Dunque, quando è opportuno, una bella lotta al fannullone assenteista, fa sempre bene: applausi assicurati, centralità sui media garantita. A prescindere da come si affronti il problema.
Una sana campagna antifannulloni leva la paura, anche se ormai non si sa più quali nuove norme inventare sul tema, considerata l’inflazione parossistica di norme già esistenti.
L’unica cosa che ci sarebbe da fare, sarebbe intervenire in modo estremamente rigoroso sui medici che rilasciano i certificati di malattia più velocemente di quanto Wyatt Earp estraeva la Colt dal fodero.
Ma, sarebbe troppo semplice: infatti, si risolverebbe davvero il problema delle malattie facili. E, dopo, come di farebbe a riproporre la crociata contro il dipendente pubblico assenteista? Non si deve dimenticare che mentre un’economia è in crisi e tanta gente perde il lavoro, è necessario dare a chi perde garanzie e reddito un “untore” con cui prendersela, per distogliere l’attenzione dalla realtà e da scelte profondamente errate di governo generale!
Come si farebbe, se davvero si risolvesse il problema dei certificati emessi alla velocità della luce, a giustificare un ulteriore attacco alle “tutele”, che ormai sono sempre da rivedere al ribasso, quasi fossimo in Norvegia o Danimarca, con un welfare troppo generoso che dà tutele eccessive ed alte. Come se il diritto all’asilo nido o alla casa fossero un lusso. Ma, in effetti, dove asili nido non esistono, la casa si trova solo comperandola accollandosi mutui pesantissimi, protezioni sociali per la ricerca di lavoro quasi non esistono, il problema è armonizzare le tutele, piallandole, abbassandole allo stesso livello per tutti. Non sia mai che si punti ad una modifica radicale del sistema di gestione della spesa pubblica, per provare ad elevarle.
Dunque, il fatto, gravissimo, di Roma, viene preso al balzo per l’ennesima campagna che mira a colpire nel mucchio, invocando regole nuove, senza mai porsi il problema di consentire il funzionamento di quelle già esistenti.
L’accadimento di Roma è di una gravità incredibile, per una serie di ragioni. La prima e più rilevante: una defezione di massa, compiuta da pubblici ufficiali che indossano la divisa. Il messaggio devastante è che coloro i quali dovrebbero rappresentare la frontiera della difesa della legalità utilizzano mezzi, che potrebbero anche rilevarsi legittimi, poco commendevoli per scaricare sui cittadini e sull’efficienza dei servizi beghe interne, dovute al rifiuto dell’idea del comandante del corpo di attuare la normativa anticorruzione, mediante una profonda rotazione degli incarichi delle squadre operanti nel territorio.
L’assenteismo è di per sé riprovevole. Quello di massa peggio ancora. Quello di massa e organizzato per mascherare una sorta di sciopero bianco, senza nemmeno pagare il dazio della trattenuta stipendiale è imperdonabilmente odioso. Se, si ribadisce, poi tutto ciò è posto in essere da chi indossa una divisa si va oltre qualsiasi soglia di accettabilità.
Ma, sarebbe il caso di comprendere che si tratta di una circostanza specifica di quel disastro che è il comune di Roma (non la città, non i suoi cittadini, ma l’ente locale che l’amministra, sia chiaro).
Un comune eroso dall’interno da Mafia Capitale, che ha potuto prosperare anche perché nessun controllo è stato fatto, in loco, sui siti di assistenza ed accoglienza dei nomadi e degli immigrati, controlli che in prima battuta dovrebbero essere a carico proprio di quel corpo di polizia municipale che si è distinto a San Silvestro.
Un comune indebitato fino al collo, finanziariamente fallito, tanto che accanto alla gestione “ordinaria” esiste una gestione commissariale, una sorta di “bad company”, mirata a chiudere un buco di centinaia di milioni di debiti, messi a carico di tutti i cittadini italiani.
Un comune virtualmente fallito, che però non paga mai dazio, oggetto di ripetuti interventi “salva Roma”, posti a deresponsabilizzare ogni sindaco e ogni gestione, scaricando su tutti le inefficienze indecorose della Capitale.
Un comune che da solo, ha una spesa corrente di 5,1 miliardi, più della metà della spesa corrente delle 107 province che il Governo, sempre soggiogato e attratto dal facile populismo, intende eliminare, senza nemmeno sapere il perché. Eppure, i dati del Sose, disponibile sul portale opencivitas, dimostrano quali enti siano virtuosi e quali no, su quali enti, siano comuni o province, capoluoghi o paesini di campagna, sarebbe necessario agire per sanzionare o premiare.
Ma, è più facile, sempre, sparare nel mucchio, trattare trasversalmente tutti con la stessa moneta e riservare, invece, trattamenti speciali per derogare, blandire, perdonare, come appunto con i vari decreti salva-Roma.
