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sabato 16 marzo 2019

Riforma appalti: scompaiono i controlli preventivi? Ma, da quando ci sarebbero?



Sul quotidiano La Repubblica del 16 marzo 2019 un articolo di Liana Milella commenta alcune prime notizie che trapelano sugli interventi iniziali di riforma del codice dei contratti, che il Governo vorrebbe introdurre nel cosiddetto “sblocca cantieri”.
L’articolo è intitolato in modo estremamente chiaro: “Ma la magistratura è in allarme "Così via i controlli preventivi"”.
E’, quindi, opportuno verificare esattamente dove si concentra l’allarme lanciato, secondo l’articolo, dalla magistratura.

Si legge nell’articolo: “adesso l'asticella dell'affidamento dei lavori senza controlli sale vertiginosamente in alto, arriva addirittura al milione di euro. Facile comprendere allora, davanti alle prime indiscrezioni di fonte giornalistica, la reazione di sorpresa dell'Anac. Identica a quella di magistrati esperti in materia di appalti che parlano di «decisioni gravissime», di «un disastro nella lotta alla legalità», di «porta aperta alla corruzione». Nella scala delle priorità negative, di certo la novità che colpisce negativamente più di tutte le altre, e che viene giudicata letteralmente foriera di «future catastrofi», è la possibilità dell'affidamento diretto, addirittura «senza obbligo di motivazione», per servizi e forniture inferiori a 40mila euro, e per la vori fino a un milione di euro. Come fa notare una toga, «così cade qualsiasi possibilità di controllo preventivo». Una decisione che viene definita - alla luce delle più recenti inchieste sulla corruzione assolutamente «scioccante». Ovviamente «del tutto inopportuna in quanto pericolosa». In una parola: così non si favorisce la ripresa degli appalti, ma quella delle tangenti, delle varianti in corso d'opera, dei costi che lievitano all'infinito. Purtroppo senza più alcuna possibilità di controllo. Per parlare dell'Anac, in questo modo si cancella qualsiasi possibilità di prevenzione, all'insegna dell'appalto libero”.
Un allarme certamente da non trascurare: eliminando i controlli preventivi sugli appalti di lavori fino a un milione di euro e su servizi e forniture fino a 40.000 euro, la stragrande maggioranza degli appalti pubblici viene sottratta alle necessarie ed imprescindibili misure di verifica preventiva della legalità procedurale.
Qual è, però, il vero problema? Molto semplice: l’allarme e lo stupore per l’eliminazione dei controlli preventivi appare quanto meno tardivo. Sia ai magistrati indirettamente citati dall’articolo, sia all’esposizione dei fatti in esso contenta, sfugge, evidentemente, che i controlli preventivi sugli appalti sono stati eliminati, almeno con specifico riferimento agli enti locali (un potenziale di oltre 8.100 committenti) dal 22 anni, a partire dalle leggi Bassanini, che hanno fatto fuori i sistemi di controllo preventivo di legittimità esterno su qualsiasi provvedimento amministrativo.
Si dirà: ma, con la legge anticorruzione e la costituzione dell’Anac questi controlli sono stati ripristinati. Questa è l’indicazione generica che spesso si legge sulla stampa generalista. Le norme, tuttavia, dicono tutt’altro.
Certo, l’articolo 1, comma 16, della legge 190/2012 indica le procedure di gara come area caratterizza ex lege da un elevato rischio di corruzione e conflitto di interesse. Ma, nessuna norma affida all’Anac il potere di svolgere controlli preventivi sugli appalti. In alcune ipotesi, come nel caso del Mose, solo in presenza di particolari accordi e protocolli tra amministrazioni appaltanti ed Anac si è instaurato un complesso sistema di collaborazione affinché un occhio esterno e competente come quello dell’autorità potesse aiutare l’amministrazione ad agire nella legalità, scongiurando influenze interne ed esterne; similare azione è stata intrapresa per l’Expo 2015.
Si tratta, tuttavia, come detto, di iniziative specifiche e sostanzialmente isolate. La normativa anticorruzione non ha costruito un sistema di controllo preventivo sugli appalti.
Scopo della disciplina anticorruzione è un altro: la prevenzione del rischio. Alla quale si giunge mediante analisi dei fattori che possano rendere, nello specifico territorio e per la specifica amministrazione, concretamente aperta la possibilità di influenze negative.
