L’Autorità Nazionale
Anticorruzione con la delibera 3 febbraio 2016, n. 87 evidenzia quanto, in
realtà, avrebbe dovuto essere ben chiaro da prima: l’assunzione dei dirigenti negli
enti locali mediante il “famigerato” articolo 110 del d.lgs 267/2000 deve
essere preceduta da un sistema selettivo, coperto da tutte le cautele
anticorruzione previste dalla normativa e dal Piano Nazionale Anticorruzione
per l’ambito del reclutamento, considerato ad elevato rischio ex lege, per
effetto dell’articolo 1, comma 16, della legge 190/2012.
Nel numero 6/2014 de La
Settimana degli Enti Locali, scrivemmo un articolo dal titolo “Incarichi fiduciari illegittimi e in
contrasto con l’anticorruzione”, a commento della fondamentale sentenza
della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale della Calabria, 5 febbario 2014,
n. 25, che ha accertato l’illegittimità di incarichi a contratto basati solo
sull’elemento fiduciario, privi di una selezione e di una seria e motivata
valutazione delle competenze del destinatario, le quali non possono che essere
quelle descritte dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001.
Nel corpo di quell’articolo,
constatammo:
“Le
considerazioni svolte in modo totalmente condivisibile dalla sentenza della
Sezione Calabria, nel nuovo assetto ordinamentale trovano un ulteriore
indefettibile supporto, che attribuisce loro un peso ancora maggiore e
rilevante.
Si allude al sistema di
garanzia della corruzione che, ai sensi dell’articolo 1, comma 16, lettera d),
della legge 190/2012 considera ex lege a particolare rischio di corruzione i
procedimenti di “concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e
progressioni di carriera di cui all'articolo 24 del citato decreto legislativo
n.150 del 2009”.
Apparentemente
la norma non sembra riferirsi ad ipotesi come l’assegnazione di incarichi
dirigenziali o di vertice “a contratto”. Soffermandosi, infatti, solo sul nomen
iuris degli istituti contemplati dalla norma (concorsi e progressioni di
carriera), sistemi di reclutamento come quelli di cui all’articolo 110 del
d.lgs 267/2000 si potrebbero considerare esclusi.
E’,
ovviamente, una conclusione che non merita accoglimento. Il legislatore
anticorruzione, infatti, si riferisce in termini generici a qualsiasi procedura
volta a reclutare personale.
Del resto, il
Piano Nazionale Anticorruzione, nel disaggregare i “rischi specifici” connessi
appunto con l’articolo 1, comma 16, lettera d), della legge 190/2012, segnala
due ipotesi di esposizione alla corruzione perfettamente pertinenti al caso:
- previsioni di requisiti di accesso “personalizzati” ed insufficienza di meccanismi oggettivi e trasparenti idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione
- motivazione generica e tautologica circa la sussistenza dei presupposti di legge per il conferimento di incarichi professionali allo scopo di agevolare soggetti particolari”.
- previsioni di requisiti di accesso “personalizzati” ed insufficienza di meccanismi oggettivi e trasparenti idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione
- motivazione generica e tautologica circa la sussistenza dei presupposti di legge per il conferimento di incarichi professionali allo scopo di agevolare soggetti particolari”.
Nella parte narrativa, la
deliberazione dell’authority “bacchetta” il comune per non aver gestito il
rischio legato al processo di reclutamento del personale, osservando: “Non è richiamato, tuttavia, quello
concernente l’«abuso nei processi di stabilizzazione finalizzato al reclutamento
di candidati particolari» né quello relativo a «previsioni di requisiti di accesso “personalizzati” ed insufficienza di
meccanismi oggettivi e trasparenti idonei a verificare il possesso dei
requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da
ricoprire allo scopo di reclutare candidati particolari», all’«inosservanza
delle regole procedurali a garanzia della trasparenza e dell’imparzialità della
selezione», la «motivazione generica e
tautologica circa la sussistenza dei presupposti di legge per il conferimento
di incarichi professionali allo scopo di agevolare soggetti particolari», che
riguardano certamente il conferimento di incarichi dirigenziali ex art. 110
TUEL e il conferimento di funzioni dirigenziali ex art. 109 TUEL”.
