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sabato 15 giugno 2019

La concretezza che non c'è



Se c’è una disposizione normativa molto distante, nei suoi effetti e nei suoi contenuti, dal concetto che la sintetizza è il disegno di legge “concretezza”, (ddl 920) approvato nei giorni scorsi dal Senato.

A meno che non si creda realmente che un “Nucleo per la concretezza”, composto da poche decine di persone possa assicurare all’amministrazione italiana intera la “concretezza”, è chiaro che la legge voluta dal Ministro della Funzione Pubblica altro non è se non una “norma bandiera”, molto efficace mediaticamente, perché assicura dibattiti e comparsate sull’utilizzo dei sistemi biometrici di rilevazione delle presenze. Sistemi, per altro, per i quali non vi sono sufficienti risorse. La previsione contenuta nell’articolo 2, comma 1, della legge ai sensi della quale gli strumenti di rilevazione saranno installati “nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e della dotazione del fondo di cui al comma 5” (per soli 35 milioni), certificano già il flop, quanto meno proprio sul piano della concretezza; mentre, sul piano mediatico, sicuramente l’effetto “uomo che morde il cane” continuerà a lungo.
A ben vedere, la legge svela che la concretezza è, purtroppo, concetto col quale il legislatore ha poca confidenza e conferma che le “lungaggini” delle procedure non sono per nulla causate dalla “burocrazia” brutta e cattiva, bensì dallo stesso legislatore. Il quale, da anni, insiste nel complicare gli iter, aggiungere adempimenti, fissare termini, pretendere il caricamento di dati, inserire sotto procedimenti, in quel torrenziale ed involuto sistema che ha reso il codice degli appalti inapplicabile e la normativa anticorruzione un insieme solo formale di regole inefficaci.
Uno degli elementi centrali della legge è la “semplificazione” delle procedure concorsuali, per altro realizzata solo per i Ministeri, chissà perché.
Ora, le procedure concorsuali non sono lunghe e complesse per volontà di qualche sparuto burocrate. Pesano come un macigno le regolette e i codicilli del dPR 487/1994, nonché alcune disposizioni di estremo dettaglio, imposte dal legislatore.
La vera concretezza avrebbe consigliato di cancellare il dPR 48/1994 e sostituirlo con moderne regole di pubblicazione e raccolta delle domande mediante Spid o pec e piattaforme, utili anche per la gestione delle procedure. Per altro, è da sottolineare che moltissime amministrazioni hanno autonomamente intrapreso questa strada, a dimostrazione che spesso la “burocrazia” tenta di liberarsi dalle catene normative. E’ incredibile che si consideri “concretezza” l’adozione di pochi e scarni rimedi per favorire una gestione più rapida dei concorsi.
Si considera “concretezza” la possibilità di derogare al “decreto di autorizzazione” all’espletamento dei controlli. Ma, questi “decreti” di autorizzazione sono la fonte prima delle lentezze procedurali, delle quali sono accusate le amministrazioni che agiscono a valle, quando invece è a monte che si ritardano sul nascere i concorsi.
E si considera “concretezza” l’aver trasposto in una disposizione di legge contenuti tipici di un bando di concorso, come l’elenco delle azioni di semplificazione previsto dall’articolo 3, comma 6, lettera b), che prevede
1) la facoltà di far precedere le prove di esame da una prova preselettiva, qualora le domande di partecipazione al concorso siano in numero superiore a due volte il numero dei posti banditi;
2) la possibilità di svolgere prove preselettive consistenti nella risoluzione di quesiti a risposta multipla, gestite con l'ausilio di enti o istituti specializzati pubblici e privati e con possibilità di predisposizione dei quesiti da parte degli stessi;
3) forme semplificate di svolgimento delle prove scritte, anche concentrando le medesime in un'unica prova sulle materie previste dal bando, eventualmente mediante il ricorso a domande con risposta a scelta multipla;
4) per i profili tecnici, lo svolgimento di prove pratiche in aggiunta a quelle scritte o in sostituzione delle medesime;
5) lo svolgimento delle prove di cui ai numeri da 1) a 3) e la correzione delle medesime prove anche mediante l'ausilio di sistemi informatici e telematici;
6) la valutazione dei titoli solo dopo lo svolgimento delle prove orali nei casi di assunzione per determinati profili mediante concorso per titoli ed esami;
7) l'attribuzione, singolarmente o per categoria di titoli, di un punteggio fisso stabilito dal bando, con la previsione che il totale dei punteggi per titoli non può essere superiore ad un terzo del punteggio complessivo attribuibile.
Tutte previsioni di dettaglio procedurale, che lungi dal qualificare la legge come contributo alla “concretezza” la individuano come ennesima “legge-provvedimento”: un bando di concorso che assurge a forma di legge o poco altro.
La norma di concreto offre pochissimo altro, se non la presa d’atto della complicazione procedurale inspiegabilmente introdotta anni addietro, quando si rese obbligatorio far precedere i concorsi dalle procedure di mobilità volontaria.
L’articolo 3, comma 8, finalmente, interviene su un altro elemento di complicazione e ritardo, per nulla determinato dalla “burocrazia”, ma voluto dal legislatore, stabilendo che “al fine di ridurre i tempi di accesso al pubblico impiego, nel triennio 2019-2021, le procedure concorsuali bandite dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e le conseguenti assunzioni possono essere effettuate senza il previo svolgimento delle procedure previste dall'articolo 30 del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001”. E chissà per quale motivo, invece di abolire del tutto la previsione contenuta nel comma 2-bis dell’articolo 30, in barba alla concretezza ed alla semplificazione, si stabilisce la possibilità di fare a meno di una fase procedurale per altro inefficiente (perché spessissimo le mobilità vanno a vuoto o si trasformano in un sistema di gestione clientelare) duri solo tre anni.
Un’occasione mancata per una reale semplificazione capace di dare concretezza al reclutamento si riscontra nella riforma dell’articolo 39 del d.lgs 165/2001:
Vecchio testo
Nuovo testo
Art. 39. Assunzioni obbligatorie delle categorie protette e tirocinio per portatori di handicap