Il rimedio non è dato da controlli sugli appalti, bensì da piani triennali di prevenzione della corruzione, che contengono indirizzi di carattere generale volti ad orientare l’azione gestionale di chi è chiamato a condurre le procedure in modo da conoscere i fattori di rischio e rispettare le misure di contenimento connesse.
Qual è il problema complessivo di questo sistema? La creazione di una quantità torrenziale di piani e di adempimenti materiali (innumerevoli sono le pubblicazioni1 di atti e dati ai fini della trasparenza e della prevenzione, previsti tanto dal codice dei contratti – che duplicano adempimenti già normati dallo stesso codice o da altre norme – quanto dai piani anticorruzione) e la conseguente genericità e poca capacità di incidere di questi strumenti.
Scrive l’Anac nel piano nazionale anticorruzione 2015: “Dall’analisi dei PTPC (piani triennali di prevenzione della corruzione, nda) è emerso che gran parte delle amministrazioni ha applicato in modo troppo meccanico la metodologia presentata nell’allegato 5 del PNA. Con riferimento alla misurazione e valutazione del livello di esposizione al rischio, si evidenzia che le indicazioni contenute nel PNA, come ivi precisato, non sono strettamente vincolanti potendo l’amministrazione scegliere criteri diversi purché adeguati al fine. Quindi, fermo restando quanto previsto nel PNA, al fine di evitare l’identificazione di misure generiche, sarebbe di sicura utilità considerare per l’analisi del rischio anche l’individuazione e la comprensione delle cause degli eventi rischiosi, cioè delle circostanze che favoriscono il verificarsi dell’evento. Tali cause possono essere, per ogni rischio, molteplici e combinarsi tra loro. Ad esempio, tenuto naturalmente conto che gli eventi si verificano in presenza di pressioni volte al condizionamento improprio della cura dell’interesse generale: a) mancanza di controlli: in fase di analisi andrà verificato se presso l’amministrazione siano già stati predisposti – ma soprattutto efficacemente attuati – strumenti di controllo relativi agli eventi rischiosi”.
L’Anac stessa, quindi, si è accorta dell’assenza di controlli nelle amministrazioni e considera questo un fattore di rischio.
Allora, la conclusione da trarre è la seguente: se per prima l’autorità anticorruzione considera un fattore di rischio l’assenza di controlli, la ragione, semplicissima, di ciò sta nella circostanza che appunto la normativa vigente non prevede affatto in modo obbligatorio controlli preventivi.
Del resto, i fatti di cronaca, al di là del recupero di posizioni dell’Italia nella graduatoria internazionale dei Paesi in lotta contro la corruzione, paiono dimostrare che le misure della normativa discendente dalla legge 190/2012 non hanno praticamente mai contribuito né a prevenire, né a svelare episodi di corruzione.
Sempre il piano nazionale anticorruzione del 2015 si diffonde proprio sul rischio connesso agli appalti pubblici, identifica fattori di rischio e misure di prevenzione. Queste, per l più, sono configurare come analisi dei processi, linee guida, standard descrittivi, estensione delle motivazioni, check list.
Non si prevede mai il controllo preventivo come misura anticorruzione. E non stupisce. Nel corso di tutti gli anni ‘90 ha prevalso la teoria secondo la quale i controlli preventivi di legittimità sarebbero sia una lesione dell’autonomia decisionale delle amministrazione, particolarmente grave per comuni, province e regioni, vista la garanzia di autonomia disposta per tali enti dalla Costitizione; inoltre, i controlli preventivi esterni sarebbero troppo burocratici e causa di allungamento dei tempi.
Per tale ragione, tali controlli sono stati sostituiti con:
  1. controlli “collaborativi”: si tratta di attività di definizione preventiva di comportamenti (un po’ come avviene con i piani triennali anticorruzione) e di standard e con la ricognizione, successiva, di eventuali scostamenti per ritarare, mediante indicazioni generali e complessive l’azione amministrativa; quindi sono controlli non puntuali su atti e procedure ma finalizzati a incidere su prassi e procedure;
  2. controlli “sulla gestione”: si tratta di controlli successivi non aventi ad oggetto procedure o atti, ma gli esiti, sostanzialmente contabili e finanziari, della gestione;
  3. controlli “della gestione”: si tratta di controlli che possono anche essere concomitanti, i cui oggetto è la verifica della capacità di conseguire gli obiettivi operativi programmati annualmente; anche in questo caso non riguardano gli atti o le procedure, ma gli indicatori di misurazione dei risultati.
