 281. Detta Sezione parte dalla consapevolezza dei problemi che possono discendere da un utilizzo disinvolto del volontariato: “Non bisogna dimenticare, che anche al fine di evitare la costituzione di rapporti di lavoro impropri (precari o occasionali) alle dipendenze della Pubblica Amministrazione (e in assenza di una disciplina legislativa), l’accesso al lavoro negli enti pubblici è presidiato da norme costituzionali (art. 97 Costituzione)”. E giunge alla conclusione diametralmente opposta a quella indicata dalla Sezione Autonomie: “Nella nuova disciplina, pertanto, non è rinvenibile alcuna disposizione che potrebbe rendere legittimo l’onere assicurativo a carico del comune per la prestazione resa dal singolo volontario, in assenza di una convenzione tra l’ente e il Terzo Settore ed in mancanza di una deroga legislativa che contempli la suddetta possibilità. Pertanto è ancora valida la proposizione, anche dopo l’entrata in vigore del nuovo decreto legislativo sulla disciplina del così detto Terzo Settore, contenuta nel parere della Corte dei conti Sez. Toscana (PAR 141/2016), che, con una sintesi efficace di una molteplicità di disposizioni sul punto, afferma che deve: “ritenersi escluso in radice un autonomo ricorso delle PP.AA. a prestazioni da parte di volontari 'a titolo individuale', perché la necessaria 'interposizione' dell'organizzazione di volontariato, ben lungi da inutili e barocchi formalismi, vale a salvaguardia di interessi che sono di 'ordine pubblico’ e che, come tali, non ammettono deroghe od eccezioni di sorta, ad assicurare, da un lato, che lo svolgimento dell'attività dei volontari si mantenga nei rigorosi limiti della spontaneità, dell'assenza anche indiretta di fini di lucro, della esclusiva finalità solidaristica, dell'assoluta e completa gratuità; e, dall'altro, che resti ferma e aliena da ogni possibile commistione la rigida distinzione tra attività di volontariato e a attività “altre””.
Naturalmente, la pronuncia della Sezione Autonomie ha valore nomofilattico, cioè indica il principio di diritto che deve essere rispettato dalle altre Sezioni. Ma, come rilevato, apre problemi enormi, perché mostra di non tenere conto esattamente della necessità di scongiurare il pericolo che l’attività di volontariato vada di molto oltre i limiti della spontaneità, per ricadere in vere e proprie utilizzazioni come lavoratori subordinati senza titolo.
Il contrasto tra la Sezione Autonomie e l’interpretazione maggiormente prudente delle sezioni regionali deriva dalla chiave di lettura offerta dal d.lgs 117/2017, nuovo testo unico sul Terzo Settore, rispetto alla libertà di esercizio dell’attività di volontariato.
Oggetto di contrasto è l’articolo 17, comma 2, del d.lgs 117/2017, ai sensi del quale “Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà”. La congiunzione “anche” cagiona due possibili linee interpretative.
La prima è quella seguita dalla Sezione Autonomie, secondo la quale la congiunzione “anche” va letta nel senso che ai cittadini è data piena libertà di scegliere se svolgere le attività di volontariato attraverso l’associazione ad enti del Terzo Settore, oppure appunto “anche” individualmente, ritenendo di vedere nell’ente locale il soggetto aggregativo al quale riferirsi. Scrive la Sezione Autonomie: “Non sussistono, infatti, preclusioni di principio a che singoli volontari scelgano di porre “il proprio tempo e le proprie capacità” al servizio di un’organizzazione più strutturata, quale quella di un ente locale, capace di indirizzare in modo più proficuo la loro attività alla realizzazione di precisi obiettivi di solidarietà sociale. Tale assunto trova riscontro nell’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 117/2017, il quale recita: «Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore…»”. E poco prima la delibera evidenzia: “Non può non trascurarsi di richiamare, infine, l’art. 1 della legge n. 106/2016, recante delega al Governo per la riforma del Terzo settore,che nell’esplicitare le finalità dell’intervento legislativo ha egualmente voluto sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono a perseguire il bene comune “anche in forma associata”, con ciò rendendo evidente l’assenza di qualsiasi preclusione di principio ad un ricorso all’attività dei singoli cittadini volontari”.
La seconda interpretazione è quella fornita dalla Sezione Lombardia, decisamente contrastante: “Il fatto che nella definizione di volontario, di cui all’art. 17, venga affermato che Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, e che quindi il volontario possa svolgere liberamente la propria attività, anche se non appartenga ad un ente del Terzo Settore, non consente alla P.A., per il principio di legalità che governala la sua azione, di rimborsare l’onere per le spese assicurative sostenute eventualmente dal volontario, o sostenute direttamente dalla pubblica amministrazione. La norma prevede, infatti, tale onere (rimborso) a carico della P.A. solo per le convenzioni stipulate con le organizzazioni del Terzo Settore, in possesso dei requisiti previsti dalla legge, che hanno l’obbligo di assicurare i volontari della cui opera si avvalgono”.
