Leggiamo da La Stampa l’ennesimo
articolo sulla riforma “epocale” della dirigenza. Il Ministero della Funzione
pubblica punta, si legge, a “una cura
energica per la pubblica amministrazione”, per questo il titolare di
Palazzo Vidoni “sta lavorando a pieno
ritmo a un progetto che, garantisce, sveglierà i burocrati da un sonno
secolare. Si comincerà dalla testa: la «riforma della dirigenza»”,
avvalendosi di giuristi ed esperti della pubblica amministrazione, come Sabino
Cassese.
Le ricette sono sostanzialmente
potenziare la funzione dei dirigenti, motivandoli con il risultato, garantendo,
però, che siano “punti se sbagliano”. Osserva il giornalista, Stefano Lepri: “Perché adesso il dirigente pubblico si
guarda bene dal prendere iniziative? Perché non è ricompensato se agisce bene,
perché a fare poco non sbaglia, perché le promozioni sono governate
dall'anzianità, dalle amicizie politiche e dal favori, e perché raggiunto il
massimo della carriera è inamovibile”.
Ecco, quindi, le misure che la
riforma si appresta a disporre: oltre al controllo di gestione, dichiara il Ministro
della Funzione pubblica, “Un criterio di
fondo … consisterà nel separare la qualifica dalla funzione. Non il grado, ma
l'esercitare una determinata funzione darà diritto a una indennità, che
comporterà un congruo aumento di stipendio. Se si viene rimossi dalla funzione,
si perderà l'indennità. I direttori generali avranno più responsabilità, ma
correranno maggiori rìschi”. Ma molto importante sarà anche la maggiore
flessibilità ed il vantaggio che deriverà “dall'unificazione
di ruolo tra i dirigenti”.
Insomma, si fa sul serio: il
Ministro Madia stringe sempre di più i tempi per l’imminente attuazione della
legge 124/2015 e per far cambiare passo alla dirigenza pubblica.
Tuttavia, se siete giunti a
questa conclusione, incorrete in parte in qualche errore. E’ ben vero che l’iniziativa
di riforma della dirigenza è del Ministro della funzione pubblica, con la regia
di esperti come Cassese e che punta agli obiettivi sintetizzati negli stralci
dell’articolo qui riportati. Però:
a)
il Ministro in causa è Paolo Cirino Pomicino;
b)
l’articolo è stato pubblicato a pagina 6 da La Stampa
il 14 ottobre 1988. Lo ripetiamo: 1988.
Passati gli attimi di sgomento e
di sconcerto, ecco le inevitabili considerazioni. Sono quasi 30 anni che i vari
governi dedicano tempo e risorse alla riforma “epocale” della dirigenza.
Contrariamente a quanto l’Esecutivo continua a diffondere, non è affatto vero
che negli ultimi 30 o 25 anni di riforme non se ne sono fatte: solo per la
dirigenza si sono realizzate nel 1990 (per gli enti locali), nel 1993 (per
tutta la PA), nel 1996 (con il primo forte ritocco al d.lgs 19/1993), nel 1998,
nel 2001, nel 2005, nel 2009 e nel 2014 (con riferimento ai dirigenti a
contratto degli enti locali): 8 in 26 anni, una più o meno ampia ogni 3,25
anni.
Il problema, purtroppo, non
consiste nella circostanza che le riforme non sono state fatte da 30 anni,
bensì, esattamente all’opposto, che ne sono state approvate fin troppe, tutte
di pessima qualità.
La prova inconfutabile è fornita
esattamente dall’articolo de La Stampa citato prima (titolato “Così sveglierò gli statali”): da 28 anni
si continuano a propugnare sostanzialmente sempre le stesse teorie: il
controllo della gestione, l’unificazione dei ruoli, la motivazione, la licenzi
abilità dei dirigenti se sbagliano.
Così, da quasi 30 anni si
continuano a fare sempre le stesse riforme, qualificandole immancabilmente come
“epocali”. Eppure si continua a ritenere che esse non funzionino. Ma, invece di
cambiare strada, i vari governi continuano ad avvalersi sempre degli stessi
consulenti, come il prof. Cassese, cioè esattamente di coloro che di volta in
volta, ogni 3 anni e poco più, escogitano riforme che non funzionano e che
occorre nuovamente riformare. Ma, riformandole, si utilizzano sempre le stesse
idee disfunzionali che, come si nota, andando indietro nel tempo, si trascinano
addirittura al 1988: non era ancora caduto il muro di Berlino!
Immaginare, dunque, che la
riforma “epocale” della legge-Madia si rivelerà l’ennesimo flop, destinato
presto ad essere oggetto di una nuova riforma, è fin troppo semplice e quasi
doveroso.
La cosa preoccupante è che fin
qui, in questi 30 anni, nessuno ha preso atto che se un approccio, un’idea, non
funzionano, l’unico rimedio è cambiare totalmente strada. Si attribuisce a
Cicerone il seguente aforisma: “Chiunque
può sbagliare; ma nessuno, se non è uno sciocco, persevera nell'errore”.
In effetti, perseverare in una
riforma che continua a riformarsi, pur rimanendo nella sostanza uguale a se
stessa, ma perfino peggiorando ogni volta che vi si mette mano, non lascia
troppi spazi alla fiducia.
Solo quando si abbandoneranno
per sempre le indicazioni di una riforma risalenti ormai a 30 anni fa e che,
dunque, di moderno non hanno nulla e si ringrazieranno i consulenti che fin qui
hanno supportato i governi, accompagnandoli però risolutamente alla porta, si
potrà sperare in qualche risultato davvero utile per migliorare l’attività ed i
risultati della dirigenza e della PA nel suo complesso. In attesa di ciò, la
legge 124/2015 ed il decreto legislativo attuativo non può che essere un
ulteriore giro nell’avvitamento in se stessa di una riforma pessima,
eternamente ciclica.
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