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sabato 13 febbraio 2016

Spoil system: gli sbandamenti della giurisprudenza


Se c’è un ambito particolarmente sofferto e continuamente oggetto di norme, prassi, sentenze e atti di controllo contraddittori e incoerenti è quello che riguarda gli incarichi dirigenziali e lo spoil system.
Nei giorni scorsi, sono venute in luce tre pronunce molto complicate e di difficile coordinamento tra loro, che, ulteriormente, si incastrano con estrema difficoltà nel disegno di riforma contenuto nella legge 124/2015 che, come noto, mira a potenziare moltissimo lo spoil system, attraverso la formidabile precarizzazione degli incarichi dirigenziali.

Andiamo con ordine (non cronologico). La Corte dei conti, Sezione Centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, ha adottato la deliberazione 5 febbraio 2016, n. 2, così massimata: “Il conferimento di incarichi dirigenziali non può prescindere dall’effettuazione delle procedure concorsuali ai sensi dell’art. 19 del d.lgs 165/2001. Sono illegittimi i conferimenti effettuati senza il rispetto delle forme regolamentari di pubblicità dei posti vacanti ed in assenza delle procedure valutative in quanto il suddetto procedimento appare effettuato al duplice scopo di contemperare sia l’interesse dell’Amministrazione ad attribuire il posto al più idoneo in ossequio al principio del buon andamento, sia ad assicurare la parità di trattamento e le legittime aspirazioni degli interessati, come ripetutamente affermato da questa Sezione con delibere nn. 21/2010/PREV; 3/2013/PREV; 25/2014/PREV”.
Il fatto è molto semplice: presso la Presidenza del consiglio dei ministri un dirigente rischiava di rimanere senza incarico, per effetto delle norme del Governo Monti sulla riduzione delle dotazioni dirigenziali. Sicchè, la Pcdm ha pensato bene di assegnargli direttamente un incarico dirigenziale tra quelli disponibili nei ruoli, senza attivare la procedura pubblica selettiva prevista dall’articolo 19, commi 1 e 1-bis[1], del d.lgs 165/2001.
L’incarico attribuito in via d’urgenza, saltando le procedure, come si legge nella deliberazione della magistratura contabile, era già stato oggetto “di specifica procedura concorsuale che si era conclusa con l’individuazione di un aspirante che, peraltro, vi aveva subito rinunciato, in tal modo facendo sorgere la legittima aspettativa di altro partecipante a vedersi nominato in sua vece”. Insomma, l’incarico non era proprio così disponibile come la Pdcm aveva ritenuto.
E’ piuttosto evidente come il datore di lavoro pubblico abbia avuto (come spessissimo si può riscontrare nei fatti) una gran voglia di anticipare nei comportamenti gli effetti che saranno garantiti dalla riforma Madia: la possibilità, cioè, di scegliere senza alcuna limitazione alla discrezionalità che non discenda da un semplice simulacro procedurale, chi incaricare, quando e per quale incarico, senza attivare nessuna concreta ed efficace selezione tra i dirigenti di ruolo, con poca applicazione del criterio del “merito”, pure continuamente evocato.
La Sezione sul punto è, a dir poco, drastica: “l’Amministrazione, per non creare forme di discriminazione, debba mettere senza indugio a disposizione dei dirigenti tutti i posti vacanti allorquando si rendano disponibili, riservandosi di effettuare una valutazione ponderata tra coloro che hanno manifestato l’interesse a ricoprirli attraverso la specifica procedura selettiva. Da ultimo, si rammenta che il giudizio dell’Amministrazione medesima secondo i dettami del citato art. 19, che richiamano i principi di imparzialità di derivazione costituzionale, deve essere fondato su “criteri di scelta” previamente resi noti agli interessati, i quali garantiscano che tali valutazioni siano fondate su fatti obiettivi e verificabili, anche al fine di evitare un contenzioso che rallenta l’azione amministrativa”.
Raccogliamo i “tag” di questo ultimo passaggio: “discriminazione”, “valutazione ponderata”, “procedura selettiva” “principi di imparzialità”, “derivazione costituzionale”, “criteri”, “previamente resi noti”, “fatti obiettivi e verificabili”.
Insomma, la scelta dei dirigenti non dovrebbe essere un factum principis, ma l’esito di una scelta obiettiva, ponderata, tecnicamente volta a selezionare il più idoneo allo scopo di garantire alla struttura una persona capace di dirigerla per perseguire l’interesse pubblico e non per garantire all’organo di governo la presenza di propri “affiliati” politici.
E’ l’applicazione banalissima di una norma della tanto vituperata Costituzione, l’articolo 98, comma 2: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. Non solo vanno scelti per concorso, ma anche gli incarichi ad essi conferiti dovrebbero seguire esclusivamente logiche di selezione tecnica, senza alcun carattere di intuitus personae, modo di intendere i rapporti di collaborazione tra datore e prestatore che dovrebbe essere totalmente estraneo al mondo del lavoro pubblico.