Come si nota, la Sezione Lombardia non radica la sua lettura sulla valutazione del contenuto letterale dell’articolo 17, comma 2, del d.lgs 117/2017 e sulla congiunzione “anche”, ma suggerisce un’interpretazione sistematica, riferendosi alle previsioni del successivo articolo 18 del medesimo decreto legislativo, che riportiamo integralmente di seguito:
1. Gli enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari devono assicurarli contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i terzi.
2. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente Codice, sono individuati meccanismi assicurativi semplificati, con polizze anche numeriche, e sono disciplinati i relativi controlli.
3. La copertura assicurativa è elemento essenziale delle convenzioni tra gli enti del Terzo settore e le amministrazioni pubbliche, e i relativi oneri sono a carico dell'amministrazione pubblica con la quale viene stipulata la convenzione”.
Cone nota la Sezione Lombardia, “solo in tale contesto, ovvero nell’ambito di una convenzione stipulata con un’organizzazione di volontariato (ente del Terzo Settore), individuata tramite una procedura comparativa, la P.A. può (anzi deve) rimborsare il costo assicurativo sostenuto dall’organizzazione, che deve obbligatoriamente provvedere ad assicurare i propri iscritti (art. 18)”.
La posizione espressa dalla Sezione Lombardia appare certamente più corretta, oltre che più prudente. Essa, infatti, oltre che fondarsi su una lettura sistematica di coordinamento delle varie norme del d.lgs 117/2017, si basa anche sul principio di legalità dei titoli di spesa. E’ facile osservare che il d.lgs 117/2017 ammette espressamente l’obbligo a carico degli enti locali di rifondere le spese per assicurazioni agli enti del volontariato esclusivamente nell’ambito delle convenzioni, ma non dispone assolutamente nulla nei riguardi dei singoli cittadini volontari.
D’altra parte, l’articolo 56 del d.lgs 117/2017 consente alle amministrazioni pubbliche di attuare i principi di sussidiarietà mediante il sistema delle convenzioni stipulabili esclusivamente con gli enti del Terzo Settore, da individuare a seguito di procedure comparative; ai sensi del comma 4 del citato articolo 56 solo nell’ambito delle convenzioni con gli enti vanno regolati “i rapporti finanziari riguardanti le spese da ammettere a rimborso fra le quali devono figurare necessariamente gli oneri relativi alla copertura assicurativa”. Nulla di analogo o simile è specificato per la disciplina dei rapporti tra amministrazioni pubbliche e singole persone fisiche volontarie.
E’, anzi, possibile sostenere che ai sensi dell’articolo 56 del d.lgs 117/2017 la forma tipica legale di relazione tra amministrazioni pubbliche e soggetti che operano nel volontariato è esclusivamente quella della convenzione con gli enti del Terzo Settore. Tanto è vero che le PA, sulla base del disposto del comma 1 dell’articolo 56, possono sottoscrivere le convenzioni con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, solo se iscritte da almeno sei mesi nel registro unico nazionale del Terzo settore.
L’iscrizione nei registri è requisito di legittimità delle convenzioni. Non si vede come questo requisito possa essere esteso a singoli cittadini volontari.
L’iscrizione degli enti nel registro unico nazionale avrà lo scopo di garantire che essi abbiano le capacità di assicurare adeguata organizzazione, formazione ed aggiornamento ai volontari. In assenza di simile organizzazione, dovrebbe essere lo stesso ente locale che si convenziona col singolo volontario ad assicurare quei requisiti minimi di efficienza organizzativa che il legislatore pretende nei confronti degli enti del Terzo Settore.
E’ probabilmente per questo che la Sezione Autonomie subordina la possibilità da essa riconosciuta (praeter legem, se non contra legem) agli enti locali di assicurare direttamente singoli volontari alla loro iscrizione in un registro adottato con apposito regolamento. Il parere 26/2017 indica: “dovrà essere prevista l’istituzione di un apposito registro dei volontari, le cui risultanze, se conformi ai criteri previsti per la tenuta dei registri in materia di volontariato, faranno fede ai fini della individuazione dei soggetti aventi diritto alla copertura assicurativa contro gli infortuni e le malattie nonché per la responsabilità civile per i danni cagionati a terzi conseguenti allo svolgimento dell’attività, con oneri a carico dell’ente locale in quanto beneficiario finale delle attività dei singoli volontari dallo stesso coordinate. Il regolamento dell’ente dovrà assicurare, altresì, che i requisiti soggettivi previsti per l’iscrizione nel registro dei volontari non abbiano carattere discriminatorio e che i requisiti psico-fisici e  attitudinali eventualmente richiesti siano finalizzati esclusivamente a garantire agli aspiranti  volontari attività compatibili con le condizioni soggettive di ciascuno di essi”.
