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sabato 8 novembre 2014

#province disastro #Delrio e #leggedistabilità #default certo per tutti Non sanno far di conto

L’abbiamo detto ripetute volte: la riforma Delrio delle province ha come risultato solo un caos estremo, ma non aveva e non ha alcuna forza per poter regolare le conseguenze economiche e finanziarie. Che, infatti, nella legge 56/2014 sono inesistenti.

Per giungere all’effetto del “taglio”, il Governo non ha potuto far altro che prevederli in via assolutamente lineare e forfettaria, senza alcun legame e nessuna connessione con le funzioni da trasferire, nel disegno di legge di stabilità, prevedendo la cifra insostenibile di 3 miliardi di tagli a regime nel 2017. Per capirci, tagli di 3 miliardi, più altri 500 milioni derivanti dal d.l. 66/2014, su un totale di 10 miliardi di spesa (cioè, oltre il 30%), mentre le regioni strepitano per tagli di 4 miliardi su una spesa totale di 160 miliardi e i comuni per un taglietto di 1,2 miliardi su una spesa di 76 miliardi.

All’assemblea dell’Anci tenutasi nei giorni scorsi si è avuta la sublimazione dell’operazione scellerata e irrazionale che si sta compiendo. Il Sottosegretario alla presidenza Delrio ha presentato dettagli dell’operazione, che rivelano come il Governo proceda soltanto per stime e tentativi, a tentoni, insomma, dunque senza cognizione alcuna dei concreti disastri che si stanno determinando.

Facciamo una semplicissima operazione per comprendere meglio quanto la gestione della riforma delle province sia lontana da razionalità e stesso rispetto della legge.

Guardiamo cosa dispone l’articolo 1, comma 92, della legge 56/2014:

entro il termine che l’accordo Stato-regioni dell’11 settembre 2014 ha spostato al 31.12.2014

  1. a) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno e del Ministro per gli affari regionali, di concerto con i Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze, sono stabiliti, previa intesa in sede di Conferenza unificata,

  2. b) i criteri generali per l'individuazione

    1. dei beni

    2. delle risorse

      1. finanziarie,

      2. umane,







  • strumentali



  1. organizzative connesse all'esercizio delle funzioni



  1. che devono essere trasferite dalle province agli enti subentranti,

  2. garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso, nonché quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista.

  3. in particolare, sono considerate le risorse finanziarie, già spettanti alle province ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione (cioè quelle “proprie”), che devono essere trasferite agli enti subentranti per l'esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali e fatto salvo comunque quanto occorra per svolgere le funzioni di centrale appaltante e di concorsi pubblici per i comuni.


La legge, dunque, ha previsto un percorso complesso, indicando tempi troppo stretti e dunque irrealizzabili (che infatti non si stanno realizzando), per compiere sostanzialmente due macro attività:

  1. individuare le funzioni da trasferire;

  2. determinarne i costi e le fonti di finanziamento, così da spostarle dalle province agli enti di destinazione.


La legge Delrio, dunque, postula che, acclarato che una certa funzione determini una spesa di 1000 e sia retta da una certa quantità di risorse umani, strumentali, finanziarie ed organizzative, le regioni (lo Stato con l’accordo dell’11 settembre si è chiamato fuori) debbano trasferire il blocco complessivo a se stesse o ai comuni: la spesa di 1000, più le risorse per la gestione e l’entrata correlata di 1000 deve spostarsi verso altri soggetti.

Vediamo, però, cosa raccontano le cronache in merito alle risultanze dell’assemblea dell’Anci della settimana scorsa. Il Sole24Ore informa che secondo il Sottosegretario Delrio “le Regioni devono accelerare e redistribuire le funzioni ex provinciali entro la fine dell'anno, perché sui tagli ai fondi degli enti di area vasta previsti dalla legge di stabilità il Governo non ha intenzione di fare marcia indietro: da gestire c'è una trasformazione che secondo le stime governative più aggiornate può spostare anche oltre 20mila dipendenti, lasciandone 18mila per le funzioni fondamentali che rimangono alle Province”. Il che conferma, dunque, che contrariamente alle previsioni della legge 56/2014 il Governo prima ha deciso di apportare i tagli, senza attuare per nulla il percorso previsto dal comma 92 citato sopra, per indurre, poi, le regioni a rispettare un termine di conclusione della procedura del tutto farlocco e irrealizzabile. Specie adesso: siamo a metà novembre e per giungere all’immane processo di mobilità di 20.000 dipendenti, resterebbero appena 45 giorni. La credibilità di simile velocità di agire è di tutta evidenza.

