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giovedì 6 dicembre 2018

Manovra economica ed enti locali. Governo del cambiamento? Almeno, forse, della consapevolezza



I tanti, troppi, problemi connessi ad una manovra economica che mercati e Ue hanno già più volte e da tempo marchiato come insufficiente, rendono evidentemente complicata l’azione del Governo.

Affermare, quindi, che si stia attivando un “cambiamento” rispetto al passato, se alla parola “cambiamento” si intende attribuire un valore necessariamente positivo, è quanto meno azzardato. Per la verità, si dovrebbe ricordare che il cambiamento di per sé non è un valore: si può cambiare, infatti, anche in peggio, mentre cambiare tanto per cambiare è esercizio costoso e inutile.
Se, dunque, non si può certamente essere sicuri di un cambiamento positivo in generale, tuttavia, dalla manovra e dalle leggi collegate pare cominci ad emergere almeno una consapevolezza: quella che davvero moltissime delle scelte e delle connesse norme adottate negli ultimi anni sono radicalmente sbagliate e, finalmente, iniziano ad essere oggetto di critica con spiragli di correzione.
Se sicuramente da almeno 25 anni le riforme in generale della pubblica amministrazione e della contabilità si sono rivelate inefficaci, contraddittorie, complicate e comunque non in grado né di assicurare crescita ed efficienza, perché mentre il debito e la spesa pubblica hanno continuato a salire, il sistema si è complicato all’inverosimile, è altrettanto vero che rimonta a circa 8 anni fa la rampa di lancio verso il precipizio di norme e regole che hanno regalato solo un trionfo della burocrazia e dei vincoli operativi, senza alcun risultato per il rilancio del Paese.
Ci riferiamo alla vera e propria pietra miliare dello scadimento delle regole verso il mero adempimento contabile, connesso a vincoli ottusi, utili solo a complicare scelte e gestioni: il d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010.
Si trattò della prima manovra economica estiva (la norma risale al maggio 2010), con la quale il Governo di allora, che per due anni aveva ostinatamente negato l’esistenza della crisi finanziaria, economica e produttiva scatenatasi nel 2008, cerò di correre ai ripari.
Ce lo ricordiamo: è la norma del congelamento dei contratti, della riduzione dei fondi contrattuali in proporzione alla spesa del personale cessato, del tetto alla spesa di personale, del tetto alla spesa del personale a tempo determinato, dei tetti alla spesa per formazione, per comunicazione, per sponsorizzazioni, per contributi, per gettoni di presenza, per incarichi, per società partecipate.
Un intrico incredibile di tetti, vincoli, adempimenti, comunicazioni, dati da caricare, dal quale il Legislatore non è più uscito. Da quel momento, tutte le leggi successive hanno approfondito l’abisso di burocrazia nel quale si è sprofondati, con la riforma contabile, ridicolmente definita “armonizzazione”, con regole sempre più astruse e mutevoli sui tetti di spesa per le assunzioni, con modifiche continue alle regole societarie, dall’in house providing alla spesa per i compensi agli amministratori, per passare poi verso “strette” agli appalti, con reticoli intricatissimi di obblighi di acquisizioni ora tramite convenzioni Consip, ora tramite soggetti aggregatori, ora tramite stazioni uniche appaltanti, fino a giungere al definitivo cortocircuito della micidiale combinazione tra la iperburocratica normativa anticorruzione, il codice dei contratti e la soft law. E mentre lievitavano adempimenti, caricamenti, pubblicazioni doppie, triple e quadruple, la funzione interpretativa diveniva una maionese impazzita, ricca di pareri emessi dai più disparati soggetti, tutti contraddittori, tutti ulteriori cunei posti a divaricare lo stacco tra comprensibilità della norma e sua attuabilità.
Bene, apprendiamo che la manovra intende incidere profondamente su molti degli adempimenti bizantini di questi ultimi anni, iniziando la demolizione del d.l. 78/2010 e di quanto ad esso si riallaccia.
