Essendo stato reso pubblico il
provvedimento[1] adottato dal sindaco di
Palermo in merito alla “sospensione” del d.l. 113/2018, convertito in legge 132/2018,
è possibile inquadrare meglio la questione giuridica connessa.
Per chi non avesse voglia di
leggere l’intero atto, si riporta il passaggio cruciale: “impartisco la disposizione di
SOSPENDERE, per gli stranieri
eventualmente coinvolti dalla controversa applicazione della legge 132/2018,
qualunque procedura che possa intaccare i diritti fondamentali della persona
con particolare, ma non esclusivo, rifermento alle procedure di iscrizione
della residenza anagrafica”.
Dunque, dato il tono letterale,
si deve concludere che si tratti di un vero e proprio ordine di servizio, col
quale il sindaco di Palermo ordina, appunto, al dirigente dei servizi
demografici di sospendere le disposizioni di legge contenute nel “decreto
sicurezza”.
Così inquadrato il provvedimento,
ne derivano come corollario considerazioni in via di fatto e, soprattutto, in
via di diritto.
In via di fatto, il tenore del
provvedimento denota che il ritratto del sindaco di Palermo come un “eroe” che
stanno proponendo in molti è del tutto erroneo.
Eroe è chi affronta personalmente
un rischio estremamente elevato, nella consapevolezza certa di pagare
direttamente ogni conseguenza di tale rischio.
Ebbene, nel caso di specie, non è
così. Il sindaco di Palermo, come si nota, in realtà non affronta alcun rischio
in prima persona. Infatti, il primo cittadino non ha sospeso il decreto
sicurezza. Bensì ha ordinato al dirigente dei servizi demografici di
sospenderlo.
La cosa è estremamente diversa. L’eventuale
iscrizione anagrafica dei richiedenti protezione internazionale, non più
consentita dal d.l. 113/2018 e quindi in sua violazione, determinerebbe una
responsabilità eventualmente anche penale (molto probabile è che si rientri nel
reato di abuso di ufficio) non del sindaco, ma del dirigente e persino dello
stesso operatore dell’anagrafe che, violando la norma, materialmente
consentissero l’acquisizione della residenza non permessa dalla norma.
Nella sostanza, il sindaco di
Palermo con la lettera evidenzia una serie di possibili vizi di
costituzionalità del decreto Salvini, ma si astiene dall’adottare egli in prima
persona un provvedimento. Materialmente, manda avanti il dirigente, assegnando
integralmente ad esso ogni responsabilità.
Infatti, l’eventuale illecito
penale e le illegittimità amministrative non saranno riconducibili al sindaco,
ma al dirigente che eseguirà l’ordine ricevuto (potrebbe anche andare
diversamente, tuttavia, come si vedrà più avanti in questo scritto).
Poiché la responsabilità penale è
personale, il rischio cede a carico del dirigente e dell’operatore che
assentiranno all’acquisizione della residenza: il sindaco ne resta fuori.
Dunque, in prima battuta, di
eroico l’atto del sindaco di Palermo ha ben poco, se non del tutto nulla. L’iniziativa
adottata ha avuto ed ha un immenso impatto mediatico, ma non lo espone a nessun
rischio.
Oltre tutto, la circostanza che
il sindaco di Palermo abbia rivolto un ordine di servizio al dirigente e non
abbia direttamente sospeso la legge rivela, indirettamente, un elemento
decisivo: la consapevolezza che in effetti il sindaco non dispone di alcun
potere di sospensione delle leggi. Come moltissimi costituzionalisti hanno ben
evidenziato.
Se il sindaco di Palermo fosse
stato davvero convinto di poter sospendere il decreto Salvini, avrebbe magari
adottato un’ordinanza, atto tipico e di competenza esclusiva dei primi
cittadini. Invece, ha rivolto un vero e proprio ordine di servizio, rimettendo
ad un terzo, il dirigente dei servizi demografici, l’obbligo di attenersi a
detto ordine, invece che di applicare la legge.
Andiamo, allora, agli aspetti
tecnico-giuridici. Essendo in presenza di un ordine di servizio, cade del tutto
l’argomentazione di chi giustifichi l’iniziativa del sindaco di Palermo sulla
base della circostanza che essa è tesa ad indurre il Prefetto ad intervenire
con un proprio atto di annullamento, in modo che il comune possa ricorrere
contro detto atto avanti al giudice amministrativo e, così, sollevare in via
incidentale la questione di legittimità costituzionale sul d.l. 113/2018. Questa
ipotesi non si può materialmente verificare, almeno non con riferimento alla
nota sindacale: l’ordine di servizio, infatti, è un atto esclusivamente interno
al comune, sul quale il Prefetto non dispone di nessun potere di intervento.