Pochi giorni prima, il Tar Puglia-Lecce, Sezione II ha emesso la sentenza 21.12.2015, n. 3661, secondo la quale i dirigenti a contratto possono essere assunti solo in esito ad una vera e propria procedura selettiva di natura tecnica che escluda una scelta totalmente discrezionale dell’organo di governo.
Dunque, a giudizio del magistrato amministrativo leccese, la necessità di un sistema selettivo e realmente basato sul merito, scevro da qualsiasi considerazione di legami politici o, comunque, di vicinanza personale ai soggetti dotati del potere di attribuire gli incarichi dirigenziali, vale anche per gli incarichi a contratto.
La procedura speciale indicata dall’articolo 110 del d.lgs 267/2000, pur non coincidendo con un concorso pubblico, deve comunque considerarsi avere natura para – concorsuale. D’altra parte, ragiona il Tar, se così non fosse, se, cioè, si ritenesse che l’articolo 110 consenta una scelta intuitu personae, “risulterebbe assai dubbia la compatibilità costituzionale della norma de qua in riferimento all’art. 97, commi 2 e 4, Cost.”, dal momento che non si possono rinvenire esigenze di buon andamento e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificare assunzioni a termine dei vertici amministrativi degli enti locali per cooptazione diretta, senza procedere a procedure selettive che, pur non dovendo coincidere col concorso pubblico, comunque siano in grado di basare su valutazioni tecniche e non arbitrarie la scelta da compiere.
Il Tar afferma che occorre predeterminare, nell’avviso pubblico, elementi selettivi esattamente “al fine di delimitare la discrezionalità tecnica della p.a. e garantire una selezione rispondente agli interessi pubblici perseguiti, di concreti e puntuali parametri di apprezzamento”.
Nel caso di specie, l’avviso, invece, era con ogni evidenza preordinato a consentire al sindaco di scegliere chi meglio ritenesse, sulla base di una procedura che simulasse una competizione tra i partecipanti, della quale – è spiacevole prendere atto – è stato parte integrante il segretario comunale, che non ha nemmeno, evidentemente, rilevato il totale contrasto di simile modo di procedere con le stesse indicazioni di cautela nella selezione del personale contenute nel Piano Nazionale Anticorruzione, pur essendo il segretario il principale responsabile anticcorruzione.
Sicchè l’avviso è stato costruito in modo da limitare la “selezione” ad una mera relazione del segretario, per altro, come rileva la sentenza, risultata priva di elementi valutativi, sicchè il Sindaco ha scelto la persona da assumere “con discrezionalità tecnica pressoché assoluta, sì da risultare minata la trasparenza e l’imparzialità del suo operato”.
Le due pronunce esaminate sin qui si inseriscono nell’ormai consolidato filone giurisprudenziale fortemente contrario alla prassi voluta dalla politica e spesso troppo poco contrastata dagli stessi vertici amministrativi (per ragioni evidenti) di scegliere i dirigenti di ruolo da incaricare, o i dirigenti extra ruolo da assumere, per “affiliazione”, evitando come la peste reali modalità selettive. E questo, nonostante una quantità di norme, a partire dalla Costituzione, impongano l’esatto contrario.
In questo quadro, si inserisce un’altra sentenza, coeva alle precedenti: si tratta della pronuncia della Corte costituzionale 11 febbraio 2016, n. 20.
Essa dichiara l’illegittimità costituzionale “dell’articolo 2, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 12 agosto 2005, n. 27 (Nuove norme sulle nomine di competenza degli organi di direzione politica della Regione Abruzzo), nella parte in cui si applicava al Direttore dell’ente «Abruzzo-Lavoro»”. Detta legge prevedeva la decadenza automatica del direttore dell’ente a seguito del rinnovo degli organi politici regionali. L’incostituzionalità discende dalla circostanza che quella del direttore è “figura tecnico-professionale, titolare di funzioni prevalentemente organizzative e gestionali, responsabile del perseguimento di obiettivi definiti in appositi atti di pianificazione e indirizzo, deliberati dagli organi di governo della Regione”.
La sentenza della Consulta ricorda come la Corte abbia “più volte affermato (sentenze n. 228 del 2011; n. 224 del 2010; n. 390 e n. 352 del 2008; n. 104 e n. 103 del 2007) l’incompatibilità con l’art. 97 Cost. di meccanismi di decadenza automatica, o del tutto discrezionale, dovuta a cause estranee alle vicende del rapporto d’ufficio e sganciata da qualsiasi valutazione concernente i risultati conseguiti, qualora tali meccanismi siano riferiti – non già al personale addetto ad uffici di diretta collaborazione con l’organo di governo (sentenza n. 304 del 2010) o a figure apicali, per le quali risulti decisiva la personale adesione agli orientamenti politici di chi le abbia nominate (sentenza n. 34 del 2010) – bensì ai titolari di incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico (sentenza n. 124 del 2011), anche quando tali incarichi siano conferiti a soggetti esterni (sentenze n. 246 del 2011, n. 81 del 2010 e n. 161 del 2008)”.