1. Le amministrazioni pubbliche promuovono o propongono programmi di assunzioni per portatori di handicap ai sensi dell'articolo 11 della legge 12 marzo 1999, n. 68, sulla base delle direttive impartite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Dipartimento della funzione pubblica e dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, cui confluisce il Dipartimento degli affari sociali della Presidenza dei Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 45, comma 3 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 con le decorrenze previste dall'articolo 10, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.
Art. 39. Assunzioni obbligatorie e tirocinio delle categorie protette

1.  Le amministrazioni pubbliche promuovono o propongono, anche per profili professionali delle aree o categorie previste dai contratti collettivi di comparto per i quali non è previsto il solo requisito della scuola dell'obbligo e nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 35, comma 3, del presente decreto, programmi di assunzioni ai sensi dell'articolo 11 della legge 12 marzo 1999, n. 68, destinati ai soggetti titolari del diritto al collocamento obbligatorio previsto dagli articoli 3 e 18 della medesima legge n. 68 del 1999 e dall'articolo 1, comma 2, della legge 23 novembre 1998, n. 407, sulla base delle direttive impartite dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Dipartimento della funzione pubblica e dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, cui confluisce il Dipartimento degli affari sociali della Presidenza dei Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 45, comma 3 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 con le decorrenze previste dall'articolo 10, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.