Semmai, il Prefetto potrebbe
intervenire per annullare l’attribuzione della residenza ai richiedenti asilo. Ciò
sarebbe di difficilissima realizzazione. Intanto, sul piano procedurale.
Infatti, il Prefetto non dispone direttamente di un potere di annullamento
degli atti dei comuni. Il d.lgs 267/2000, testo unico sull’ordinamento degli
enti locali, infatti, disciplina l’annullamento straordinario degli atti degli
enti locali all’articolo 138, nel testo seguente: “In applicazione dell'articolo 2, comma 3, lettera p), della legge 23
agosto 1988, n. 400, il Governo, a tutela dell'unità dell'ordinamento, con
d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro dell'interno, ha facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d'ufficio
o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali
viziati da illegittimità”. Quindi, il potere di annullamento è di
competenza del Consiglio dei Ministri. Il Prefetto potrebbe eventualmente
avviare il procedimento, lungo e defatigante, per giungere all’annullamento.
Ma, come rilevato sopra, questo
potrebbe riguardare solo l’acquisizione della residenza e non l’ordine di
servizio impartito dal sindaco al dirigente.
Tuttavia, la residenza viene
acquisita sulla base di una semplice dichiarazione di residenza rilasciata dal
soggetto interessato: se il comune accetta la dichiarazione senza opposizione,
la residenza si acquisisce per semplice decorso di 45 giorni, laddove entro
questo termine non si adotti un provvedimento contrario.
Dunque, evidenziare la
fattispecie giuridica da annullare, da parte del Governo, risulterebbe certo
non impossibile, ma particolarmente complesso e mal certo.
Cambiamo pagina, pur restando
sempre nell’analisi tecnico giuridica della fattispecie, e guardiamo comunque i
profili di legittimità dell’ordine di servizio.
Sono ravvisabili almeno due vizi
molto forti: illegittimità per falsa o erronea applicazione di norme o sentenze
e illegittimità per incompetenza assoluta.
Il primo vizio discende da una
lettura di norme costituzionali e sentenze della Consulta citate dal
provvedimento a supporto dell’ordine impartito. Ma, la motivazione addotta
risulta falsa e foriera di sviamento evidente nell’applicazione ed
interpretazione delle norme; infatti, spetta esclusivamente al giudice di legittimità
delle leggi, la Corte
costituzionale, applicare un potere interpretativo e di analisi di una legge,
per giungere a considerarla contrastante con l’ordinamento e quindi
disapplicarla, con effetto ex tunc mediante una sentenza di accoglimento della
questione di legittimità costituzionale.
Il secondo vizio è ancora più
grave ed evidente: il sindaco non può legittimamente impartire alcun ordine di
servizio nei confronti dei dirigenti, per la semplice ragione che non è un loro
superiore gerarchico.
Nei comuni, come nelle altre
amministrazioni, vige il principio di separazione delle competenze degli organi
di governo da quelli tecnici.
Tale principio è posto con
estrema chiarezza dalle seguenti norme;
1. articolo
4 del d.lgs 165/2001:
“Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo,
definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti
rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei
risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi
impartiti. Ad essi spettano, in particolare:
a) le decisioni in materia di atti normativi e
l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;
b) la definizione di obiettivi, priorità, piani,
programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione;
c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed
economico-fmanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione
tra gli uffici di livello dirigenziale generale;
d) la definizione dei criteri generali in materia di
ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi
oneri a carico di terzi;
e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi
attribuiti da specifiche disposizioni;
f) le richieste di pareri alle autorità amministrative
indipendenti ed al Consiglio di Stato;
g) gli altri atti indicati dal presente decreto.
2. Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e
provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e
amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle
risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa,
della gestione e dei relativi risultati.
3. Le attribuzioni dei dirigenti indicate dal comma 2
possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche
disposizioni legislative”.
2. l’articolo
107 del d.lgs 267/2000:
“1. Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei
servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti.
Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo
politico- amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante
autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e
di controllo.
2. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa
l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o
dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo
degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del
segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e
108.
3. Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di
attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo
adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità
stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente:
a) la presidenza delle commissioni di gara e di
concorso;
b) la responsabilità delle procedure d'appalto e di
concorso;
c) la stipulazione dei contratti;
d) gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa
l'assunzione di impegni di spesa;
e) gli atti di amministrazione e gestione del
personale;
f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o
analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di
natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai
regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le
concessioni edilizie;
g) tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori,
abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di
vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti
dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e
repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale;
h) le attestazioni, certificazioni, comunicazioni,
diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente
manifestazione di giudizio e di conoscenza;
i) gli atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai
regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco.
4. Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del
principio di cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto
espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.
6. I dirigenti sono direttamente responsabili, in via
esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza
amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione.
