Pagine

sabato 28 maggio 2016

Dirigenti: si scrive rotazione, si legge precarizzazione


Destano moltissime perplessità le indicazioni fornite dall’Anac nell’aggiornamento 2016 del Piano Nazionale Anticorruzione posto in consultazione in questi giorni.
Il documento elaborato dall’Autorità finisce con ogni evidenza per travalicare il suo specifico ambito di competenza e sfocia verso una lettura della rotazione collegata funzionalmente in modo del tutto forzato e apodittico con la riforma della dirigenza delineata dalla legge 124/2015, così da creare un circuito perverso di precarizzazione e soggezione della dirigenza alla politica. Più ancora di quanto la legge 124/2015 di per sé non disponga.

Le premesse da cui parte l’Anac sono condivisibili: “Per quanto riguarda i dirigenti la rotazione ordinaria è opportuno venga programmata e sia prevista nell’ambito dell’atto generale approvato dall’organo di indirizzo politico, contenente i criteri di conferimento degli incarichi dirigenziali che devono essere chiari e oggettivi. Il PTPC di ogni amministrazione deve fare riferimento a tale atto generale (come, ad esempio, la Direttiva ministeriale che disciplina gli incarichi dirigenziali) ove vengono descritti i criteri e le modalità per la rotazione dirigenziale. Ciò anche per evitare che la rotazione possa essere impiegata in modo poco trasparente, limitando l’indipendenza della dirigenza. Per il personale dirigenziale, la disciplina è applicabile ai dirigenti di prima e di seconda fascia,  o equiparati”.
Come si nota, l’Anac appare consapevole che il potere degli organi politici di attribuire gli incarichi dirigenziali espone qualsiasi procedimento ad azioni “poco trasparenti”, ledendo l’autonomia dei dirigenti. Detto in parole meno diplomatiche, si pone un rischio estremamente forte di condizionare l’assegnazione degli incarichi non alla valutazione delle specifiche competenze, bensì all’appartenenza “militante” ad un partito o ad una cerchia. Appartenenza capace di garantire la reiterazione degli incarichi e anche prospettive di “carriera” ben più interessanti.
Si tratta di una preoccupazione eccessiva? Fatti di cronaca passati e recenti indicano il contrario. Andiamo ai fatti recentissimi: il crollo del Lungarno a Firenze ed avvaliamoci delle considerazioni di Peter Gomez nell’articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 28 maggio 2016 dal titolo “La voragine non dipende da Renzi. La trasparenza sì”.
L’articolo torna a ricordare come in Publiacqua, ente addetto alla manutenzione dell’acquedotto di Firenze, abbiano svolto funzioni nell’ambito del consiglio d’amministrazione, incaricati come “manager” da parte del primo cittadino del capoluogo toscano, una serie di persone caratterizzate da legami strettissimi di vicinanza politica e di parentela, che dopo l’esperienza nell’ente hanno anche fatto “salti” molto alti in politica o nelle istituzioni.
Osserva, dunque, in modo caustico (e troppo generalizzante) Gomez: “Ma il punto non sono le amicizie, i matrimoni o la militanza politica. Per come vanno le cose in Italia, è inevitabile che nei posti di comando di una partecipata specializzata in rifornimenti idrici ci finiscano degli incompetenti”.
Un tratto caratterizzante della vicenda di Firenze è che dei molti componenti gli organi di governo della Publiacqua di esperienza manageriale e tecnica nella materia idrica non ne avevano nessuna. Il presidente, del resto, per fare un solo esempio è passato dalla carica di vertice dell’azienda dell’acqua alla direzione de L’Unità.
Non vi è dubbio alcuno che il direttore de L’Unità abbia svolto le proprie funzioni in Publiacqua con coscienziosità e la migliore capacità: certo è, però, che agli occhi di chi non conosca esattamente le capacità della persona risulta molto strano che un giornalista possa avere le capacità tecnico-manageriali che, pure, il primo cittadino di Firenze gli riconobbe.