Inoltre, come si nota, il Governo ha completamente saltato via l’operazione, pure imposta dalla legge Delrio, di valutare specificamente per ogni funzione entrate, spese e risorse da trasferire e si appoggia a “stime governative” forfettarie, dalle quali scaturiscono cifre davvero buttate a caso di 20.000 esuberi e 18.000 che resterebbero nelle province, senza nulla dire, per esempio, dei 7.000 che operano nei centri per l’impiego. Improvvisazione, caos, sommarietà sono le parole che nascono spontanee a commento del tutto.

Per altro, le “stime governative” sarebbero il frutto della collaborazione col Sose. Ogni imprenditore e professionista sa bene chi sia il Sose e quanto affidabili e corrette siano le sue attività nella produzione ed aggiornamento dei famigerati “studi di settore”.

Ebbene, il Sose, sin dal 2010 ha attivato degli studi per la determinazione dei fabbisogni standard nelle province (ed anche nei comuni). C’è, però, un piccolissimo dettaglio: nessuno ha mai avuto il piacere di conoscere gli esiti concreti di questi studi, che avrebbero dovuto indicare alle province i livelli di spesa ottimali, connessi appunto ai fabbisogni.

Si trattava di uno degli strumenti di attuazione del famigerato e tragicomico “federalismo fiscale all’italiana”, miseramente fallito. Eppure, un retaggio di quella farsa è rimasto ancora, cioè l’attività del Sose, usata, a totale insaputa di province, regioni e comuni, dirette interessate, per elaborare “stime governative” che nulla hanno a che vedere coi processi fissati dalla legge Delrio. Non pare sia necessario ogni ulteriore commento.

Le cronache de il Sole24Ore proseguono, informando che “per portare al traguardo questo percorso, ha spiegato ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Deirio intervenendo a Milano all'assemblea nazionale dell'Anci, «serve un piano nazionale di redistribuzione del personale, che stiamo studiando con i ministri degli Affari regionali Lanzetta e della Pubblica amministrazione Madia”.

Anche in questo caso, l’informazione è preziosa: rivela l’ulteriore violazione della legge 56/2014, che non parla in nessuna sua parte di un “piano nazionale di redistribuzione del personale”. Per la semplice ragione che il comma 92, visto sopra, impone il passaggio del personale provinciale agli enti destinatari delle funzioni provinciali non fondamentali.

E’ evidente che l’equilibrio, comunque molto precario, malfermo, mal congegnato, di una legge pessima come la 56/2014, tra funzioni e risorse viene totalmente a mancare, a causa dei tagli forfettari applicati dal d.l. 66/2014 e previsti dalla legge di stabilità 2015. Salta tutto il quadro per una ragione semplicissima: le funzioni provinciali non possono essere più sostenibili sul piano finanziario.

Ovviamente, questa oggettiva e semplice verità all’assemblea dell’Anci non l’ha affermata alcun ministro

Le cose, però, stanno esattamente così. Ed è questa la ragione di fondo che ha fini qui indotto le regioni a prendere tempo e nicchiare. Hanno capito che nell’operazione di riforma rischiano di rimetterci, e molto, sul piano finanziario.

Torniamo alle crude cifre. S’è detto che, oggi, la spesa delle province è di circa 10 miliardi, con introiti simmetrici. Già nel 2015 la si deve computare in 8,5 miliardi, perché saranno operativi a regime i tagli indicati sopra.

Pertanto, se si applicasse la complessa formula prevista dall’articolo 1, comma 92, della legge Delrio, occorrerebbe spostare dalle province a regioni o comuni un complesso di funzioni e servizi provinciali, in modo che si sottraggano alle province le entrate necessarie a finanziare la connessa spesa da spostare. Insomma, occorrerebbe spostare dalle province funzioni e servizi e connesse entrate per una cifra, inferiore a 8,5 miliardi, da distribuire tra regioni e comuni. Immaginiamo che le funzioni non fondamentali, quelle appunto da trasferire, valgano il 50% della spesa complessiva: occorrerebbe movimentare dalle province verso gli altri enti 4,250 miliardi di entrate e connessa spesa e le risorse di personale ed organizzative correlate.

Ma, in realtà il gioco già sarebbe in deficit di 750 milioni, cioè la metà del taglio di 1,5 miliardi operante sin dal primo gennaio 2015. Dunque, a regioni e comuni, verrebbe già a mancare una cifra significativa, prima ancora di subentrare alle province nell’esercizio delle funzioni non fondamentali. Tale ammanco diventerà di 1,750 miliardi, quando si giungerà nel 2017 al taglio a regime di 3 miliardi: le province, infatti, non potranno trasferire più il 50% di 8,5 miliardi, ma il 50% di 6,5 miliardi.