Negli enti locali, solo nel 2012 sono stati reintrodotti controlli preventivi di regolarità amministrativo-contabile.
Purtroppo, però, tali controlli sono:
  1. interni: cioè svolti da organi della stessa amministrazione e, quindi, non in posizione di terzietà ed autonomia;
  2. autoprodotti: sono attestazioni di regolarità autoprodotte dallo stesso soggetto che adotta l’atto; una sorta di autocertificazione della propria correttezza;
  3. ad autonomia solo formale: l’autocontrollo interno preventivo potrebbe funzionare a meraviglia, se l’organo che lo esegue fosse davvero e concretamente autonomo e in grado di resistere a qualsiasi pressione politica e lobbistica; il fatto è che nella gran parte dei casi, chi gestisce le procedure di gara ha incarichi operativi precari, attribuiti dagli organi di governo con modalità che dovrebbero essere meritocratiche, ma spesso finiscono per avere attenzione all’adesione politica, soggetti quindi a pressioni formidabili che rendono non di rado cedevole la regolarità alle forzature interne o esterne.
Lo sblocca cantieri che si sta mettendo in pista, quindi, non avrebbe il vizio di eliminare controlli preventivi, per la semplice ragione che essi sono stati già eliminati da anni o, in qualche caso, ripristinati in modo del tutto debole, precario e formale. Come troppo formale, burocratica ed adempimentale è la disciplina anticorruzione.
Tra l’altro, la possibilità di affidare forniture e servizi al di sotto dei 40.000 euro sostanzialmente senza motivazione è già prevista esattamente dal codice dei contratti vigente, per altro con una norma fortemente ambigua, che crea ovviamente contrasti interpretativi e giurisprudenziali.
Visto che le direttive europee lasciano margini per la regolazione degli appalti sotto la soglia di rilevanza comunitaria, in astratto non appare impossibile che gli affidamenti possano essere diretti e senza specifica motivazione: la motivazione potrebbe consistere appunto esclusivamente in un certo tetto di spesa.
Lo sblocca cantieri se eliminasse ogni ambiguità su questo tema potrebbe rivelarsi solo utile e proficuo.
Basti dare uno sguardo alle contorsioni cui è stata indotta l’Anac nel punto 4.3.1. delle Linee Guida 4 in merito agli affidamenti sotto soglia, quando tratta della motivazione proprio per gli affidamenti diretti: “In ottemperanza agli obblighi di motivazione del provvedimento amministrativo sanciti dalla legge 7 agosto 1990 n. 241 e al fine di assicurare la massima trasparenza, la stazione appaltante motiva in merito alla scelta dell’affidatario, dando dettagliatamente conto del possesso da parte dell’operatore economico selezionato dei requisiti richiesti nella determina a contrarre o nell’atto ad essa equivalente, della rispondenza di quanto offerto all’interesse pubblico che la stazione appaltante deve soddisfare, di eventuali caratteristiche migliorative offerte dall’affidatario, della congruità del prezzo in rapporto alla qualità della prestazione, nonché del rispetto del principio di rotazione. A tal fine, la stazione appaltante può ricorrere alla comparazione dei listini di mercato, di offerte precedenti per commesse identiche o analoghe o all’analisi dei prezzi praticati ad altre amministrazioni. In ogni caso, il confronto dei preventivi di spesa forniti da due o più operatori economici rappresenta una best practice anche alla luce del principio di concorrenza. Si richiama quanto previsto ai paragrafi 3.6 e 3.7 in merito all’applicazione del principio di rotazione”.
Ridurre la motivazione alla circostanza oggettiva di una certa soglia di spesa sortirebbe l’effetto di eliminare le incertezze di percorsi motivazionali sostanzialmente impervi, se non impossibili come quelli indicati dall’Anac: si tratterebbe di una vera semplificazione attesa da anni.