Il problema della “trasparenza” cui si riferisce il Gomez è proprio questo: sarebbe fondamentale che la selezione dei manager pubblici, ma lo stesso vale per i dirigenti pubblici, avvenga in modo da non lasciare dubbi sull’opacità e, in particolare, il dubbio che la nomina sia fondata non sulla valutazione delle competenze, bensì in relazione alle appartenenze.
Il rimedio a questo rischio, ricorda Gomez, dovrebbe consistere nel giudizio degli elettori: i sindaci, ma tutti gli organi politici, dovrebbero essere spinti ad incaricare dirigenti e manager capaci e competenti, così da non essere punti dagli elettori al momento delle votazioni, nel caso di gestioni inefficienti. Ma, osserva ancora Gomez, “non è così e l'esperienza ce lo dimostra. Per questo dal 1994 nel Regno Unito esiste un Commissario per le nomine pubbliche, indipendente dal governo e nominato dalla Regina. Il suo compito non è quello di scegliere gli amministratori, ma di sorvegliare sui criteri di nomina che devono seguire un processo corretto, aperto e trasparente. Al ministro (o al sindaco), cui spetta la parola finale, viene fornita una rosa di nomi da un gruppo di esaminatori - tra i quali è sempre presente un Indipendent Public Appointments Assessor - che ha valutato i candidati secondo criteri di merito, probità e competenza. Tutta la procedura è documentata e il Commissario può effettuare investigazioni a sorpresa. Controlli di questo tipo, destinati a sfociare in un rapporto presentato ogni anno in Parlamento, evitano alla base il rischio di vedere arrivare nei Cda degli incompetenti forti solo della loro tessera di partito”.
La questione appare particolarmente centrata e riguarda il sistema di regolazione dell’assegnazione degli incarichi, che non può essere lasciato in mano esclusivamente al king maker politico, il quale inevitabilmente finisce per utilizzare criteri politici e non tecnici.
Occorre un metodo per controllare l’operato del soggetto che dispone del potere di nomina, per scindere una dipendenza eccessivamente stretta tra nominante e nominato. Del resto, è proprio il piano nazionale anticorruzione ad evidenziare i rischi connessi a nomine ed incarichi lasciati alla sola discrezionalità (se non arbitrio) della politica.
Conclude Gomez: “è sbagliato prendersela col Renzi sindaco per il caso Publiacqua. Ma è invece giusto protestare perché il Renzi premier, nella riforma Madia della Pubblica amministrazione, un Commissario alle nomine pubbliche di stampo inglese nonio ha previsto”.
Anzi, esattamente all’opposto, la riforma ha accentuato a dismisura il potere della politica di condizionare la dirigenza, sia attraverso l’espansione del potere di nomina, solo formalisticamente mediato da commissioni qualificate come “indipendenti” ma di nomina politica, che potendosi limitare a fornire rose di candidati, saranno certamente indirizzate ad inserire nelle rose esattamente quei soggetti graditi alla politica, che, per altro, potrà continuare a reclutare al di fuori dei ruoli unici creati i “dirigenti a contratto”, senza nemmeno concorsi. In più, la riforma mira a limitare fortemente la durata degli incarichi, determinando una precarizzazione formidabile della dirigenza, così da aumentare il potere di ingerenza e condizionamento della politica. Sicchè il sistema della riforma Madia oltre a non contenere alcuna forma di controllo sulle nomine, finisce per sublimare il metodo selettivo in base al quale si fa carriera e si può puntare su incarichi reiterati e anche divaricatissimi dalla propria esperienza personale in misura direttamente proporzionale all’appartenenza politica.
Torniamo, allora, all’Anac e alle indicazioni relative alla rotazione. Afferma l’ipotesi di aggiornamento del PNA: “Negli uffici individuati come a più elevato rischio di corruzione, sarebbe preferibile che la durata dell’incarico fosse fissata al limite minimo legale. Alla scadenza, la responsabilità dell’ufficio o del servizio dovrebbe essere di regola affidata ad altro dirigente, a prescindere dall’esito della valutazione riportata dal dirigente uscente”.
Abbiamo letto bene: la valutazione non dovrebbe servire a nulla, a giudizio dell’Anac, ai fini della rotazione dei dirigenti.