Come si nota, in sostanza la deliberazione fraintende del tutto le disposizioni del d.lgs 117/2017 e di fatto finisce per consentire la trasformazione delle amministrazioni in enti che addirittura coordinino direttamente le attività dei volontari, sicchè allo scopo li iscrivono nel registro secondo modalità e criteri di fatto identici a quelli che dovrebbero seguire gli enti del Terzo Settore. Dunque, le amministrazioni dovrebbero al proprio interno creare delle strutture operative di coordinamento delle attività del volontariato dei singoli cittadini.
La cosa è semplicemente impensabile di per sé, posto che va in contrasto aperto esattamente con i principi di sussidiarietà che pure cita e descrive la Sezione Autonomie, ma soprattutto va in contrasto con l’organizzazione della stragrande parte dei comuni italiani, per nulla in grado di attivare una funzione di organizzazione dei servizi di volontariato.
E’ esattamente da questo che scaturiscono i rischi di impiego erroneo dei volontari, tali da poter giungere al lavoro nero. La Sezione Autonomie è consapevole dell’esistenza di questa incognita e si dilunga, dunque, sulla distinzione tra attività di volontariato e di lavoro subordinato:
1.      l’attività di volontariato esuli da qualunque vincolo di natura obbligatoria che non sia il dovere di rispetto discendente dal principio del “neminem laedere”. Essa è, pertanto, intrinsecamente incompatibile con l’instaurazione di un rapporto di lavoro, stabile o precario, autonomo o subordinato, come espressamente sancito dall’art. 17, comma 5, del d.lgs. n. 117/2017 e ribadito dal comma 3, che vieta l’erogazione di compensi a carattere retributivo o in forma di rimborsi spese di tipo forfetario;
2.      È da ritenersi, altresì, che l’attività di volontariato sia incompatibile con qualsiasi forma di “riconoscimento” dell’attività svolta, compresa la precostituzione di titoli di merito ai fini dell’accesso a posizioni di pubblico impiego di qualunque natura;
3.      Lo stesso è a dirsi per quelle forme di pseudo-volontariato che dissimulano l'esistenza di un vincolo di subordinazione, inteso come assoggettamento del volontario ad un penetrante potere direttivo, disciplinare e di controllo dell’ente in ordine alle modalità e ai tempi della prestazione, o che, comunque, risultano intrinsecamente caratterizzate dall’onerosità della prestazione, tipica della causa di scambio tra lavoro e retribuzione o della causa associativa;
4.      occorre sottolineare il carattere necessariamente “occasionale” dell’attività di volontariato, in quanto attività spontanea e gratuita, libera da vincoli temporali e da condizionamenti esterni derivanti dall’affidamento di terzi. L’occasionalità è sinonimo di attività eventuale, straordinaria e incoercibile, che sussiste anche se l’attività sia svolta in modo non discontinuo e saltuario, conforme a prestabiliti orari di lavoro e secondo modalità coordinate con l’attività di altri lavoratori;
5.      Per chi utilizza l’attività di volontariato, la prestazione è da ritenersi, dunque, occasionale nonché “accessoria”, nel senso di aggiuntiva e complementare alle ordinarie attività dell’apparato organizzativo all’interno del quale si inserisce quale strumento mai “sostitutivo” delle risorse umane normalmente destinate al servizio di utilità sociale prescelto dal volontario.
Nella pratica, tuttavia, si assiste esattamente ad utilizzi dei volontari singole che violano totalmente le indicazioni date dalla Sezione Autonomie come prudenti indicatori per definire il volontariato “genuino”.
Si pensi, ad esempio, ai diffusissimi “servizi di utilità sociale”, da qualche tempo molto utilizzati dai comuni. Tali servizi nascono da una considerazione assolutamente distorta ed erronea del cosiddetto principio di “condizionalità” che condiziona una certa prestazione (finanziaria o di servizi) che la PA rivolge ad una persona, a determinati impegni da questa assunta.
