Pagine

venerdì 26 maggio 2017

Dirigenza e direttori dei musei: si guarda al dito (il Tar) invece che alla Luna (i sistemi di reclutamento e l'assenza di controlli)

Secondo il Ministro Franceschini l'Italia incorrerebbe in una figuraccia perchè il Tar ha annullato 5 delle 20 nomine di direttori dei principali poli museali.
E' evidente che è il concetto di figuraccia da specificare bene. Alle istituzioni internazionali potrebbe non risultare sgradito che un giudice dell'azione amministrativa riveli conduzioni e gestioni di detta azione contrarie a legge e vi ponga rimedio.
Insomma, il sospetto che la "figuraccia" possa averla anche fatta il Ministero dei beni culturali è difficile cancellarlo.

Ad esempio, su uno dei tre punti di illegittimità accolti dal Tar. Pare ineccepibile affermare che, in merito ai colloqui, se ben venga la possibilità di utilizzare strumenti telematici, come Skype, per altro verso è davvero scivolare su una buccia di banana:
1) non accertarsi se nell'ambiente dal quale il candidato parla attraverso skype non vi siano collegamenti o suggeritori, atti a incidere sugli esiti del colloquio;
2) non verbalizzare il colloquio o non utilizzare strumenti di registrazione del collegamento;
3) non dare contezza pubblica di giorno e ora del colloquio telematico.
Ci voleva tanto a prevederlo nei bandi? E' un semplice cavillo o un dispetto del Tar, o si tratta di accorgimenti minimi che qualsiasi istruttore inserirebbe in un qualsiasi bando di concorso?
Sul secondo punto, quello dell'apertura a concorrenti stranieri. Premettiamo che la diatriba direttori stranieri sì, direttori stranieri no, appare molto provinciale, sia dal lato di chi considera l'essere straniero di per sè un valore, sia dal lato di considera che il "sapere" museale ed artistico presupponga necessariamente passaporto (e sangue) italiano. Il patrimonio artistico italiano è universale e moltissimi in Italia sono, non a caso, i siti dell'Unesco. Appare astrattamente certamente possibile ed anzi consigliabile che uno studioso non italiano, formatosi sull'arte possa competere per la gestione dei musei italiani. Perchè, chi studia arte, anche in Australia, in Canada o nei posti più remoti, deve necessariamente confrontarsi con lo sterminato patrimonio artistico italiano. Ma, anche chi è chiamato a gestire musei italiani non può non confrontarsi con l'estero: nei nostri musei non ci sono solo Raffaello, Leonardo, Tiziano, Michelangelo o Caravaggio: sono presenti opere di Van Dyck, Rubens, El Greco, Gerit Van Hontorst, Rembrandt.
Detto questo, il Tar ha rilevato che l'articolo 14, comma 2-bis, della legge 104/2014 (il cosiddetto decreto sul bonus art, che ha dato l'avvio alla procedura selettiva), pur prevedendo chiare deroghe alla previa verifica dell'assenza di professionalità interne ed ai limiti percentuali di dirigenti assumibili a contratto ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, non ha derogato all'articolo 38 del medesimo d.lgs 165/2001, che impone (mediato da altre norme di dettaglio) cittadinanza italiana per gli incarichi dirigenziali. Leggiamo il comma 2-bis: "Al fine di adeguare l'Italia agli standard  internazionali in materia di musei e di  migliorare  la  promozione  dello  sviluppo della cultura, anche sotto il profilo dell'innovazione tecnologica  e digitale, con il regolamento di cui  al  comma  3  sono  individuati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e  nel  rispetto delle dotazioni organiche definite in attuazione del decreto-legge  6 luglio 2012, n. 95, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  7 agosto 2012, n. 135, i poli museali  e  gli  istituti  della  cultura
statali di rilevante interesse nazionale che costituiscono uffici  di livello dirigenziale. I relativi incarichi possono essere  conferiti, con procedure di selezione pubblica, per una durata da tre  a  cinque anni,  a  persone  di   particolare   e   comprovata   qualificazione professionale  in  materia  di  tutela  e  valorizzazione  dei   beni culturali e in possesso di  una  documentata  esperienza  di  elevato livello nella gestione di istituti e luoghi della cultura,  anche  in deroga ai contingenti di cui all'articolo 19, comma  6,  del  decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165,  e  successive  modificazioni,  e comunque  nei  limiti  