Certo, la rotazione è considerata come uno strumento di prevenzione della corruzione da parte della normativa. Quindi, come strumento operativo potrebbe essere letto come modalità autonoma ed indipendente di organizzare gli enti, la quale pretende comunque una permanenza del dirigente nella sua posizione dirigenziale limitata nel tempo.
E tuttavia: l’Anac possiede il potere di fornire indicazioni che incidano direttamente sulla normativa in tema di disciplina del rapporto di lavoro, sia legislativa, sia contrattuale? E’ noto a tutti che tale normativa fonda esattamente sugli esiti della valutazione della dirigenza lo strumento principale per determinare l’attribuzione o la conferma dei loro incarichi.
L’indicazione dell’Anac rivela la tendenza sempre più accentuata dell’Autorità ad andare ben oltre i confini della propria competenza e creare regole di diritto inesistenti. Nel caso di specie, si tratta di reintrodurre, per via interpretativa, la rotazione obbligatoria della dirigenza, un tempo presente nel d.lgs 29/1993, ma poi eliminata per la piena consapevolezza che un tourbillon continuo di dirigenti in molti enti non è minimamente ipotizzabile (dato il numero esiguo) e, soprattutto, inficia in modo comprensibile il principio di continuità dell’azione amministrativa ed esattamente le qualità in base alle quali i dirigenti si pretende siano valutati ed incaricati: competenza, esperienza, risultati raggiunti.
La scissione totale tra incarico e valutazione ipotizzata dall’Anac è un vulnus inaccettabile ai criteri di meritocrazia pur sbandierati ai quattro venti e anche una posizione eccessivamente radicale: tra i risultati della dirigenza dovrebbe essere normale, ai sensi della normativa anticorruzione, valutare anche la capacità concreta di astenersi da conflitti di interessi. La rotazione, certamente strumento fondamentale, dovrebbe essere, dunque, un’extrema ratio, da adottare quando risultino evidenze di un’azione dirigenziale non perfettamente trasparente o rispondente agli obiettivi di lotta alla corruzione, non una modalità da attivare acriticamente, sempre e comunque.
Secondo l’Anac “Essendo la rotazione una misura che ha effetti su tutta l’organizzazione di un’amministrazione, progressivamente la rotazione dovrebbe essere applicata anche a quei dirigenti che non operano nelle aree a rischio. Ciò tra l’altro sarebbe funzionale anche ad evitare che nelle aree di rischio ruotino sempre gli stessi dirigenti. La mancata attuazione della rotazione deve essere congruamente motivata da parte del soggetto tenuto all’attuazione della misura”.
La radicalizzazione è ancora più evidente in questa indicazione che va molto oltre le disposizioni della legge 190/2012, la quale prevede, invece, la rotazione solo nell’ambito delle aree a rischio, come lascia comprendere la logica, prima ancora che il diritto. Non ha evidentemente alcun senso coinvolgere nella rotazione chi opera in aree non rischiose. D’altra parte, se è vero che in questo modo la rotazione finirebbe per riguardare praticamente uno stesso lotto di dirigenti, altrettanto vero è che se per combattere la corruzione è sufficiente evitare che il dirigente resti in sella ad un ufficio per troppo tempo consecutivamente, come appunto prescrive la rotazione, un periodo di “stacco” deve considerarsi congruo ai fini degli obiettivi di tutela della legalità. Pena una rotazione estesa a qualsiasi costo, che può minare alle fondamenta la razionalità organizzativa.
C’è da evidenziare all’Anac che come va motivata congruamente la mancata rotazione, allo stesso modo va motivata altrettanto congruamente l’attuazione di una rotazione radicale e cieca, visti gli effetti potenzialmente negativi sull’organizzazione e la qualità operativa di dirigenti che potrebbero vedersi spostati da una funzione all’altra a prescindere dai risultati evidenziati e financo del proprio bagaglio di competenze.