E’, dunque, possibile estrarre
dalla deliberazione dell’Anac, pur riferita alla situazione specifica di un
singolo caso, un principio generale. L’Anac, infatti, accerta le inevitabili
conseguenze derivanti dalla concezione dell’ordinamento giuridico come un
insieme coerente di disposizioni, che vanno coordinate e composte, non potendo
esse essere considerate alla stregua di monadi chiuse, ciascuna operante solo
in un suo ristretto ambito.
Il legislatore ha stabilito che
di per sé ogni processo di reclutamento del personale è soggetto ad un
rilevante rischio ai fini della normativa anticorruzione, con l’articolo 1,
comma 16, della legge 190/2012, anche se, a ben vedere, non sarebbe certamente
stata necessaria alcuna previsione normativa per capire quali siano i rischi
connessi a questo ambito: basta leggere i giornali o semplicemente conoscere
fatti di vita vissuta.
Se è soggetto a rischi di
corruzione il processo di reclutamento “ordinario”, cioè il concorso pubblico,
coperto dalla Costituzione e da molteplici disposizioni normative da una serie
di cautele procedurali volte ad attenuare (purtroppo non sempre con successo)
il rischio della “spintarella”, non è molto difficile comprendere che a rischi
esponenzialmente maggiori è esposto qualsiasi processo di reclutamento nel
quale le cautele procedurali si riducano.
E’ un po’ come avviene negli
appalti: le procedure aperte o ristrette ovviamente non azzerano il rischio
connesso ad ogni gara, ma è certo che i rischi corruttivi siano di molto
superiori nell’ambito delle procedure negoziate. Che non a caso, la normativa europea,
prima ancora che quella nazionale, relega a situazioni tipizzate e marginali.
Gli incarichi dirigenziali a
contratto sono certamente paragonabili alle procedure negoziate: il reclutamento,
infatti, non passa attraverso la procedura standard del concorso, ma attraverso
forme più semplici.
In giurisprudenza è aperto da
anni il dibattito se l’articolo 110 non consenta addirittura forme di
assunzioni totalmente libere, in applicazione di una piena autonomia di diritto
privato, così da ammettersi assunzioni “fiduciarie” o “intuitu personae”. La
Corte di cassazione appare particolarmente affascinata da questa concezione.
Tuttavia, tale interpretazione
non può considerarsi corretta ed occorre prendere atto che essa è recessiva,
alla luce di due semplici constatazioni. La prima è la chiara giurisprudenza
costituzionale. A partire dalle sentenze 103 e 104 del 2007, la Consulta ha
consolidato un indirizzo granitico sugli incarichi a contratto, negando ogni
possibile elemento di “fiduciari età”. L’assunto è espresso in parole prive di
qualsiasi incertezza nella sentenza 161/2008, ove si legge: “alla base della
stessa distinzione funzionale dei compiti tra organi politici e burocratici e
cioè tra l'azione di governo – che è normalmente legata alle impostazioni di
una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l'azione
dell'amministrazione, la quale, nell'attuazione dell'indirizzo politico della
maggioranza, è vincolata, invece, ad agire senza distinzioni di parti politiche
e dunque al “servizio esclusivo della Nazione” (art. 98 Cost.), al fine del
perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall'ordinamento» (sentenza
n. 103 del 2007).
In definitiva, dunque, la
natura esterna dell'incarico non costituisce un elemento in grado di
diversificare in senso fiduciario il rapporto di lavoro dirigenziale, che
deve rimanere caratterizzato, sul piano funzionale, da una netta e chiara
separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni
gestorie”.
Come è noto, questi principi,
secondo la Consulta, si possono attenuare solo per gli incarichi di vertice
dello Stato, per i quali la Corte ammette un comune sentire di natura politica,
quale elemento selettivo dei destinatari.