delle  dotazioni   finanziarie   destinate   a legislazione vigente al personale dirigenziale del Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo". Anche in questo caso: è un dispetto del Tar, oppure il legislatore avrebbe dovuto attuare l'intento di, condivisibile, intenazionalizzazione specificando che nel caso di specie il requisito della cittadinanza italiana non era necessario? Per altro il Tar nella sentenza 6171, condivisibilmente, sottolinea che la legge avrebbe dovuto essere maggiormente chiara sul punto, senza nascondere che, comunque, la deroga alla cittadinanza avrebbe anche potuto comportare problemi di legittimità costituzionale.
Corto, occorre dire che sul piano fattuale il Mibact ha sicuramente scelto direttori dei musei di prim'ordine: lo dimostrano i risultati ottenuti.
Allora, le questioni da porre, probabilmente, al di là della specifica vicenda contingente (che ovviamente costituisce un serio problema) sono altre.
In primo luogo, si dovrebbe chiarire una volta e per sempre se nell'assegnare incarichi dirigenziali la PA agisce come un datore di lavoro privato oppure no. Su La Repubblica del 26 maggio 2017, l'avvocato Gianluigi Pellegrino ritiene che gli incarichi dirigenziali siano di tipo fiduciario, retti, quindi dal diritto privato, concludendo che il Tar avrebbe dovuto declinare la propria giurisdizione e riconoscere quella del giudice ordinario.
Noi non siamo di questa opinione, non, almeno, in termini generali. Non si deve dimenticare che comunque esiste l'articolo 97 della Costituzione, il quale obbliga ad assumere i dipendenti pubblici, compresi i dirigenti e a maggior ragione se si tratta di assumerli con incarichi a contratto, mediante concorsi pubblici.
Un altro vizio della procedura del Mibact, non rilevata dalle sentenze, è la solita confusione tra "incarico", che consiste nella specificazione del rapporto di servizio, e "contratto", cioè la fonte di costituzione del rapporto di lavoro. La procedura seguita era ibrida. Infatti, si è aperta la possibilità di assegnare "incarichi", la specificazione cioè delle funzioni da svolgere, tanto a dirigenti di ruolo, quanto a persone non appartenenti ai ruoli, per le quali, quindi, la procedura non era solo limitata all'incarico, ma estesa anche alla costituzione del rapporto di lavoro.
Secondo gli insegnamenti della Consulta, margini per assegnare incarichi "fiduciari", anche coincidenti con la costituzione di rapporti di lavoro a termine, per i dirigenti vi sono: in particolare, quando, considerata l'elevata caratterizzazione politica del dirigente, sia ammissibile una sua condivisione del programma politico; ciò può valere solo per gli altissimi dirigenti apicali dello Stato, che collaborano con la politica quanto meno nell'attuazione degli indirizzi politici, se non addirittura nella loro definizione.
Per la dirigenza gestionale, la Costituzione non ammette spazio a nessun rapporto fiduciario.
Forse, tuttavia, per incarichi molto particolari, nei quali oltre alle capacità manageriali debbano emergere meriti scientifici o anche latamente artistici, potrebbe considerarsi ammissibile una modalità di reclutamento diversa, appunto aperta anche ad esperti con passaporto non italiano e a sistemi di reclutamento innovativi. Ma, la fiducia c'entra poco anche nel campo dell'arte: dirigendo musei non si realizza nè si attua un indirizzo politico, si valorizza e custodisce un patrimonio universale.
Qui, si può andare al terzo punto di illegittimità evidenziato dal Tar: la "magmatica" gestione dei 20 punti (su 100) riservati alla commissione nell'esaminare i 10 dirigenti ammessi alla "fase finale". Leggiamo il passo della sentenza 6171/2017: "Nel caso di specie tuttavia la magmatica riconduzione, dei 20 punti di massima assegnazione ai candidati della “decina” ammessi al colloquio con la commissione, a tre sottosettori contraddistinti con le prime lettere dell’alfabeto, idonei a cumulare i punteggi fino a 10, da 11 a 14 e da 15 a 20, non consente di comprendere il reale punteggio attribuito a ciascun candidato, anche in ordine al criterio di graduazione di ogni singolo punto dei 20 da assegnare all’andamento della prova orale, a conclusione del colloquio sostenuto.