7. Alla valutazione dei dirigenti degli enti locali si
applicano i principi contenuti nell'articolo 5, commi 1 e 2, del decreto
legislativo 30 luglio 1999, n. 286, secondo le modalità previste dall'articolo
147 del presente testo unico”.
Gli organi di governo si
interessano della definizione degli obiettivi e dei programmi generali. I
concreti atti amministrativi, invece, sono competenza e responsabilità
esclusiva dei dirigenti, i quali li adottano nel rispetto, certo, dell’indirizzo
politico, ma prima ancora della legge, in applicazione del principio di
legalità, fissato dagli articolo 97 e 98 della Costituzione.
Dunque, vista l’esclusività della
competenza e della responsabilità dirigenziale, il sindaco non può in alcun modo
ordinare di adottare o non adottare un atto, oppure sospendere o non sospendere
l’applicazione di una norma.
Del resto, se il sindaco fosse un
superiore gerarchico dei dirigenti, significherebbe che sindaco e dirigenti
condividerebbero la medesima competenza, col sindaco in posizione di
supremazia. L’ordine di servizio è tipico del potere di gerarchia propria, nell’ambito
del quale il superiore gerarchico impartisce la disposizione al subordinato,
proprio perché condivide la medesima competenza ma col potere fortissimo di
determinare le scelte del subordinato, potendosi anche sostituire a questo con
l’avocazione.
La divisione di competenze tra
organi di governo e dirigenza disposta dalle norme ricordate prima, attuazione
diretta per altro degli articolo 97 e 98 della Costituzione, impedisce al
sindaco di emanare legittimamente qualsivoglia ordine di servizio ai dirigenti.
Qui si passa al tema
delicatissimo dello spoil system. Cosa potrebbe fare, infatti, il dirigente che
riceva un ordine come quello formulato dal sindaco di Palermo?
La questione è affrontata molto
bene da iusmanagement.org.
Sta di fatto, comunque, che le soluzioni possibili cambiano di molto, in
relazione allo status giuridico del dirigente.
La prima ipotesi riguarda il
dirigente di ruolo, assunto per concorso e non fiduciario. Detto dirigente ha tre
scelte:
1)
evidenziare l’illegittimità dell’ordine di servizio del
sindaco, cagionata dai molteplici profili evidenziati sopra, con una risposta
al sindaco e quindi dare corso, come doveroso, alla legge, senza altri indugi;
2)
attuare le previsioni normative e contrattuali sull’ordine
illegittimo (come indicato nel link riportato sopra) e, quindi fare rimostranza
scritta al sindaco, attendere eventuale conferma dell’ordine e, di conseguenza,
attuarlo; questa seconda strada appare, però, sbagliata: essa presuppone,
infatti, la sussistenza del rapporto di gerarchia, invece inesistente. In
questo caso, potrebbe emergere, tuttavia, la responsabilità penale del sindaco
(ipotesi di cui si era accennato sopra).
3)
attuare senz’altro l’ordine di servizio, impartendo a
sua volta disposizioni di servizio nei confronti:
a. dei
dipendenti della struttura, per indicare loro di avviare comunque il
procedimento di rilascio della redisenza, anche se il richiedente manchi
totalmente dei requisiti soggettivi per chiederla;
b. della
polizia municipale: questa, infatti, dovrebbe essere esentata dall’effettuare
verifiche procedurali, in assenza dei requisiti soggettivi per acquisire la
residenza.
Non sfugge che l’attuazione dell’ordine di servizio del sindaco, comporterebbe a cascata il venire in essere di una serie di responsabilità penali ed amministrative di tanti altri soggetti, oltre al dirigente.
Non sfugge che l’attuazione dell’ordine di servizio del sindaco, comporterebbe a cascata il venire in essere di una serie di responsabilità penali ed amministrative di tanti altri soggetti, oltre al dirigente.
La seconda ipotesi concerne,
invece, un dirigente “fiduciario” assunto a contratto ai sensi dell’articolo
110 del d.lgs 267/2000 o anche un dirigente di ruolo, il cui incarico
dirigenziale sia comunque frutto di una particolare “assonanza” politica col
sindaco.
In questo caso, è facile
immaginare che la “assonanza” possa essere alla base di un accordo tra sindaco
e dirigente, con quest’ultimo disposto ad assecondare l’intento del primo
cittadino condividendone la strategia politica (non tecnicoamministrativa) e
quindi con la piena disponibilità ad attuare l’ordine di servizio, nonostante
le evidenti illegittimità che lo affliggono, scatenando senza troppi problemi
le conseguenze descritte sopra (per altro, col rischio che siano poi i
dipendenti della struttura ad attivare il rifiuto-rimostranza, con un effetto a
catena estremamente complesso da gestire).
Si evidenzia, dunque, ancora una
volta che lo spoil system e, comunque, il potere degli organi di governo di
attribuire gli incarichi dirigenziali sia deleterio.