La specifica e gravissima violazione di concrete persone, nomi e cognomi disponibili, cioè i vigili di Roma viene, dunque, presa come palla al balzo per spostare l’attenzione su altro e consentire ad un Governo un po’ in ribasso di rilanciarsi alla grande, imitando Brunetta. Senza nemmeno grandi idee da poter più proporre, perché occorre dare atto all’ex Ministro Brunetta di aver fatto conseguire alla campagna populista una pioggia di norme piuttosto concrete.
Infatti, stando alle indiscrezioni dei giornali, le “mirabolanti” idee escogitate dal governo sarebbero 2: attribuire i controlli all’Inps ed inasprire la responsabilità dei dirigenti.
In quanto allo spostamento dalle Usl all’Inps della funzione di controllo sui dipendenti in malattia, sul piano tecnico potrebbe anche funzionare, visto che i medici convenzionati con l’Istituto sono molto più puntuali e precisi nell’effettuare le visite di controllo e visto anche il loro costo ridotto.
L’Inps, però, ha visto ridursi i finanziamenti per questa attività. Occorre, quindi, prevedere un potenziamento delle convenzioni ed il relativo costo. Probabilmente si farà. Ma, non sarà attribuendo all’Inps i controlli che si risolveranno i problemi.
Certo, i vigili il giorno di San Silvestro avranno potuto contare sulla maggiore inefficienza dei medici delle Usl nell’effettuare i controlli.
Tuttavia, la fattispecie dell’assenteismo da malattia “farlocca” deve necessariamente essere risolta non solo con rigorosi e puntuali controlli ex post, ma escogitando qualcosa nei riguardi dei medici certificatori.
Infatti, piaccia o non piaccia alla categoria dei medici, la fattispecie della malattia “di comodo” è formata necessariamente da due soggetti: il dipendente infedele che finge (se finge) la patologia e il medico che certifica (se certifica) in modo superficiale o talora complice.
Non si deve dimenticare che la riforma Brunetta ha novellato il d.lgs 165/2001, introducendovi l’articolo 55-quinquies nel seguente testo:
Art. 55-quinquies. False attestazioni o certificazioni
- Fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto.
- Nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all'immagine subiti dall'amministrazione.
- La sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di cui al comma 1 comporta, per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo ed altresì, se dipendente di una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione. Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all'assenza dal servizio, rilascia certificazioni che attestano dati clinici non direttamente constatati né oggettivamente documentati.
Il legislatore, dunque, prese in considerazione il problema del concorso del medico nella formazione della fattispecie.
Tuttavia, esiste un limite molto grave e preciso all’applicazione delle pur rigorose sanzioni disposte dalla norma: aver basato la responsabilità del medico al reato di falso.
Ciò discende, ovviamente, dalla natura della certificazione medica, tale da risultare sostanzialmente inoppugnabile ed indiscutibile, se appunto non si dimostri la falsità. Ma, mentre esiste qualche possibilità di provare la falsificazione, ad opera del dipendente, di un certificato medico, quasi impossibile è provare la falsità del contenuto della certificazione (la seconda ipotesi del comma 1 dell’articolo 55-quinqiues, ribadita nell’ultimo periodo del comma 3).
Quindi, i dipendenti infedeli potranno verosimilmente contare sempre sull’inoppugnabilità dei certificati rilasciati dai medici, considerando che si tollera, oltre tutto, un’eccessiva sinteticità e criticità nelle diagnosi, cosa che, a ben vedere, non dovrebbe essere ammessa ai sensi proprio dell’ultima parte del già visto comma 3 dell’articolo 55-quinquies.
Il che fa ritenere che molto difficilmente quanto avvenuto a Roma farà scaturire sanzioni disciplinari e penali di qualche efficacia. Se, infatti, non si avrà modo di provare la falsità delle patologie attestate dai medici, tutto si ridurrà in una bolla di sapone, col rischio, persino, di azioni di rivalsa dei vigili contro il datore di lavoro.
E’ chiaro, allora, che occorrerebbe agire sul processo di formazione dei certificati di malattia, disincentivando sia la facile richiesta, sia la facile emanazione. Ad esempio, imponendo ai dipendenti di chiedere la certificazione solo ad alcuni, pochi, medici, estratti a sorte settimanalmente, che raccolgano la sottoscrizione, per attestare la presenza del paziente, nel proprio studio piuttosto che nell’abitazione o altra sede. E prevedere che i certificati siano poi passati all’esame di una commissione medica ed amministrativa, per accertarne i requisiti di completezza formale e correttezza tecnica, in contraddittorio con un significativo campione dei medici certificanti, non inferiore al 20%. Insomma, chiedere ed ottenere un certificato medico non può e non deve essere un gioco da ragazzi, perché si tratta di cose estremamente serie. Le idee possono essere altre e migliori. Ma, il solo controllo dell’Inps è certamente insufficiente.
In quanto alla responsabilità dei dirigenti, ogni iniziativa volta da un lato a precisarne le competenze e l’assimilazione al datore privato, e dall’altro a responsabilizzarli è giusta e ben accetta, nonostante anche in questo caso vi sia assolutamente ben poco da inventare, in particolare dopo la riforma-Brunetta.