La condizionalità è operante, ad esempio, nell’ambito della normativa sulle politiche attive per il lavoro: i lavoratori percettori di Naspi possono subire decurtazioni o anche la revoca dell’indennità se non svolgono atti di ricerca attiva di lavoro, o rifiutino opportunità di formazione e proposte di lavoro, così come indicato nel patto di servizio che sono obbligati a stipulare con i servizi per l’impiego.
Emulando questa impostazione, molti servizi sociali dei comuni subordinano la concessione di contributi e aiuti di varia natura a specifiche azioni richieste ai destinatari. Tra queste azioni, vi sono proprio, sempre più spesso, i “servizi di utilità sociale”, variamente qualificati: come lavoro meramente occasionale, oppure come lavoro autonomo e talvolta anche come attività di volontariato.
E’ un modo molto pericoloso di gestire. Spesso, infatti, le attività di lavoro presunto autonomo sono remunerate con costi orari perfino inferiori ai 9 euro netti previsti dall’articolo 54-bis del d.l. 50/2017, convertito in legge 96/2017 (il sistema dei cosiddetti “nuovi voucher”). Per altro, le attività lavorative sono rese a favore dei comuni, ma ovviamente non rispondono mai ai requisiti di alta professionalità richiesti dall’articolo 7, commi 5-bis e seguenti del d.lgs 165/2001, fonte di disciplina delle collaborazioni autonome con le pubbliche amministrazioni. Oltre ai rischi di lavoro nero o comunque di dumping salariale, i comuni si espongono al rischio di danno erariale per attivazione di collaborazioni non consentite dalla legge.
Altrettanto erroneo è attivare la “condizionalità” imponendo ai destinatari di interventi sociali lo svolgimento di attività di volontariato. In questo modo si pongono in essere proprio quelle forme di pseudo-volontariato esecrate dalla Corte dei conti, in quanto mancherebbe del tutto in capo al destinatario del beneficio sociale la spontaneità dell’attività. Essa non sarebbe per nulla volontaria e al di fuori di un rapporto sinallagmatico, perché scaturirebbe appunto da una condizione posta alla percezione dei benefici sociali. Con la conseguenza di trascendere dal volontariato al lavoro subordinato in nero e sotto pagato. Per altro, questi “servizi di utilità sociale” prevedono esattamente l’assoggettamento del volontario ad un penetrante potere direttivo, disciplinare e di controllo che secondo la delibera della Sezione Autonomie assolutamente non deve esservi.
Sembra chiaro che l’unico modo per scongiurare questi pericoli estremamente concreti di trasfigurare il volontariato in rapporti sinallagmatici ed obbligatori simulati, con predeterminazione di impegni orari ed organizzativi, sarebbe stato quello di seguire il più prudente e corretto apprezzamento della Sezione Lombardia e di tutto il filone interpretativo delle sezioni regionali da essa richiamato.
Sul piano tecnico, è da sottolineare che le indicazioni, qui non condivise, della Sezione Autonomie non obbligano certo i comuni a relazionarsi direttamente con singoli volontari. La delibera si limita ad accertare la legittimità di assicurazioni contro infortuni e per responsabilità per i cittadini, ma la strada maestra, certamente non impedita dalla Sezione Autonomie, rimane quella della convenzione con enti del Terzo Settore, sistema idoneo ad escludere qualsiasi rischio di incorrere nella violazione degli indicatori forniti dalla Sezione, rivelatori di utilizzi illeciti dei volontari.
Di pregio è, comunque, proprio l’ultimo di questi “indicatori”, evidenziato quando la Sezione scrive “Per chi utilizza l’attività di volontariato, la prestazione è da ritenersi, dunque, occasionale nonché “accessoria”, nel senso di aggiuntiva e complementare alle ordinarie attività dell’apparato organizzativo all’interno del quale si inserisce quale strumento mai “sostitutivo” delle risorse umane normalmente destinate al servizio di utilità sociale prescelto dal volontario”. Il parere, infatti, fornisce una definizione corretta dell’accessorietà e della sussidiarietà delle attività dei volontari, le quali non possono mai sostituirsi a quelle che la legge attribuisce alla sfera delle competenze dei soggetti pubblici. Attività come quelle dei volontari o dei lavoratori socialmente utili possono solo affiancarsi, estendere e connettersi ai servizi che ciascun ente deve rendere per istituto. Qualsiasi strumento “para” organizzativo, come voucher, tirocini, Lsu, volontariato utilizzato per compensare vuoti di organico ed inserire, nella sostanza, soggetti esterni nell’attività ordinaria espone gli enti a numerosi rischi di illeciti civili (anche lavoristici) e di responsabilità amministrativa. La sezione Autonomie indirettamente evidenzia i pericoli da evitare e, dunque, le azioni virtuose da intraprendere.


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