La seconda constatazione è data
dalla novella apportata all’articolo 110, comma 1 del Tuel dall’articolo 11,
comma 1, del d.l. 90/2014, convertito in legge 114, comma 1, per effetto del
quale “gli incarichi a contratto di cui
al presente comma sono conferiti previa
selezione pubblica volta ad accertare, in capo ai soggetti interessati, il
possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle
materie oggetto dell' incarico”.
Dunque, il legislatore, di fatto
recependo (sia pure non del tutto) esattamente le indicazioni provenienti in
particolare dalla giurisprudenza costituzionale, nega che gli incarichi a
contratto possano conferirsi su base esclusivamente fiduciaria ed impone una
selezione pubblica. Il che significa attivare una procedura che, pur non
qualificata come concorso e, dunque, non soggetta alle stringenti regole
procedurali della fattispecie, non può non essere connotata da elementi di
apertura al pubblico, di garanzie procedurali tali da escludere, appunto, la
scelta arbitraria e immotivata, di formazione di esiti finali in una
graduatoria. Soprattutto, la procedura selettiva non può considerarsi esclusa
da tutte le necessarie cautele imposte dalla normativa anticorruzione, per le
quali non esistono ambiti che vi si sottraggano.
Ecco perché l’Anac con la
delibera in commento nella sostanza si limita ad esplicitare quanto doveva
essere evidente e chiaro da sempre: gli elementi di rischio indicati dal PNA
del 2013 valgono certamente, ed a maggior ragione, per il reclutamento di
dirigenti a contratto.
Dunque, anche quanto stabilito
dalla delibera dell’Anac nella parte dispositiva assurge a principio generale
valido per tutte le pubbliche amministrazioni:
“- considerare nella mappatura dei rischi i conferimenti di incarichi
dirigenziali, di funzioni dirigenziali, di posizioni organizzative con o senza
funzioni dirigenziali e le conseguenti misure per scongiurare il pericolo di
abusi nel relativo processo di individuazione e/o selezione del personale;
- prevedere nell’Area di rischio
«Acquisizione e progressione del personale», i processi relativi alle procedure
di conferimento di dirigenti a contratto, di incarichi dirigenziali, di alta
specializzazione e di posizioni organizzative, con o senza funzioni
dirigenziali, e prevedere la massima pubblicità e trasparenza del bando di
selezione, la nomina di una Commissione tecnica deputata all’accertamento del
possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle
materie oggetto dell’incarico in capo ai candidati nonché la definizione di un
Elenco di idonei all’esito dei lavori della Commissione”.
Si tratta di misure obbligatorie
per qualsiasi procedura di reclutamento, sicchè non si vede oggettivamente come
possano sfuggire gli incarichi ai sensi dell’articolo 110 del d.lgs 267/2000,
posto che il rischio della distorsione dell’interesse pubblico per il
perseguimento di scopi privati che inquinino il fine pubblico dell’agire
risulta per sua natura particolarmente elevato proprio quando aumentano i
margini di discrezionalità nell’agire.
Insomma, deve apparire chiaro
che l’articolo 110 non è la fonte di un “sistema parallelo” nel quale le
cautele ed i principi normativi in tema di lotta alla corruzione si attenuino o
si eliminino, così come non è uno spazio di disapplicazione delle previsioni
della Costituzione.
Un errore molto diffuso è quello
di considerare gli incarichi a contratto alla stregua di un metodo per coprire
i posti dirigenziali alternativo e pienamente concorrente all’assunzione in
ruolo, addirittura da preferire perché di più semplice realizzazione.
Ma, le cose non stanno affatto
in questo modo. Non si tratta di un’assunzione acausale e completamente
discrezionale.
Esattamente al contrario, come
troppo spesso sfugge, la possibilità di utilizzare gli incarichi a contratto è
condizionata dai presupposti stabiliti dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs
165/2001, come è noto pienamente esteso anche alla disciplina dell’articolo 110
ad opera della riforma-Brunetta, che nell’articolo 19 in argomento ha innestato
il comma 6-ter, ai sensi del quale “Il
comma 6 ed il comma 6-bis si applicano alle amministrazioni di cui all'articolo
1, comma 2”, tra cui gli enti locali.