Su La repubblica del 3 gennaio 2015, intervistato dal Valentina Conte, il Senatore Pietro Ichino si dilunga in una giaculatoria sui dirigenti, ritenendola originale: “Ogni incarico dirigenziale deve essere assegnato sulla base di obiettivi precisi, misurabili, riferiti ai risultati da ottenere nel servizio alla cittadinanza, ma anche ai tassi di assenze tra i dipendenti, al livello medio della loro prestazione e alla eliminazione delle eccedenze di personale. E che gli obiettivi stessi e il grado di loro raggiungimento siano immediatamente visibili dalla cittadinanza, in modo che anche il vertice dell'amministrazione debba rispondere di eventuali indebite indulgenze verso i dirigenti inetti”.
Ichino è stato il fautore di uno dei più clamorosi e costosi flop dell’amministrazione italiana: la creazione della Civit, la Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, nella quale fece prontamente nominare il proprio amico, il prof. Pietro Micheli, il quale si rese immediatamente conto della totale inutilità di un ente che mai è stato capace di introdurre sistemi di valutazione utili, razionali ed efficaci, dimettendosi anche polemicamente (http://www.repubblica.it/cronaca/2011/01/15/news/brunetta_civit-11246926/). Infatti, la Civit è stata sostanzialmente sciolta ed assorbita dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), la quale, tuttavia, sul tema della valutazione del lavoro pubblico mostra di arrancare ancor più di quanto non zoppichi sia nell’occuparsi della trasparenza e della corruzione, sia degli appalti.
Nel caso di Roma, appare chiarissimo come il dirigente interessato, cioè il comandante del corpo di polizia municipale, nulla avrebbe potuto per contrastare l’azione degli agenti di polizia municipale assenteisti se non richiedendo le visite fiscali (sperando che le Usl le facessero) ed attivare, ex post, le verifiche necessarie, anche ai fini dell’attivazione di procedimenti disciplinari, con le scarsissime possibilità di successo, a causa della normativa vista prima, che lascia sostanzialmente non aggredibili i certificati medici.
Ci si chiede perché, in questo caso, il comandante, oggetto delle contestazioni dei vigili per la sua iniziativa di volerli spostare in ossequio al principio della rotazione previsto dalla normativa anticorruzione, dovrebbe pagare in prima persona per il “tasso di assenza”, se nulla è concretamente dato in mano per prevenire un tasso di assenza eccessivamente alto, per iniziative combinate come queste.
E’ evidente anche in questo caso come la politica parta da un problema concreto, per puntare su altro. Ichino vuole tornare evidentemente alla carica con l’idea fissa della Civit. Nessuno si rende conto, per altro, che il problema dei poteri della dirigenza pubblica è strettamente connesso con la sua autonomia dalla politica. Il ddl di riforma della pubblica amministrazione invece di puntare sul potenziamento di tale autonomia, connesso da una feroce responsabilizzazione, mira esattamente alla precarizzazione dei dirigenti e alla loro totale soggezione al potere dell’organo di governo che li nomina o revoca, potendo puntare, se il disegno andrà in porto, persino su un licenziamento non motivato per “consunzione”, dovuto all’assenza di incarico. Non si comprende che causa di debolezza estrema della dirigenza è la presenza di dirigenti cooptati dalla politica, scelti fiduciariamente, portati ad operare esclusivamente per mostrare fedeltà ed adesione e gratitudine a chi nomina, non per svolgere con professionalità e trasparenza il proprio compito tecnico. Il caso di Odevaine, sempre a Roma, guarda caso, dovrebbe essere un insegnamento. Ma, invece, proprio nei comuni, il d.l. Madia, cioè del Ministro che dovrebbe intervenire per rendere più efficiente l’amministrazione e potenziare la dirigenza, dunque il d.l. 90/2014, convertito in legge 114/2014 ha consentito di triplicare, dal 10% al 30% la quantità di dirigenti a contratto, chiamati direttamente senza concorso dai sindaci.
Sparare nel mucchio porta sempre a risultati del tutto diversi da quelli che si dovrebbero ottenere, dando vita ad esiti ancora più controproducenti delle situazioni specifiche, mai affrontate nella loro peculiarità. Sicchè, le decisioni più o meno populistiche in via di adozione colpiranno tanto Roma (ma non i vigili autori dell’ondata di assenze) quanto l’amministrazione più efficiente, in modo indifferenziato. Per l’utilità, sempre indifferenziata, di nessuno.
tutto ok ma perchè allora non si fa lo stesso chiasso per assenteismo a bruxelles dei nostri parlamentari soprattutto nelle sedute dove i tecnici - politici spiegano le tecnologie energetiche che poi LORO - i POLITICI magari con la laurea in semantica - devon spiegare ai cittadini.
RispondiEliminaIl parlamento europeo in quei casi è "vuoto" quasi dei nostri parlamentari europei.
Cerchiam di capire cosa voglion i vigili prima di tutto
Politici a loro volta restituiscano stipendi e vitalizi che non han meritato allora