Per un verso, il legislatore prende – finalmente! – atto che le convenzioni di programma previste dall’articolo 11 della legge 68/1999[1] si applicano anche alle assunzioni in categorie e profili superiori per quelle per l’accesso alle quali basti la sola scuola dell’obbligo.
Chi ha scritto la novella all’articolo 39 del d.lgs 165/2001 ha, però, dimenticato un piccolo particolare; l’articolo 7, comma 4, del dPR 333/2000 dispone che “I datori di lavoro pubblici effettuano le assunzioni con chiamata nominativa dei soggetti disabili solo nell'ambito delle convenzioni, stipulate ai sensi dell'articolo 11, della legge n. 68 del 1999, ferma restando l'assunzione per chiamata diretta nominativa prevista dall'articolo 36, comma 2, del citato decreto legislativo n. 29 del 1993, per il coniuge superstite e per i figli del personale delle Forze dell'ordine, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del personale della Polizia municipale, deceduto nell'espletamento del servizio, nonché delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. Le convenzioni sono improntate a criteri di trasparenza delle procedure di selezione dei soggetti segnalati dai servizi competenti, tenendo conto delle necessità e dei programmi di inserimento mirato”.
La norma è chiarissima: essa consente alle pubbliche amministrazioni, da sempre, di assumere mediante le convenzioni di programma dipendenti di qualsiasi categoria, per chiamata nominativa dei soggetti segnalati dai servizi competenti. Le convenzioni di programma, quindi, hanno il computo di specificare come i servizi competenti selezionano i soggetti da segnalare: allo scopo, basta indicare che si fa riferimento alle graduatorie annuali.
Invece, la legge “concretezza”, da un lato chiarisce espressamente che le convenzioni riguardano tutte le categorie di dipendenti, ma in sostanza, riferendosi ai principi dell’articolo 35, comma 3, del d.lgs 165/2001, induce a ritenere che la selezione dei disabili debba avvenire sostanzialmente per concorso. Il che rende evidentemente inutile la convenzione.
Il resto, Nucleo della concretezza, obbligo anche per i dirigenti di segnare la presenza con sistemi biometrici, norme sui buoni pasto, sono dettagli, davvero poco rilevanti al fine di riformare la PA all’insegna della concretezza.


[1] Art. 11. (Convenzioni e convenzioni di integrazione lavorativa)
1. Al fine di favorire l'inserimento lavorativo dei disabili, gli uffici competenti, sentito l'organismo di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dall'articolo 6 della presente legge, possono stipulare con il datore di lavoro convenzioni aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali di cui alla presente legge.
2. Nella convenzione sono stabiliti i tempi e le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare. Tra le modalità che possono essere convenute vi sono anche la facoltà della scelta nominativa, lo svolgimento di tirocini con finalità formative o di orientamento, l'assunzione con contratto di lavoro a termine, lo svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, purché l'esito negativo della prova, qualora sia riferibile alla menomazione da cui è affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di lavoro.
3. La convenzione può essere stipulata anche con datori di lavoro che non sono obbligati alle assunzioni ai sensi della presente legge.
4. Gli uffici competenti possono stipulare con i datori di lavoro convenzioni di integrazione lavorativa per l'avviamento di disabili che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario.
5. Gli uffici competenti promuovono ed attuano ogni iniziativa utile a favorire l'inserimento lavorativo dei disabili anche attraverso convenzioni con le cooperative sociali di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, e con i consorzi di cui all'articolo 8 della stessa legge, nonché con le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali di cui all'articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266, e comunque con gli organismi di cui agli articoli 17 e 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con altri soggetti pubblici e privati idonei a contribuire alla realizzazione degli obiettivi della presente legge.
6. L'organismo di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dall'articolo 6 della presente legge, può proporre l'adozione di deroghe ai limiti di età e di durata dei contratti di formazione-lavoro e di apprendistato, per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 3 ed al primo periodo del comma 6 dell'articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451. Tali deroghe devono essere giustificate da specifici progetti di inserimento mirato.
7. Oltre a quanto previsto al comma 2, le convenzioni di integrazione lavorativa devono:
a) indicare dettagliatamente le mansioni attribuite al lavoratore disabile e le modalità del loro svolgimento;
b) prevedere le forme di sostegno, di consulenza e di tutoraggio da parte degli appositi servizi regionali o dei centri di orientamento professionale e degli organismi di cui all'articolo 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di favorire l'adattamento al lavoro del disabile;
c) prevedere verifiche periodiche sull'andamento del percorso formativo inerente la convenzione di integrazione lavorativa, da parte degli enti pubblici incaricati delle attività di sorveglianza e controllo.

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