Certo, i pericoli sono molti. Ma, allora, l’attenzione non dovrebbe essere distratta dall’allarme sull’eliminazione dei controlli preventivi, che in realtà da anni ed anni non ci sono più. L’attenzione dovrebbe essere concentrata sull’opportunità di una misura che chiarirebbe una volta e per sempre quando agire con gli affidamenti diretti, senza bizantinismi motivazionali; opportunità, però, da accompagnare necessariamente con l’abbandono di oltre 20 anni di un atteggiamento contrario ai controlli esterni e preventivi di legittimità.
Affidamenti diretti fino a 40.000 euro per servizi e forniture e fino a 1.000.000 di euro per lavoro sottendono molti rischi: frazionamento artificioso, insufficiente consultazione di prezzi di mercato, proroghe e riaffidamenti, progettazione minimale. Per scongiurare questi rischi, pubblicazioni sui portali, piani anticorruzione, relazioni, report, check list, possono risultare belli o anche interessanti, ma non sono efficaci: occorre reintrodurre veri controlli preventivi di legittimità.
L’Anac non basta. Anzi, la sua funzione para-normativa con la cosiddetta soft law, che come visto sopra non riesce nemmeno, spesso, a dirimere questioni operative ed interpretative in modo chiaro, è a sua volta elemento di complicazione, sicché l’idea, sempre sottesa alla riforma degli appalti che si intenderebbe attivare, va certamente nella giusta direzione di razionalizzare e stabilizzare il sistema delle fonti. Ma, soprattutto, l’Anac è un regolatore, non un controllore.
Quindi, un sistema degli appalti più “agile” nelle procedure e negli oneri amministrativi (anche ridurre le infinite e duplicate pubblicazioni di atti e dati non sarebbe un male; la corretta attuazione del Foia dovrebbe consentire comunque un accesso generalizzato, anche ad atti non pubblicati), va benissimo. Ma va accompagnato dall’urgente ripristino di controlli preventivi di legittimità, adottati da organismi esterni e terzi rispetto alle amministrazioni appaltatrici.
I controlli preventivi non incidono sull’autonomia, non la riducono, non la deprimono: sono un sistema essenziale per garantire procedura per procedura, atto per atto, che non si deragli dai binari delle regole, sia normative, sia disposte dai piani anticorruzione.
Il difetto dell’assenza dei controlli non è, quindi, dello “sblocca cantieri”, perché esso non ha il torto di eliminare ciò che non v’è più da anni ed anni; ma ha, semmai, il torto di insistere nel mantenere l’assenza di efficaci sistemi di controllo, che non possono non essere garantiti da organismi esterni, terzi, specializzati, non soggetti ad alcuna pressione o influenza di organi di governo degli enti controllati.


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1Basti citare l’articolo 29, commi 1 e 2, del d.lgs 50/2016:
“1. Tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l'affidamento di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessioni, compresi quelli tra enti nell'ambito del settore pubblico di cui all'articolo 5, alla composizione della commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi componenti, ove non considerati riservati ai sensi dell'articolo 53 ovvero secretati ai sensi dell'articolo 162, devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione “Amministrazione trasparente” con l'applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Al fine di consentire l'eventuale proposizione del ricorso ai sensi dell’articolo 120, comma 2-bis, del codice del processo amministrativo, sono altresì pubblicati, nei successivi due giorni dalla data di adozione dei relativi atti, il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni all'esito della verifica della documentazione attestante l'assenza dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80,nonché la sussistenza dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali. Entro il medesimo termine di due giorni è dato avviso ai candidati e concorrenti, con le modalità di cui all'articolo 5-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell'amministrazione digitale o strumento analogo negli altri Stati membri, di detto provvedimento, indicando l'ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti. Il termine per l'impugnativa di cui al citato articolo 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione. Nella stessa sezione sono pubblicati anche i resoconti della gestione finanziaria dei contratti al termine della loro esecuzione con le modalità previste dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Gli atti di cui al presente comma recano, prima dell’intestazione o in calce, la data di pubblicazione sul profilo del committente. Fatti salvi gli atti a cui si applica l'articolo 73, comma 5, i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla pubblicazione sul profilo del committente.
2. Gli atti di cui al comma 1, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 53, sono, altresì, pubblicati sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sulla piattaforma digitale istituita presso l’ANAC, anche tramite i sistemi informatizzati regionali, di cui al comma 4, e le piattaforme regionali di e-procurement interconnesse tramite cooperazione applicativa”.

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