Dunque, tutto chiaro? Tutti concordi nel ritenere che:
a)      gli incarichi dirigenziali siano da conferire ai dirigenti di ruolo previa seria e competitiva selezione tecnica;
b)      le assunzioni di dirigenti esterni debbano essere precedute da procedure para-concorsuali, a loro volta tali da evitare l’arbitrio della scelta intuitu personae;
c)      la durata degli incarichi dirigenziali connessi all’esecuzione dell’indirizzo politico non può essere interrotta da:
1.      decadenza automatica;
2.      decadenza del tutto discrezionale?
Non si direbbe. Perché la sentenza della Consulta 20/2016 contiene un elemento di novità. Nel colpire la norma regionale, indirettamente (ri)apre spazi immensi allo spoil system più incontrollato, quando afferma che i dirigenti incaricati di attuare l’indirizzo politico debbono essere tenuti lontani da meccanismi di decadenza legati al mandato politico, a differenza di quei dirigenti collegati agli organi di indirizzo politico “da relazioni istituzionali così immediate da rendere determinante la sua consonanza agli orientamenti politici degli stessi”!!
Cioè, si teorizza la “consonanza agli orientamenti politici” come requisito discretivo per la selezione della dirigenza, in conseguenza della quale sia accettabile una decadenza connessa al mandato politico.
Sembra un avvicinamento molto chiaro della Consulta verso gli effetti devastanti per l’assetto costituzionalmente rispettoso della dirigenza, che deriveranno dalla legge 124/2015.
L’articolo 11 della legge Madia, infatti, come confermato dallo schema di decreto legislativo riguardante gli incarichi di vertice nelle Usl, si basa tutto sulla scelta di fatto totalmente discrezionale degli organi politici. Per i dirigenti di ruolo, il conferimento degli incarichi dirigenziali discenderà da una procedura che di fatto dà totale mano libera alla politica: si prevedono l’inserimento dei dirigenti nei ruoli, la pubblicazione di un avviso pubblico da parte delle Commissioni nazionali cui si rivolgeranno gli enti che manifesteranno carenze di organico, la successiva creazione di “rose” di candidati, tra i quali, poi, potranno scegliere gli organi di governo senza alcun vincolo a graduatorie.
Da nessuna parte si prevedono o richiedono requisiti specifici, valutazioni tecniche, formazione di graduatorie cui attenersi.
La riforma consegna alla politica un potere di incarico totalmente discrezionale, fino a rasentare l’arbitrio, a condizione che nelle “rose” le Commissioni prudentemente inseriscano sempre il dirigente “gradito”.
Quanto peserà la “consonanza politica”? Oggi, la Consulta tiene fede ad una summa divisio tra dirigenti “consonanti”, quelli con relazioni immediate con la politica, tanto da poterne essere la derivazione diretta (con buona pace dell’articolo 98, comma 2, della Costituzione), e dirigenti “non consonanti”. Col torto di non aver mai enucleato quale tipologia di incarico non si possa attribuire per effetto della mera “consonanza”.
Si può comprendere che gli “uffici di diretta collaborazione” degli organi politici rientrino tra i “consonanti”. Ma, quali sono i dirigenti di tali uffici? Il capo di gabinetto? Il capo ufficio stampa? Il consigliere diplomatico? Il consigliere politico? Il capo ufficio legislativo? Diremmo di sì. Salve le zone d’ombra: quanto davvero un capo di gabinetto non incide nella gestione diretta operativa?
E i capi dipartimento o direttori generali? Sono i massimi vertici, ma di certo il d.lgs 165/2001 ed i vari regolamenti ministeriali non li tengono lontani dalla gestione operativa attuativa dell’indirizzo politico.
E che dire dei direttori generali degli enti locali, che la saggia legge 124/2015 non abolisce?
La Consulta non ha, forse, fatto una riflessione che i fatti di cronaca ci induce a compiere: a Milano, candidati sindaco vi sono due ex direttori generali del comune, Stefano Parisi e Beppe Sala. Talmente “consonanti” con la politica, da essere essi stessi parte della politica. Quando hanno operato come direttori generali hanno davvero agito in modo tecnico e imparziale? Sono realmente stati scelti per il “merito” e la capacità?
La legge 124/2015 aiuterà a togliersi dubbi simili. Sarà la legge della consonanza.




[1] Se ne riporta il testo:
1. Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell'amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all'estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell'incarico. Al conferimento degli incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l'articolo 2103 del codice civile.
1-bis. L'amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta”.

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