Tuttavia, la realtà è ancora peggiore. Non si considera, infatti, né da parte del Governo, né da parte del Sose che una parte significativa delle entrate delle province deriva da trasferimenti regionali e che una parte altrettanto significativa delle funzioni provinciali è finanziata solo da entrate provinciali.

Ora, i trasferimenti regionali dal 2010 al 2013 si sono ridotti da 3,767 miliardi a 3,110 miliardi: un ammanco di 600 milioni, destinato ancora ad aumentare.

Prendiamo il caso della regione Veneto. Con una legge regionale addirittura antecedente alla riforma Delrio, la 11/2013, ha ridisegnato il turismo, prevedendo sostanzialmente due elementi:

  1. a) la riacquisizione delle funzioni connesse all’informazione ed accoglienza turistica (gli uffici di informazione ed i connessi servizi);

  2. b) l’azzeramento totale dei trasferimenti finanziari alle province, che prima ammontavano a circa 6 milioni.


Analoga cosa è accaduta per la formazione professionale: manca ancora una norma che faccia riacquisire alla regione la funzione, ma i trasferimenti dal 2011 al 2014 si sono ridotti da 9 milioni a poco più di 1 milione.

La combinazione micidiale, allora, tra tagli forfetari imposti dal Governo con le ultime manovre e le drastiche riduzioni di trasferimenti, rende senza finanziamenti moltissime funzioni.

Occorre ricordare che tanto il d.l. 66/2014, quanto il disegno di legge di stabilità, dispongono per le province impropriamente di “tagli”. In realtà, si impone loro di versare in specifici capitoli del bilancio dello Stato importi complessivi per circa 3,5 miliardi a regime. Dunque, si tratta di spese vincolate di natura corrente, che impediscono alle province di erogarle per altre finalità.

Quindi, cosa accade? Che a regime le province avranno due pesantissimi obblighi di spesa:

  1. a) 3,5 miliardi da versare al bilancio dello Stato, i cosiddetti “tagli”;

  2. b) l’ammontare delle risorse da trasferire alle regioni e ai comuni, per gestire le funzioni da trasferire, in applicazione di quel che resta applicabile dell’articolo 1, comma 92, della legge Delrio.


Allora, i conteggi e le “stime governative” si rivelano per quel che sono: frutto di fantasiose e poco realistiche elucubrazioni.

Cerchiamo di ricostruire meglio le cose, allora. Ad oggi, la spesa complessiva delle province di circa 10 miliardi è composta come segue:

  1. a) Edilizia scolastica,   funzionamento scuole e formazione professionale: 1,90 miliardi (di cui circa 1 miliardo in conto capitale).

  2. b) Mobilità,   Trasporti:                                     1,60 miliardi(di cui circa 750 in conto capitale).

  3. c) Gestione del territorio, urbanistica e viabilità:                   1,75 miliardi (di cui circa 750 in conto capitale).

  4. d) Tutela ambientale:                                     1,30 miliardi.

  5. e) Sviluppo economico - Servizi per il mercato del lavoro:       0,91 miliardi.

  6. f) Promozione della cultura:                               0,16 miliardi.

  7. g) Promozione del turismo e dello sport:                         0,15 miliardi.

  8. h) Servizi sociali:                                     0,23 miliardi

  9. i) Personale:                                           2,00 miliardi.


Da questa spesa totale, occorre sottrarre:

2 miliardi per il personale;

2,5 miliardi per spesa di investimento.

Tali spese sono di fatto indisponibili, perché né ancora si parla di licenziamenti oceanici di personale provinciale, né le spese di investimento su scuole, strade, viabilità, autobus per trasporti possono essere soppresse.

Restano, dunque, disponibili per gli spostamenti da province ad altri enti 5,5 miliardi, ai quali tornare ad aggiungere una quota parte della spesa del personale provinciale, quella parte, cioè, che transiterebbe insieme con le funzioni: poniamo si tratti del 40% del personale, dunque, ai 5,5 miliardi effettivamente disponibili per i trasferimenti agli altri enti si aggiungerebbero 800 milioni, per complessivi 6,3 miliardi.

Dei 6,3 miliardi, si dovrebbero trasferire a regioni e province: 800 milioni di personale, più la spesa complessiva per le funzioni non fondamentali, cioè 300 milioni circa di formazione professionale più le altre spese per le funzioni dalla lettera e) alla lettera h) del precedente elenco per complessivi 1,45 miliardi e giungere, così ad un trasferimento di risorse pari a circa 2,25 miliardi.