Infatti:
1)
il dirigente non fiduciario è comunque sottoposto ad
una pressione politica e mediatica enorme e per lui non applicare l’ordine di
servizio risulta estremamente complicato e fonda un rischio elevatissimo di
rimozione e di conseguenze anche pesanti sull’incarico;
2)
il dirigente fiduciario segue l’ordine del sindaco come
la ciurma del Pequod il capitano Achab.
In ogni caso, il potere
indiscriminato di nomina ed incarico dell’organo politico, finirebbe per
condizionare in maniera evidente le scelte gestionali del dirigente, che invece
dovrebbero essere autonome e connesse solo a valutazioni tecniche e non
politiche.
La questione posta, oltre che portare
ai problemi di merito, evidenzia gli sconquassi legati allo spoil system
vigente in Italia.
Ed emerge anche un altro dato: l’eliminazione
della funzione di controllo preventivo di legittimità interno del segretario
comunale e l’abolizione di controlli preventivi di legittimità esterni, frutto
delle sciagurate riforme Bassanini, espone l’ordinamento a forzature estreme,
come quella prodotta a Palermo.
Ve ne sarebbe abbastanza per un
ripensamento profondo delle riforme della pubblica amministrazione di questi 22
ultimi anni.
In conclusione, si deve comunque
sottolineare come in effetti il d.l. 113/2018, convertito in legge 132/2018 si
esponga a fortissimi sospetti di legittimità costituzionale. Sollevare il
problema è, quindi, corretto, ma nei modi utilizzati a Palermo non
giustificabile.
[1] Al Sig. Capo Area Servizi al Cittadino SEDE
OGGETTO:
Procedure per residenza anagrafica degli stranieri.
Nella mia
qualità di Sindaco della Città di Palermo, da sempre luogo di solidarietà e di
impegno in favore dei diritti umani, in coerenza con posizioni assunte e atti
deliberativi adottati da parte di questa Amministrazione comunale, che
considera prioritario il riconoscimento dei diritti umani per tutti coloro che
comunque risiedono nella nostra città, Le sottopongo una richiesta di
ponderazione e una precisa indicazione riguardo alla Legge 132/2018.
Tale impianto
normativo continua a suscitate riflessioni, polemiche e allarmi diffusi anche a
livello internazionale per il rischio di violazione dei diritti umani in caso
di errata applicazione, con grave pericolo di violazione anche della legge
umanitaria internazionale.
À tal proposito
si richiama la nostra Carta costituzionale (mi piace qui ricordare che
quest'anno si è celebrato il 70° anniversario della entrata in vigore) con
particolare riferimento all’art. 2 (laddove il rifiuto di residenza anagrafica
limita il soggetto nell’esercizio della partecipazione alle formazioni
sociali); all'art. 14 (laddove l’inviolabilità del domicilio verrebbe incisa da
un provvedimento negativo in materia anagrafica); all’art. 16 (laddove la
libertà di movimento verrebbe condizionata, se non addirittura disumanamente
compressa, in caso di incisione del diritto di residenza oltre ogni ragionevole
protezione di altri interessi pubblici eventualmente concorrenti); all’art. 32
(laddove il diritto alla salute potrebbe essere meno garantito in ragione della
differente area di residenza anagrafica, o peggio, della mancanza assoluta di
residenzialità formale). Non solo: è la giurisprudenza stessa della Corte
Costituzionale che da sempre afferma e statuisce “che lo straniero è anche
titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione
riconosce spettanti alla persona (...) In particolare, per quanto qui interessa,
ciò comporta il rispetto, da parte del legislatore, del canone della
ragionevolezza, espressione del principio di eguaglianza, che, in linea
generale, informa il godimento di tutte le posizioni soggettive” (Sentenza n.
148/2008; si vedano altresì le sentenze n. 203/1997, n. 252/2001, n. 432/2005,
n. 324/2006).
Ebbene, al fine
di evitare applicazioni ultronee delle nuove norme, che possano pregiudicare
proprio l’attuazione di quei diritti ai quali lo scrivente responsabilmente
faceva riferimento e ossequio, Le conferisco mandato di approfondire, nella Sua
qualità di Capo Area dei Servizi al Cittadino, tutti i profili giuridici
anagrafici derivanti dall'applicazione della citata L.132/2018 e, nelle more di
tale approfondimento, impartisco la
disposizione di SOSPENDERE, per gli stranieri eventualmente coinvolti dalla
controversa applicazione della legge 132/2018, qualunque procedura che possa
intaccare i diritti fondamentali della persona con particolare, ma non
esclusivo, rifermento alle procedure di iscrizione della residenza anagrafica.
Distinti saluti.
Sindaco Leoluca
Orlando
Corretto e puntuale articolo.
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