Si prevede che dall'esercizio 2019, i comuni e le loro forme associative capaci di approvare il consuntivo entro il 30 aprile e il bilancio di previsione entro il 31 dicembre dell'anno precedente siano finalmente esentati dagli assurdi vincoli di spesa per automezzi, acquisto di immobili, missioni; questi enti potranno anche finalmente non compilare più gli inutili e ridondanti “piani di razionalizzazione delle dotazioni strumentali” e fare a meno delle assurde comunicazioni delle spese pubblicitarie.
Tutti minuti e polverizzati (oltre che polverosi) meri adempimenti, che intasano l’operatività, dirottano energie lavorative dalla gestione efficiente all’amministrazione “difensiva” attenta al cavillo, per evitare responsabilità: sì, perché ogni minimo atomo burocratico è sempre accompagnato da sanzioni, generale per il comune (blocchi di assunzioni, ad esempio) o specifiche per i dipendenti: valutazione negativa, riduzione dei premi, revoca degli incarichi.
Un modo di gestire iperburocratico ed ingessante, degno della peggiore burocrazia militare esistente nell’Italia di fine ‘800 e inizio ‘900, impersonata dalla triste figura del generale Cadorna, colui che imponeva le decimazioni dei propri soldati, per “mantenere la disciplina” disposta in migliaia di regole assurde e totalmente inadatte, per altro, alle nuove tecniche di guerra.
Forse si è capito che quelle regole attivate a partire dal 2010 non sono la cura, ma parte del male. Certo è tardi, certo il clima complessivo è sfavorevole, sicuramente l’azione del Governo è criticabile e debole. Ma, è importante che finalmente si mettano in discussione norme assurde, non più solo in dottrina.
Contestualmente, si dà anche l’avvio ad una profonda riforma del codice dei contratti, che passa per la reintroduzione dell’incentivo per la progettazione riferito appunto alla progettazione, riscrivendo la più incredibilmente assurda norma del codice, l’articolo 113, manifestamente figlia di un’incredibile azione di lobbismo, lasciata passare come acqua fresca ed alcuni correttivi immediatamente inseriti nel decreto “semplificazione”.
Ma, è già in rampa di lancio una delega finalizzata a riscrivere da zero il d.lgs 50/2016, a quanto pare basata su due cardini fondamentali e, finalmente, corretti: il primo è il rispetto del divieto di gold plating, con l’eliminazione di tutte quelle assurde norme di diritto interno che aggravano e modificano i livelli di regolazione previsti dalle direttive Ue (si spera che in questo modo si giunga alla definitiva cancellazione, con tanto di damnatio memoriae dell’inutile e dannoso principio di “rotazione”); il secondo è l’addio alla soft law (della quale in ben pochi sentiranno la mancanza), per il ritorno ad una regolazione attuativa tramite specifici decreti legislativi o tramite regolamento. Il Legislatore si riappropria della funzione normativa, che la Costituzione mai ha consentito di demandare ad autorità diverse.
Non si ha idea di come si uscirà dalle troppe nebbie della manovra, visto che la rotta non pare precisa.
Non si può non sottolineare che mentre sale la consapevolezza che l’insieme di norme che dal 2010 pesano in modo insopportabile sull’efficienza della pubblica amministrazione, proprio il Ministero della Funzione pubblica limita ancora la sua idea di riforma all’esasperazione dell’idea brunettiana dei fannulloni, introducendo la timbratura del badge con sistemi di rilevazione biometrica.
In ogni caso, un segnale viene dato. Quasi un decennio di scelte organizzative e legislative, affidate a “tecnici” che di pubblica amministrazione non sapevano molto e obnubilati dagli slogan di inchieste superficiali della stampa generalista, è messo in discussione. Vedremo se accanto alla demolizione – necessaria e, purtroppo, tardiva – di questo delirio burocratico vi sarà una ricostruzione dell’organizzazione tale da renderla finalmente utile ed efficiente.




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