Dunque, le province resterebbero a regime con una spesa di 8,75 miliardi, così composta:

  1. j) Edilizia scolastica,   funzionamento scuole e formazione professionale: 0,79 miliardi (di cui circa 1 miliardo in conto capitale).

  2. k) Mobilità,   Trasporti:                                                                                     1,60 miliardi (di cui circa 750 in conto capitale).

  3. l) Gestione del territorio, urbanistica e viabilità:                                     1,75 miliardi (di cui circa 750 in conto capitale).

  4. m) Personale:                                                                                                 1,20 miliardi.

  5. n) Trasferimenti a regioni e comuni per funzioni trasferite.                         2,25 miliardi


Complessivamente la spesa sarebbe di 7,6 miliardi circa. Ma qui incide il taglio a regime, operante nel 2017, di 3,5 miliardi, che in realtà è una nuova spesa, da aggiungere a quella precedentemente indicata. Sicchè la spesa complessiva sarebbe di 11,1 miliardi.

Insomma, la combinazione tra legge Delrio ed i tagli previsti da d.l. 66/2014 più quelli indicati dalla legge di stabilità apre un buco nei conti delle funzioni provinciali di 1,1 miliardi circa nel 2015 che diverrebbe di oltre 3 miliardi nel 2017!

Il che significa, allora, che:

  1. a) le funzioni trasferite dalle province a regioni e comuni non saranno integralmente finanziate e, dunque, saranno in deficit, con spinte inevitabili all’incremento delle tasse;

  2. b) le funzioni che resterebbero alle province non sarebbero integralmente finanziate, portando le province al default o all’azzeramento degli investimenti, o dei servizi o a licenziamenti in massa di personale;

  3. c) soprattutto, chi ha previsto i tagli nella legge di stabilità 2015 semplicemente non sa di cosa parla, né si è messo seriamente a fare i conti, gingillandosi con le stime del Sose.


Tornando all’esempio del Veneto, l’azzeramento dei fondi al turismo e alla formazione professionale comporterebbe che laddove tale regione decidesse di riappropriarsi oltre che delle funzioni del turismo anche di quelle della formazione, non vi sarebbero risorse per sostenerle.

Nessuno dice, per altro, che operosissime funzioni provinciali, incidenti nei servizi sociali e sulle persone estremamente deboli, pur essendo state loro trasferite dalle regioni, non sono mai state finanziate. Si parla del servizio di trasporto degli allievi disabili presso le scuole superiore, dell’assistenza socio-didattica per gli allievi disabili sensoriali delle scuole di ogni ordine e grado e dei sostegni economici ai figli riconosciuti da un solo genitore: incombenze dal costo medio, per provincia, di circa 3 milioni l’anno.

Le regioni, dunque, dovrebbero attivare un processo di riordino con un deficit certo, ma di difficile calcolo, sia per i “tagli” del Governo, sia per dover eventualmente riappropriarsi di funzioni a suo tempo “affibbiate” alle province, senza nemmeno aver trasferito loro un centesimo, sia per dover riprendere funzioni un tempo regionali, nei confronti delle quali hanno progressivamente azzerato i finanziamenti alle province. Ecco perché non vogliono. Né i comuni intendono, a loro volta, rimetterci dall’operazione così maldestramente congegnata.

Dunque, si capisce il perché di un “piano straordinario” per la mobilità dei dipendenti provinciali, assente totalmente nella legge Delrio. In effetti, regioni e comuni non avranno nemmeno la minima intenzione di acquisire personale, senza disporre delle risorse per pagarlo. Dunque, necessariamente il Governo deve contemplare l’ipotesi che i dipendenti delle province adibiti alle funzioni da trasferire a regioni e a comuni, non necessariamente saranno trasferiti verso questi enti, per mancanza delle risorse necessarie.

Allora, stanno pensando ad applicare, alla mobilità dei dipendenti provinciali, invece che le disposizioni della legge Delrio, quelle della mobilità come riformata dal d.l. Madia, che prevede incentivi alle amministrazioni che ricevono personale in mobilità pari al 50% del loro costo, finanziati con un fondo di 30 milioni.

Ma, anche qui, gli apprendisti stregoni del diritto e dell’economia mostrano di non sapere fare di conto. Il costo medio di un dipendente provinciale è circa 30.000 euro l’anno. Si è visto che il Sottosegretario Delrio prevede e quasi auspica una mobilità di 20.000 dipendenti provinciali. Il costo complessivo di tali dipendenti, allora, è di 600 milioni, cioè venti volte tanto il misero fondo incentivante la mobilità previsto dal d.l. 90/2014, che, pertanto, si rivela totalmente inadeguato alla bisogna.

Cosa aggiungere altro? Che potrebbe essere peggio. Potrebbe piovere.

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