L’Anac prosegue nel suo ragionamento fondamentalista, ritenendo che i problemi della rotazione evidenziati sopra possano essere superati dall’attuazione della legge 124/2015: “Le questioni organizzative che si pongono a proposito della rotazione della dirigenza sono di diverso tenore. Una decisa influenza su di esse avrà l’effettiva adozione del decreto legislativo di attuazione di quanto disposto dall’art. 11 della l. 124/2015, che prevede la costituzione di ruoli unici per la dirigenza e soprattutto modalità di affidamento degli incarichi dirigenziali attraverso un “interpello” al quale possono rispondere tutti i dirigenti appartenenti ai ruoli. Tutto questo, in prospettiva, potrà favorire la rotazione dei dirigenti fino a rendere probabilmente ininfluente l’elemento della limitata disponibilità di dirigenti nelle amministrazioni di piccole e medie dimensioni, potendo queste contare su un mercato delle professionalità dirigenziali reso più ampio”.
Quanto suggerisce l’ipotesi di PNA potrebbe, forse, favorire l’applicazione estensiva della misura antocorruttiva della rotazione, ma, purtroppo, finisce invece per aumentare a dismisura il rischio che i dirigenti, precarizzati all’inverosimile sia dalla durata limitata degli incarichi, sia dai poteri estesi fino all’arbitrio di nomina i capo ai politici, scelgano di schierarsi politicamente per assicurarsi approdi sicuri, così vulnerando irrimediabilmente l’autonomia operativa ed i principi di imparzialità e parità di trattamento. A cosa giova avere dirigenti che ruotano, se poi il sistema immaginato li spinge ad agire, su qualsiasi posto siano incardinati, non per attuare in modo tecnico e apolitico le direttive amministrative, ma per assicurare alla politica quei “favori” da essa chiesti nel momento in cui si attivi per garantire incarichi in serie?
Le indicazioni dell’Anac vanno esattamente nella direzione della politicizzazione ed annullamento dell’autonomia della dirigenza, che, pure, flebilmente il PNA vorrebbe non compromettere.
Accorta dottrina[1], a proposito degli incarichi derivanti da “interpello” afferma: “Un simile strumento, tuttavia, funziona sin quando regge il principio del diritto all’incarico: se non si viene accettati in una determinata posizione, oggi l’Amministrazione ha comunque il dovere di trovare al dirigente una collocazione. E deve farlo perché quel dirigente ha vinto un concorso e va mandato a casa solo quando si renda colpevole di responsabilità gravi legate alla sua performance o ad irregolarità contabili o disciplinari, con ripetuta valutazione negativa. L’aspetto più controverso della riforma della Ministra Madia dello scorso agosto impatta pesantemente proprio sul nodo del conferimento, cancellando il diritto all’incarico per il dirigente e prospettando, per chi resti senza contratto, il collocamento in disponibilità e la fuoriuscita dai ruoli di appartenenza: in parole povere, il licenziamento. Occorrerà naturalmente valutare cosa prevedrà in dettaglio il decreto attuativo, al momento ancora in via di definizione, ma il timore è che l’interpello possa diventare una sorta di lotteria per una dirigenza fortemente precarizzata, dando vita ad un meccanismo ad espulsione automatica di fatto slegato dalla adeguata valutazione del singolo, che produrrà la corsa permanente all’interpello per tentare, in tutti i modi ed ad ogni costo, di accaparrarsi una sedia. La possibile, grave conseguenza é che, rendendo precari i dirigenti vincitori di concorso, si istituzionalizzi la fidelizzazione per legge del dirigente al nominante (politico o alto burocrate poco importa)”.
L’Anac probabilmente non si rende conto che abbinare la rotazione al sistema degli incarichi immaginato dalla riforma Madia appunto si ottenga il risultato paradossale di potenziare la dirigenza “fidelizzata” per ragioni politiche, prescindendo dalla valutazione e dunque dai risultati e dunque dalla competenza, istituzionalizzando il giornalista che diviene presidente dell’acquedotto e poi consulente del Governo; creando tutti i presupposti per conflitti di interesse endemici, conseguenza di uno strumento, la rotazione, che invece vorrebbe evitarli.