Il comma 6 dell’articolo 19
consente di ricorrere a dirigenti non di ruolo in presenza di due presupposti
oggettivi, ed una serie di condizioni soggettive.
Sul piano oggettivo, l’ente deve
dimostrare:
1) alla
necessità di avvalersi di soggetti dotati di particolare e comprovata
qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione,
fornendo allo scopo esplicita motivazione;
2) ad
un limite percentuale sulla dotazione organica, che per gli enti locali
(combinando il comma 6 dell’articolo 19, col comma 1 dell’articolo 110, può
giungere fino al 30%.
E’ noto che nella gran parte dei
casi, invece, le amministrazioni locali attingono all’articolo 110 per ragioni
affatto diverse, appunto come strumento di fatto alternativo all’assunzione e,
spessissimo, come metodo per aggirare tetti alle spese per assunzioni a tempo
indeterminato, complici interpretazioni oggettivamente erronee o quanto meno
ambigue della Sezione autonomie della Corte dei conti, che un po’ considerano
gli incarichi a contratto come spesa di personale stabile, negando che si
applichino loro i limiti di spesa per le assunzioni flessibili, un po’, invece,
ritiene questi incarichi alla stregua di veri e propri tempi determinati, così
da ritenere sfuggano, ad esempio, ai limiti assunzionali di cui all’articolo 1,
comma 424, della legge 190/2014. Di fatto, la valutazione dell’irrimediabile
inesistenza di professionalità interne non viene quasi mai compiuta. Eppure,
questo sarebbe un primo presidio fondamentale non solo di legittimità, ma anche
contro utilizzi corruttivi.
A fornire una formidabile
copertura dall’utilizzo distorto degli incarichi a contratto, in ogni caso,
sono posti i requisiti soggettivi previsti dall’articolo 19, comma 6. Esso
consente alle pubbliche amministrazioni di reclutare dirigenti al di fuori
delle dotazioni organiche, solo avvalendosi di soggetti che, di fatto, dispongono
di requisiti di professionalità in tutto paragonabili, se non superiori, a
quelli della dirigenza:
1) soggetti
che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero
aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio
in funzioni dirigenziali;
2) soggetti
che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale,
culturale e scientifica desumibile:
a. dalla
formazione universitaria e postuniversitaria,
b. da
pubblicazioni scientifiche
c. da
concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso
amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in
posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza,
3) soggetti
che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle
magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.
Tali requisiti soggettivi sono,
per il legislatore, l’elemento che rende possibile un’assunzione temporanea nei
ruoli, perché si tratta di persone già qualificate per lo svolgimento delle
attività proprie della funzione dirigenziale. Ecco perché non è necessario un “concorso
pubblico” volto ad accertare, sostanzialmente (ma non solo ) “se” il candidato
disponga delle conoscenze e qualità per svolgere la funzione, bensì una
selezione il cui scopo è capire “quanto” le competenze già acclarate per il
semplice fatto di rientrare nelle categorie di soggetti previste dal
legislatore siano vicine a quelle effettivamente necessarie per dare corso all’incarico.
Le assunzioni di dirigenti a
tempo determinato, quindi, secondo la disciplina normativa estremamente chiara,
non debbono connotarsi da fiduciari età, vanno assoggettate alle regole
anticorruzione, impongono una selezione, sono attivabili solo al ricorrere dei
fabbisogni oggettivi previsti e sono esclusivamente da rivolgere ai soggetti
che dispongano della qualificazione richiesta, vista sopra.
Molte volte, gli incarichi a
contratto “creano” i dirigenti totalmente al di fuori dei pur chiarissimi
requisiti soggettivi. Oltre a non tenere in nessuna considerazione i
presupposti oggettivi, nella gran parte dei casi si assegnano incarichi a
dipendenti privi di qualifica dirigenziale, considerando la semplice circostanza
che essi conducono con l’amministrazione pubblica, anche di appartenenza, un
rapporto di lavoro. Si dà, così, una lettura distorta della previsione dell’articolo
19, comma 6, sopra riportata alla lettera b), numeri da 1. a 3.
