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domenica 1 novembre 2015

Province, 500 milioni di riforma fallimentare

Per chi avesse ancora residui dubbi che la riforma delle province sia stata una pessima e devastante manovra populistica, buona solo a ridurre la democrazia e a privare di risorse e servizi le popolazioni, l’iter del disegno di legge di stabilità 2016 fornisce l’ulteriore e definitiva conferma.

Infatti, si sta lavorando in questi giorni in modo vorticoso, per trovare 500 milioni da trasferire alle province ed impedire il dissesto diffusissimo di questi enti.

Tutti ricorderanno il trionfalismo successivo all’approvazione della legger 56/2014: veniva narrato che si sarebbero ottenuti risparmi faraonici e straordinarie semplificazioni normative. L’autore della riforma, l’attuale Ministro dei lavori pubblici Graziano Delrio continuava a raccontare che grazie ai risparmi si sarebbero costruiti centinaia di asili nido nelle città.

Sono passati pochissimi mesi. Asili nido aggiuntivi nelle città, ovviamente, non se n’è, visto nemmeno uno. Ma, soprattutto, la legge 190/2014 ha accompagnato la già devastante legge 56/2014, impedendo che il poco di fattibile in essa previsto potesse funzionare: cioè il trasferimento dei rami d’azienda delle funzioni fondamentali dalle province a regioni o enti locali.

Tutti sanno che la dissennata legge 190/2014 ha imposto alle province un prelievo forzoso di 1 miliardo nel 2015, 2 nel 2016 e 3 nel 2017. Quanto bastava, e non ci voleva nulla a capirlo, per mandarle in dissesto.

Il Governo per mesi e mesi ha continuato a negare l’insostenibilità assoluta della manovra finanziaria, imposta ad enti che già tra il 2011 e il 2014 avevano subito tagli imponenti alla spesa complessiva, passata da 12 a poco più di 9 miliardi; una percentuale che nessun altro ente ha dovuto sopportare.

C’è voluta la Corte dei conti a dimostrare l’evidenza: le province sono destinate tutte al dissesto, questione di pochi mesi.

Da quella deliberazione 15/2015 della Sezione Autonomie, qualcosa è cambiato. Il Governo ed il Parlamento, pur negando cocciutamente di aver clamorosamente sbagliato obiettivi, modi e soprattutto conti, hanno iniziato a mettere una toppa qua e una là, per cercare di rimediare allo sfacelo procurato.

Il primo passo è stato il d.l. 78/2015, convertito in legge 125/2015. Con questa disposizione si è infatti stabilito che le province e le città metropolitane approvassero il bilancio di previsione solo annuale per il solo 2015. Una presa d’atto dell’impossibilità di approvare bilanci pluriennali in equilibrio.

Contestualmente, il Governo ha provato ad avviare un processo di vendita degli immobili provinciali verso l’Invimit, per dare respiro alle casse degli enti e provare a ridurre l’impatto devastante del prelievo forzoso di un miliardo del 2015.

Ulteriore passaggio è quello del 30 luglio 2015, quando Stato e regioni, in sede di Conferenza unificata, hanno stipulato l’accordo sui servizi per il lavoro, utile per sostenere la spesa del personale a tempo indeterminato delle province impiegato in quei servizi, di circa 250 milioni annui.

Ovviamente, si è trattato di sforzi rilevanti, ma non tali da coprire il buco aperto nel sistema locale dalle manovre finanziarie poco meditate di Governo e Parlamento.

Tra vendita degli immobili, sostegno alla spesa dei servizi per il lavoro e riduzione del costo dei mutui, si arriverebbe a coprire quasi del tutto l’ammanco del miliardo nel 2015. Ma, i tempi di acquisizione effettiva di queste risorse sono lentissimi. Le province e le città metropolitane non hanno ancora visto nemmeno un euro delle vendite degli immobili, ancora aspettano che tutte le regioni stipulino col Ministero del lavoro le convenzioni che sblocchino i 250 milioni per il personale dei servizi per il lavoro e non tutte potranno beneficiare concretamente della riduzione del costo dei mutui.

Risultato? Nel 2016 tutte andranno lo stesso al dissesto, senza, per altro, nemmeno la possibilità di approvare uno straccio di bilancio di previsione.

Un altro effetto della legge 125/2015 è stato quello di spingere le regioni recalcitranti (che hanno capito di doversi accollare quasi la metà dei 3 miliardi requisiti dallo Stato alle province) ad approvare le leggi di riordino delle funzioni non fondamentali, finanziandole. Ancora non sono possibili i conti complessivi dei valori economici delle leggi, ma si tratta certamente di qualcosa che va ad attestarsi sui 500-600 milioni a carico delle regioni, a parziale copertura del buco di 2 miliardi del 2016.

Ovviamente, i conti non tornano ancora. La manovra Invimit e riduzione della spesa per interessi vale solo per il 2015. Nel 2016 si ripropone un prelievo forzoso di 2 miliardi, che si riproduce senza i benefici della vendita degli immobili e con effetti molto parziali della riduzione degli interessi. Il peso per le province non sarebbe minore di 1,5 miliardi comunque. Dai ridurre 250 milioni di spesa per i servizi per il lavoro e, appunto, 500-600 milioni di intervento regionale.

Resta un ammanco che, ottimisticamente, può essere quantificato in 750 milioni. Da qui l’altra presa d’atto che la legge 190/2014 è causa di grave nocumento alle finanze provinciali e la spasmodica ricerca di 500 milioni che consentano nel 2016 alle province di respirare, sperando che circa 8000 dipendenti si trasferiscano verso altri enti. Ma, grossa parte di questi 8000 sono già in rampa di lancio verso le regioni e, dunque, il loro trasferimento già finanziato con le leggi di riordino. Un vero e proprio risparmio il sistema lo otterrebbe dal trasferimento dei 4000 che si pensa di poter far passare verso le amministrazioni statali, ma il beneficio economico non supererebbe i 200 milioni. Ne servirebbero comunque 300 per garantire il funzionamento dei servizi, ai quali sommare i circa 150 milioni previsti dal disegno di legge per consentire investimenti in strade ed edilizia scolastica.

Insomma, tutto conferma il colossale pateracchio realizzato, allo scopo di seguire l’onda del populismo.

La realtà parla di enti allo sfacelo, che se anche dovessero evitare il dissesto nel 2016 si ritroveranno irrimediabilmente privi di personale e risorse e per molti versi anche di scopo, in attesa dell’eutanasia definitiva somministrata dalla riforma della Costituzione. Mentre incombe il 2017, con l’ulteriore miliardo che qualcuno dovrà pur finanziare. Perché, cosa che il Governo si è ostinato a negare, causando la devastazione prodottasi, anche se l’ente sparisce, i servizi da rendere restano, qualcuno li deve pur rendere e, dunque, la spesa non può essere cancellata.

1 commento:

  1. E' possibile condire (come se fosse un, mega, tegame di insalata) il tutto con il termine riforma, senza entrare nei suoi contenuti? Pensare di colmare il vuoto infrastrutturale del nostro paese, con 8300 comuni, di cui, 5000 con meno di 5000 ab, con la super efficienza delle Regioni, anche sé svuotate di importanti funzioni( come viene sussurrato) dal governo centrale, avrà come risultato il confermare il declino del paese. Sé aggiungiamo il silenzioso acquisto di importanti settori industriali da diverse multinazionali abbiamo realizzato la quadratura del cerchio.

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