E’ l’incontestabile dimostrazione che di per sé gli strumenti sono sempre utili ed opportuni, ma il contesto ed il modo con cui si utilizzano possono renderli esiziali.
Sì da spingere altra dottrina[2] verso conclusioni coerenti, sì, con quanto sostiene l’aAnac ma ancora una volta, totalmente da rigettare: “Le indicazioni fornite dal Piano anticorruzione, unitamente alla riforma in atto della dirigenza pubblica, imporranno alle amministrazioni di far ruotare obbligatoriamente le proprie figure dirigenziali, anche negli enti in cui ne sono previste poche, in quanto la fungibilità della posizione non andrà più vista solo all’interno dell’ente, ma si aprirà su un ruolo dirigenziale ampio su cui effettuare il successivo conferimento. In altri termini le amministrazioni, saranno ormai vincolate dal citato obbligo di rotazione tale che, se su una precisa posizione dirigenziale dovessero presentarsi diversi candidati, sarebbe difficile da parte dell’ente confermare il proprio dirigente che sia restato per un periodo superiore al massimo consentito (4 anni + 2 di rinnovo motivato)”.
Si incorre, seguendo questa strada, in una serie di errori. Il primo, consiste nel ritenere che vi sia un “massimo consentito” alla durata di un incarico, visto nei 4 anni più due di riconferma. Non è così: il “4+2” è il periodo massimo consentito di permanenza in un incarico a seguito di un primo conferimento; nulla, assolutamente nulla, vieta che a questo incarico ne consegua, nella stessa amministrazione, un ulteriore di altri 4+2, se il dirigente partecipi al successivo interpello e ne risulti vincitore.
L’idea suggerita dall’Anac, se attuata come interpretata dalla dottrina da ultimo citata, finisce effettivamente per creare una dirigenza condannata ineluttabilmente a periodi anche lunghi di permanenza a disposizione degli albi, con retribuzioni ridotte e alle soglie del licenziamento, perché parte dal presupposto di vietare ai dirigenti di partecipare agli interpelli relativi a posti già ricoperti.
E’ assolutamente evidente che proprio un simile modo di interpretare il combinato disposto tra riforma Madia e normativa anticorruzione finisce per sortire clamorosamente il risultato di una dirigenza portata a politicizzarsi e ad agire non per il perseguimento di fini ed interessi generali, ma di parte. Ciò che è l’esatto opposto di quanto dovrebbe scaturire dall’attuazione della normativa anticorruzione.
Appare francamente incredibile che l’Anac, nell’elaborare l’ipotesi di PNA, si mostri come inconsapevole delle conseguenze enormemente negative per l’organizzazione pubblica ed i cittadini della lettura data al sistema della rotazione. Non si hanno, tuttavia, ragioni per immaginare che l’Anac riveda questa posizione. Facile predire che avverrà l’esatto contrario e che occorreranno anni per prendere atto delle conseguenze negative della riforma impostata.



[1] A. Ferrante, “Dirigente cercasi” in www.tantopremesso.it.
[2] V. Giannotti, “La Corte dei conti e l'ANAC sulla rotazione degli incarichi (dirigenziali e non)”, in La Gazzetta degli Enti Locali 25/5/2016.

1 commento:

  1. Il mio caso e'tipico ed attuale!Roma capitale mi chiede di partecipare alla 'interpello per un solo posto che viene dato ad altro collega,mi rimuovono da quello precedente di fascia 4 come direttore di municipio nel quale ero stato per solo 20 mesi, e mi si manda a ricoprire un incarico subapicale in terza fascia libero perché di grande pericolosità con appalti da fare per 64milioni di euro tutti attualmente in proroga.Nel frattempo ad altri dirigenti che non vengono fatti ruotare gli si affidano perfino alcuni interim.Dal punto di vista dell'anticorruzione vengo spostato in un ruolo ancora più esposto ma come direttore di direzione mi diminuisce di circa 20mila euro lo stipendio globale oltre la immoralità del trasferimento avvenuto solo per tre dirigenti su 168 con riduzione di stipendio.

    RispondiElimina