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venerdì 30 aprile 2021

Smart Working: che succede ora che salta il minimo del 50% nel periodo d'emergenza?

 Un vento di allarme agita le scrivanie di molti operatori, sgomenti per la modifica dell'articolo 263, del d.l. 34/2020, da parte del "decreto proroghe", che cancella l'obbligo di disporre in lavoro agile il 50% dei dipendenti in emergenza.

La domanda che tutti si pongono è: che fare da lunedì 3 maggio?

La risposta è semplice e banale: nulla che non sia normale ed ordinaria attività connessa strettamente alle funzioni dei dirigenti o dei responsabili di servizio, preposti ai vertici organizzativi delle strutture.

Bene ha fatto il Governo ad eliminare la soglia di percentuale minima di dipendenti in smart working, per la semplicissima ragione che la quantità di personale da poter disporre con questa modalità di espletamento del rapporto di lavoro mal si presta ad essere predeterminata dall'alto e da Roma.

E' aspetto normalissimo, invece, che il Legislatore indichi a ciascun ente di stabilire, in base all'esercizio degli autonomi poteri organizzativi, se e quanto personale possa essere disposto in smart working.

In effetti, il decreto riconduce non tanto ad una "normalità" sul piano sanitario, che purtroppo sembra ancora di là da venire, quanto, invece, sul piano della necessaria autonomia organizzative delle amministrazioni.

La norma è stata riscritta come segue (ci limitiamo ai primi due periodi dell'articolo 263):

"1. Al fine di assicurare la continuità dell'azione amministrativa e la celere conclusione dei procedimenti, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, adeguano l'operatività di tutti gli uffici pubblici alle esigenze dei cittadini e delle imprese connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciali. A tal fine, fino al 31 dicembre 2020 fino alla definizione della disciplina del lavoro agile da parte dei contratti collettivi e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, in deroga alle misure di cui all'articolo 87, comma 1, lettera a), e comma 3, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, organizzano il lavoro dei propri dipendenti e l'erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell'orario di lavoro, rivedendone l'articolazione giornaliera e settimanale, introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l'utenza, applicando il lavoro agile, con le misure semplificate di cui al comma 1, lettera b), del medesimo articolo 87, al 50 per cento del personale impiegato nelle attività che possono essere svolte in tale modalità e comunque a condizione che l'erogazione dei servizi rivolti a cittadini ed imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza, nonchè nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente".

Cosa accade, allora? Non molto:

  1. resta il lavoro agile in deroga alla legge 81/2017, cioè senza la necessità dell'accordo individuale;
  2. pertanto, sono ancora i datori di lavoro pubblici a determinare se e quali dipendenti possano accedere allo smart working.
Cambia qualcosa rispetto alle responsabilità operative dei vertici organizzativi? Pochissimo, quasi nulla.
Resta, infatti, la condizione secondo la quale il lavoro agile sia ammissibile purchè "l'erogazione dei servizi rivolti a cittadini ed imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza, nonchè nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente", esattamente come prima.
Salta solo il riferimento alla necessità di collocare in lavoro agile il 50% del personale impiegato in attività che possono essere svolte in tale modalità.
Ma, a ben vedere:
  1. è del tutto naturale che possa essere disposto in smart working solo il personale che svolga attività compatibili col lavoro agile;
  2. gli enti e i dirigenti o responsabili di servizio avrebbero già dovuto individuare, da mesi, queste attività compatibili con lo smart working e rispettose della condizione del mantenimento (se non miglioramento) dell'efficienza dei servizi:
    1. in applicazione del DM 19.10.2020 (da molti dimenticato);
    2. in applicazione del POLA, se adottato;
    3. in ogni caso, anche in assenza di entrambi, in applicazione di ovvi ed irrinunciabili obblighi operativi ed organizzativi, intimamente connessi alla funzione direzionale.
Dunque, molto banalmente, dal 3 maggio gli enti non avranno che da porre in essere un'ulteriore ricognizione sulle modalità organizzative sin qui adottate e sulla quantità di personale in sw, alla luce della necessità di garantire - come fino a ieri - l'efficienza dei servizi.

Nulla obbliga ad azzerare lo smart working come già organizzato: le amministrazioni possono benissimo confermare l'attuale situazione, se la ricognizione evidenzia l'efficienza gestionale. La cancellazione dell'obbligatorietà della percentuale del 50% non dà vita alla necessità di eliminare lo smart working: semplicemente, dà alle amministrazioni piena autonomia e responsabilità operativa.

Certo, moltissime volte proprio le espressioni "piena autonomia" e "responsabilità operativa" destano sgomento, talmente radicata è l'abitudine di gestire ed organizzare limitandosi ad applicare scelte imposte dall'esterno.

Ma la PA non può aspettare che le proprie decisioni organizzative siano sempre soltanto e solo preconfezionate dall'alto e poi magari lagnarsi del legislatore soffocante. La modifica del regime dello smart working disposta dal decreto altro non è se non il richiamo alla PA ai suoi poteri organizzativi e datoriali e alla necessità di assumersi le responsabilità connesse.

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