Pagine

domenica 20 dicembre 2015

Prosegue il gioco al massacro delle province

Quando la scorsa estate il Governo presentò l’emendamento alla legge di conversione del d.l. 78/2015 che permise alle province e alle città metropolitane di approvare il bilancio di previsione per il solo 2015 scrivemmo l’articolo “Province, bilancio solo nel 2015: la certificazione di un disastro”, su Sel n. 27.

Per certificare un fatto, di certificazione ne basterebbe una sola. Invece, il Governo con le province è talmente assorto ed intento ad approfondire la devastazione organizzativa, ordinamentale e giuridica, che non si contenta e vuole ribadirla.

Così, un altro emendamento, questa volta al disegno di legge di stabilità per il 2016, ripropone esattamente lo stesso paradosso: derogare alla normativa generale sui bilanci, allo scopo di permettere alle province di dotarsi di uno straccio di documento contabile per una sola annualità, sì da evitare di approvare un bilancio pluriennale in disequilibrio certo, causato dall’insostenibilità del prelievo forzoso di 3 miliardi a regime, imposto ai bilanci provinciali dalla scriteriata legge 190/2014.

Ancora una volta, dunque, il Governo (e con lui il Parlamento) conferma di aver sbagliato tutto, ma proprio tutto, con le province.

L’imposizione di destinare 3 miliardi delle entrate derivanti dalle tasse provinciali per versarle allo Stato invece che destinarle alle funzioni provinciali, ha creato i danni spaventosi al sistema che si sono visti per tutto il 2015: scuole senza arredi e manutenzione, strade piene di buchi, provvedimenti di valutazione di impatto ambientale fermi, attività dei corpi di polizia provinciale bloccata e nel caos, allievi disabili sensoriali delle scuole di ogni ordine e grado privati dei servizi di sostegno ed aiuto allo studio.

Ma non basta. La caparbietà governativa nel non voler ammettere apertamente gli errori commessi di scaricarli tutti addosso alle province (ma, in realtà, ai cittadini privati dei servizi) ed alle regioni, ha imposto a queste di approvare (con enorme ritardo) le leggi di riordino, facendosi carico del buco di bilancio creato dalla legge 190/2014. Il fatto è, però, che le regioni, com’era da aspettarsi, non hanno coperto integralmente le necessità finanziarie sottese ai servizi provinciali da rendere. Né le leggi regionali sono state in grado di determinare da subito la riorganizzazione profonda dei servizi e delle competenze: ci vorrà tutto il 2016 allo scopo. Un anno ulteriormente difficile, nel quale verranno certamente al pettine i nodi dell’insufficiente copertura finanziaria da parte delle regioni delle funzioni provinciali riordinate. E, prima ancora che il 2016 inizi, giù il nodo del disequilibrio di province e città metropolitane è dato per scontato, proprio dalla facoltà loro offerta di approvare un bilancio solo annuale.

Il Governo ormai sa benissimo che i conti fatti con la legge 190/2014 sono completamente sbagliati. Per l’erogazione dei loro servizi, le province non erano affatto spendaccione: il livello di spesa complessivo del 2014, poco più di 10 miliardi, (l’1,2% della spesa pubblica totale circa) era ormai il minimo sotto al quale non era possibile andare. Il prelievo forzoso ha causato solo danni e pezze.

Accanto ai danni finanziari, vi sono stati e vi sono ancora quelli organizzativi ed operativi, primo tra tutti l’assurda odissea della ricollocazione dei dipendenti in sovrannumero, simboleggiata in modo clamorosamente grottesco dalla piattaforma on line. Il censimento dei posti disponibili nella PA per ricollocare i soprannumerari andava fatto prima di imporre il taglio delle dotazioni organiche e non dopo; invece, lo si è imposto a tavolino, bloccando per mesi le assunzioni, creando un caos infinito sulla mobilità, sui resti assunzionali, sulle assunzioni dei vigili, per poi giungere alla tragicomica finale: quando gli enti, a fine novembre, finalmente avrebbero dovuto inserire nell’applicativo i posti disponibili, per giorni e giorni il portale non ha funzionato.

Il che porterà a ritardi e lacune e malfunzionamenti che, ovviamente, saranno scoperti solo nei prossimi mesi.

Di fronte a simile catastrofe, per altro largamente previdibile e (almeno da chi scrive) prevista, un minimo di saggezza avrebbe consigliato di tornare sull’idea iniziale della sia pur devastante legge Delrio: trattare le funzioni non fondamentali come una cessione di ramo d’azienda dalle province agli enti di destinazione (che per ragioni ovvie non potevano essere i comuni, ma le regioni), con un passaggio integrale di funzioni e risorse.

Il buco da 3 miliardi, invece, ha causato i deficit finanziari delle leggi regionali e lascia in ogni caso solo parzialmente finanziate le stesse funzioni fondamentali lasciate alle province, le quali, per altro, dovranno accrescere le dotazioni organiche già tagliate in numero pari ai dipendenti dei corpi di polizia provinciale che le regioni abbiano stabilito continuino a svolgere le funzioni provinciali connesse a quelle fondamentali.

Un caos, un continuo fare un passo avanti e uno indietro, ma non esattamente nella stessa linea, andando verso direzioni diverse, così da creare ulteriore confusione.

Il disastro è ulteriormente attestato dal maldestro tentativo della legge di stabilità di lenire l’intervento economico del 2016 (1 miliardo che si aggiunge al miliardo del 2015 a cui si aggiungerà il terzo miliardo del 2017), con interventi parziali, mal distribuiti, toppe peggiori del buco. Come i 150 milioni in meno di tagli, destinati, però, in gran parte a beneficio delle città metropolitane, enti deboli e assolutamente inidonei a fare gli sfracelli propugnati dalla riforma, enti veri simboli del fallimento assoluto dell’intervento sulle province.

Anche la possibilità di rinegoziare i mutui nel 2016 per 240 milioni è solo un pannicello caldo, soprattutto perché solo alcuni enti potranno giovarsene: non quelli che, ad esempio, abbiano virtuosamente autofinanziato i propri investimenti.

I 40 milioni per i disabili sensoriali sono l’ammissione di colpa del Governo e del Parlamento di aver apportato tagli ai servizi di categorie molto deboli, e comunque sono una cifra assolutamente insufficiente, visto che il fabbisogno è di 4 volte almeno superiore. Se non vi saranno, quindi, ulteriori finanziamenti regionali il diritto allo studio di questi allievi risulterà compromesso.

In ogni caso, questi “sconti” sui tagli imposti dalla legge 190/2014 oltre ad evidenziare l’erroneità di calcoli ed impostazione in essa contenuti non sono in grado di permettere alle province di programmare il proprio futuro, proprio perché al massimo col bilancio si potrà disciplinare il 2016, mentre nel 2017 vi sarà la terza ed ultima ondata devastante sul piano finanziario.

L.O.

 

Nessun commento:

Posta un commento