Ed infatti, in punto di fatto ed a leggere la documentazione prodotta in atti e nella quale sono state cristallizzate le operazioni selettive, nella specie si è creata una situazione in virtù della quale, rispetto alla odierna ricorrente, alcuni candidati che avevano conseguito punteggi identici o inferiori a quest’ultima nella verifica dei titoli che aveva dato luogo alla formazione della “decina”, sono stati ammessi all’ultima fase di valutazione e quindi nella “terna”: così è accaduto ai candidati Andreina Conte e Stefano L’Occaso, per il posto di direttore al Palazzo ducale di Mantova, entrati nella terna nonostante avessero conseguito per i titoli una valutazione inferiore rispetto alla ricorrente di 1 punto ed al candidato Marco Pierini, entrato nella terna per il posto di direttore della Galleria estense di Modena nonostante avesse conseguito per i titoli lo stesso punteggio della ricorrente".
Fortissima, insomma, è l'impressione che il complicatissimo sistema di attribuzione dei punteggi (dettagliatamente analizzato dal Tar) sia consistito, sostanzialmente, nel buttare fumo negli occhi, come spesso accade quando si vuole "rivestire" una scelta che, in effetti, altro non è se non fiduciaria e, quindi immotivabile, con una "procedura" che copra l'arbitrarietà della scelta.
Sembra evidente che la procedura seguita sia consistita in un'intricata griglia di punteggi, per porre in essere due scremature:
1) una prima "decina" di candidati da ammettere al colloquio;
2) una seconda "terna" di candidati, estratta dalla "decina" a seguito del colloquio, da sottoporre poi al Ministro e al Direttore generale, perchè tra gli ultimi tre scegliessero, a totale discrezione, la persona da incaricare.
Chi ha seguito le vicende della, per fortuna, naufragata riforma Madia della dirigenza capisce bene di cosa si stia parlando. Il sistema immaginato altro non è se non una sovrastruttura per costruire l'impressione di una selezione, quando invece è solo una giustificazione formale ad una scelta totalmente discrezionale, che potrebbe perfino essere facilmente "pilotata": basta che il "candidato" già gradito al Ministro o Direttore generale di turno, sia sempre presente nelle decine e terne, ed il gioco è fatto.
Da qui gli inevitabili dubbi del Tar: che senso ha fissare griglie di punteggi, se, alla fine, la "magmatica" modalità di attribuzione e loro pesatura sortisce l'effetto paradossale che chi, nell'ambito della "decina" abbia punteggi inferiori finisca nella "terna"?
In fondo, per questo specifico punto, la sentenza del Tar Lazio altro non è se non l'evidenza dell'immenso contenzioso giudiziale che si sarebbe scatenato, laddove la riforma Madia della dirigenza fosse andata in porto; perchè quella riforma, mai andata in vigore per altre ragioni, prevedeva nella sostanza un sistema di assegnazione degli incarichi dirigenziali disegnato esattamente come il bando del Mibact, del resto elaborato nel 2015, cioè in un clima nel quale era forte la convinzione che l'intera dirigenza pubblica potesse essere incaricata secondo la "magmatica" modalità censurata dal Tar.
Sta di fatto, comunque, che urlare alla "figuraccia" significa guardare il dito che indica e non la Luna.
Molti se la stanno prendendo col Tar e chiedono che sia abolito (e i cittadini non si rendono conto che eliminare i Tar significa eliminare un presidio di tutela della legalità nell'interesse dei cittadini; i Tar giudicano dell'azione illegittima delle autorità amministrative).
Come sempre, si sbaglia mira. Assunzioni dei direttori compiute in assenza di una chiara disciplina di deroga alle regole pubblicistiche (checchè ne dica il Ministro Franceschini) sono frutto dell'eterno problema italiano: l'eliminazione, l'inesistenza di qualsiasi controllo preventivo.
Se fossero ripristinati seri controlli di legittimità preventivi, molte "figuracce" potrebbero essere scongiurate. Un organo di controllo terzo ed esperto non avrebbe certamente omesso di individuare le lacune della procedura.
Invece di pensare di abolire i Tar, danno enorme per i cittadini che resterebbero soli davanti ai possibili abusi della PA, si potrebbe ripensare alla funzione dei controlli, per modificare le regole di "ingaggio" sul contenzioso amministrativo. Si potrebbe attribuire agli organi di controllo la funzione di fornire una sorta di "bollino blu" agli atti amministrativi, prevedendo che laddove l'organo amministrativo si attenga agli esiti del controllo, allora gli atti gestionali conseguenti non siano più attaccabili con ricorsi alla giustizia amministrativa o le possibilità di ricorso siano estremamente limitate; mentre, qualora l'amministrazione attiva ritenga di non attenersi agli esiti del controllo, gli spazi per i ricorsi dovrebbero essere ampli e totali.