Lo ribadiamo: l’articolo 19,
comma 6, consente in via eccezionale di reclutare dirigenti al di fuori dei
ruoli organici, perché rivolto a soggetti la cui competenza professionale non è
di certo inferiore: non lo è quella di magistrati, avvocati dello stato,
docenti e ricercatori universitari; non lo è quella di chi abbia svolto
effettive funzioni dirigenziali anche al di fuori del perimetro della PA.
Per chi ricada tra i soggetti
dotati di “particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica”,
non può bastare a dimostrare detta particolare qualificazione la sola
circostanza di essere dipendenti della PA. Tale elemento costituisce il
presupposto comune a qualunque dipendente pubblico inquadrato in una categoria
che gli permetta di partecipare ad un concorso per accedere alla dirigenza.
Nel caso di specie, invece, l’articolo
19, comma 6, non richiede un’ordinaria qualificazione professionale, tendenzialmente
quella posseduta da qualsiasi funzionario che possa partecipare ad un concorso
pubblico, ma una qualificazione “particolare”, da dimostrare non esibendo il
contratto di lavoro, bensì dando evidenza:
1. di
disporre di una specifica formazione universitaria, ma meglio ancora post-universitaria
(ovviamente adeguata all’oggetto dell’incarico, che, ricordiamo, si assegna all’esterno
perché non si trova la necessaria professionalità nei ruoli interni);
2. in
aggiunta o in alternativa, di essere autore di pubblicazioni scientifiche, in
riviste specializzate e qualificate, sempre nella materia specifica dell’oggetto
dell’incarico;
3. in
aggiunta, o ancora in alternativa, di essere sì un dipendente pubblico, che
però sia stato incaricato di svolgere funzioni ed attività speciali,
particolari, nelle quali abbia dimostrato, pur non avendo un titolo
universitario o postuniversitario specifico, oppure pur non essendo autore di
articoli pubblicati, una competenza in quel concreto campo superiore a quella
ordinaria di altri colleghi.
Se le selezioni fossero volte ad
accertare realmente questi requisiti soggettivi, a misurarli e metterli in
ordine, i rischi di abuso di per sé sarebbero gestiti e ridotti.
E’ noto che, invece, o le
selezioni non si fanno per nulla; oppure si limitano a produrre una semplice
rosa, senza pesare gli elementi valutativi, lasciando pieno arbitrio al sindaco
o all’organo di governo di scegliere chi meglio creda: modus operandi
considerato come è noto illegittimo dalla sentenza del Tar Puglia-Lecce,
Sezione II 21.12.2015, n. 3661, secondo cui i dirigenti a contratto possono
essere assunti solo in esito ad una vera e propria procedura selettiva di
natura tecnica che escluda una scelta totalmente discrezionale dell’organo di
governo.
E’ inevitabile concludere, alla
luce del breve excursus che ha riassunto questioni ormai note e ripetitive, che
a ben vedere l’Anac abbia solo affermato l’ovvio, limitandosi ad enunciare
quanto già previsto dalle norme.
Il problema resta, tuttavia,
sempre lo stesso ed ha due sfaccettature. La prima è quella della complessità
della normativa, che per quanto chiara e razionale, appare però frammentaria ed
espone ad applicazioni distorte, come dimostra la quantità stratosferica del contenzioso
sul tema. La seconda è quella dell’assenza dei controlli preventivi. Tuttavia,
l’Anac fornisce indirettamente una soluzione: ciò che il legislatore ha
inopportunamente eliminato, i controlli, possono e debbono essere reintrodotti,
almeno non per l’aspetto della valutazione della legittimità in sé, ma degli
effetti degli atti sulla disciplina anticorruzione, dalla legge 190/2012 e la
disciplina conseguente. Si tratta di vedere se e quanto vi sia la disponibilità
da parte dei soggetti chiamati a garantire l’azione amministrativa dai pericoli
di abusi siano realmente disposti a spendersi per applicare queste previsioni.
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