In questo modo, si avrebbe maggiore ponderazione nelle scelte ed una virtuosa "competizione" tra organi dell'amministrazione attiva ed organi del controllo, a tutto vantaggio dei risultati finali. Nel caso di specie, si sarebbe evitato il clamore internazionale della decadenza di 5 direttori di musei, col dubbio sulla legittimità delle nomine degli altri 15.
In conclusione, sia consentita una digressione, solo apparente. Per un verso, il Governo eleva al cielo alti lamenti contro il Tar, considerato "cavilloso" e "burocrate", perchè contrario a moderni sistemi di reclutamento orientati a scegliere persone meritevoli e capaci.
Si tratta di quello stesso Governo (e anche del Parlamento) che in questi giorni sta tentando di reperire la soluzione finale ai dirigenti illegittimi delle Agenzie fiscali, quelli incaricati a contratto senza concorsi per oltre un decennio, con sistemi considerati incostituzionali dalla sentenza della Consulta 37/2015.
Ebbene, Governo e Parlamento si sentono nel dovere di "stabilizzare" i funzionari illegittimamente incaricati come dirigenti, nelle funzioni dirigenziali, nel presupposto, ben espresso su Il Sole 24 Ore del 26 maggio 2017 da Maurizio Leo sul Quotidiano del Fisco, nell'articolo "Dirigenti Entrate, ultima chiamata a fine settembre", secondo il quale "qualunque scelta si faccia dovrà premiare il merito, la competenza – che su una materia specialistica quale il diritto tributario è particolarmente importante – e la capacità di organizzare servizi e uffici ad alto contenuto tecnico quali quelli delle Agenzie fiscali. Tutto questo, peraltro, va fatto nel quadro della necessaria continuità che deve caratterizzare l’azione amministrativa. In questo senso, assume importanza assoluta il 30 settembre 2017, data entro cui giungerà a scadenza il sistema di delega temporanea di funzioni dirigenziali previsto dal Dl 78/2015".
Ma, non ci avevano detto, mentre si perorava la riforma Madia della dirigenza, che essa era una meravigliosa riforma perchè consentiva a qualsiasi dirigente di concorrere per qualsiasi incarico, nell'ottica di una sana e doverosa rotazione e circolazione delle competenze? Non sancisce, la giurisprudenza della Cassazione, che i dirigenti, pur avendo diritto ad un incarico, non possono vantare una pretesa per uno specifico incarico connesso alla professionalità acquisita, proprio in virtù della presunzione che la qualifica dirigenziale sia sostanzialmente un'abilitazione a dirigere, ma non l'immedesimazione in un certo posto? Non prevede, la normativa sulle stabilizzazioni anche inserita nella riforma Madia recentamente approvata dal Governo, che le stabilizzazioni escludano sempre gli incarichi dirigenziali, sulla base della considerazione semplicissima che i precari veri sono coloro che hanno condotto con la PA solo il rapporto di lavoro a termine, mentre i dirigenti a contratto, in particolare quelli delle Agenzie, spessissimo sono funzionari che, quindi, scaduto l'incarico dirigenziale non perdono il lavoro, ma tornano a fare i funzionari, come per altro è successo? Non è evidente che gli incarichi dirigenziali "a contratto" sono per loro natura legati ad un mandato politico temporaneo?
Come è possibile, dunque, che mentre si predica il merito, l'internazionalizzazione, Skype, le decine, le terne, i colloqui selettivi, nello stesso tempo si ricorra al più medievale dei sistemi di reclutamento, la "stabilizzazione", anche contro qualsiasi evidenza di costituzionalità, considerati gli insegnamenti della sentenza 37/2015?

2 commenti:

  1. Quando leggo commenti così bene articolati come il suo e li confronto con quel che appare sui giornali, mi viene da pensare che il MinCulPop abbia solo cambiato nome è così come per i musei, il governo arruola giornalisti in servizio permanente effettivo, ricompensandoli per via indiretta con ben pagate comparsate Rai o incarichi di sottogoverno e simili. Questo perché la differenza tra la realtà e quello che appare sui giornali va al di là di ogni immaginazione.

    RispondiElimina