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sabato 29 gennaio 2022

La politica che rivendica continuamente il proprio primato ma va alla costante caccia del tecnico...

 Da decenni si sente rivendicare il "primato della politica". Eppure, proprio nello stesso lasso di tempo si è assistito all'ingresso trionfale ed inarrestabile dei tecnici a supplire alla politica. Largo, quindi, a banchieri: Ciampi, divenuto anche presidente della Repubblica, Dini, Draghi; o economisti in veste di "professori", come Monti, per non parlare del lungo stuolo di ministri "tecnici" ed altrettanti "tecnici" chiamati in ruoli per improbabili spending review o similari progetti.

Il tutto, condito dal radicarsi della convinzione dell'esattezza dell'equazione: se qualcuno si è dimostrato competente e di successo nel proprio campo, allora lo sarà anche nella politica e nei ruoli di governo. Dunque: sei stato un riconosciuto competente banchiere? Allora, non puoi non essere perfetto come Presidente del consiglio dei ministri; sei stato un imprenditore? Se hai gestito con successo una grande azienda, allora, saprai gestire al meglio il Governo; sei un medico? Quindi, sei perfetto come Ministro della sanità; sei un magistrato amministrativo o contabile? Quale migliore sottosegretario alla Presidenza del consiglio o alla Funzione Pubblica; sei un professore universitario? Si aprono confini estesissimi per qualsiasi scranno di Ministro, Vice Ministro, Sottosegretario, Presidente di commissione parlamentare.

Per intenderci: non è che questo sistema di per sè non funzioni. Si cita spessissimo il caso della Francia e della mitica Ena, fucina di dirigenti pubblici di altissimo spessore, poi sovente lanciati con successo nella carriera politica e di governo.

Ma, c'è un ma. Nulla vieta, ovviamente, che un imprenditore, un banchiere, un professore, un economista, abbraccino la politica ed assurgano ad incarichi di governo, ovviamente col sostegno delle forze del Parlamento.

Un conto, però, è che la persona che acceda ad una delle cariche istituzionali vitali per il Paese abbia una provenienza dai mondi dell'impresa, della ricerca, del sindacato, della docenza, delle professioni, dell'economia; altro conto è che sia proiettato direttamente da quei mondi agli scranni istituzionali, senza aver mai esercitato la politica, intesa come maturazione di una sensibilità all'interno di un partito, rivolta a percepire i bisogni, interpretarli, cercare di progettare l'evoluzione sociale ed economica, costruire così il consenso, abituandosi al dialogo, al confronto, utilizzando le leve delle regole istituzionali.

Si tratta di percorsi non necessariamente lunghi, ma che richiedono, oltre all'esperienza, il contatto con la società.

E' esattamente quello che si è drammaticamente perso in questi anni, anche a causa di scellerate leggi elettorali, per effetto delle quali l'elezione in Parlamento non è decisa quasi per nulla dagli elettori, ma al contrario predeterminata dalle segreterie dei partiti. Che da decenni mandano stuoli di presunti "fedelissimi" (che tali, poi, si rivelano solo verso la poltrona, perchè sempre pronti a cambiare casacca ed indossare la divisa del cecchino franco tiratore), reclutati senza nessun cursus honorum politico, privi di qualsiasi contatto con la realtà, convinti davvero che il governo possa consistere solo nell'applicare modelli econometrici, metodi imprenditoriali, sistemi gestionali verticistici, studi e ricerche di laboratorio, applicazione pedissequa di norme.

L'ipotesi di candidare come Presidente della Repubblica un ambasciatore, vertice elevatissimo dell'apparato amministrativo dello Stato e, per altro, capo in carica dell'apparato dei servizi segreti, appartiene esattamente a questo modo sciagurato di stare nelle istituzioni.

Una scelta molto criticabile, non per la persona, ma per il metodo. La ricerca della "competenza" assurge a valore in sè. Basta affermare che qualcuno sia competente nel proprio campo, come detto sopra, per costruirgli un'aura di infallibilità e messianicità.

Ma, un'elevatissima competenza in un certo campo, non assicura per nulla risultati utili per la Nazione, laddove il competente assurga ad incarichi istituzionali. Proprio le esperienze passate ed in corso lo dovrebbero insegnare.

L'attuale capo dei servizi segreti vanta una carriera strepitosa e gode della più ampia stima di tutti. Ma, anche in questo caso si tratta di una figura la cui ipotesi di candidatura si regge solo sulla competenza specialistica e la riconosciuta neutralità politica; tuttavia, per quanto persona certamente esperta di pubblica amministrazione e dei tortuosi percorsi istituzionali, essa non ha maturato alcuna esperienza politica, non si è mai confrontata con l'elettorato, non ha mai dovuto curarsi di costruire una linea politica, di coltivarla, adeguarla, proporla e mettersi in gioco con l'elettorato, per poi provare ad utilizzare le regole non per eseguirle ed attuare progetti politici dati, ma per creare consenso su un progetto politico da costruire.

Ora, l'articolo 84, comma 1, della Costituzione recita: "Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d'età e goda dei diritti civili e politici". La lettura semplicistica della norma è, quindi, che chiunque possa essere eletto, anche un alto dirigente pubblico.

Ma, l'articolo 87 della Costituzione esordisce col seguente comma 1: "Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale".

Il carico di responsabilità che gravano sul Capo dello Stato, e in particolare il dovere di rappresentare l'unità nazionale, lascia comprendere che non è proprio così vero e semplice pensare ad ogni cittadino italiano cinquantenne come possibile candidato.

La rappresentanza dell'unità della Nazione non può non essere attribuita a chi nel corso della vita abbia acquisito esperienze e meriti non solo nell'ambito settoriale di competenza, ma nella politica, perchè si sia distinto per accortezza, ponderazione, arguzia, acquisizione di consenso, conoscenza delle regole non scritte e pratiche dell'agone politico, equilibrio, senza scantonamenti e tendenze al verticismo ed alle spaccature.

Lanciare la candidatura di persone che non possono vantare in modo chiaro ed esteso simili esperienze è la prova che le istituzioni hanno perso totalmente la rotta e non riescono ad orientarsi: del resto, se da 30 anni chi sta nel Parlamento non viene selezionato sulla base di una carriera politica veramente politica, non può che essere portato a ritenere normale la candidatura persino del Presidente della Repubblica come un beauty contest, nel quale i crismi del rappresentante dell'unità nazionale possano confondersi con l'esperienza, sia pur di altissimo spessore, di dirigente pubblico.

Senza, per altro, parlare anche della specificità della candidatura, non solo priva di ogni possibile requisito capace di evidenziare una consapevolezza di cosa voglia dire "rappresentanza politica" e, a maggior ragione, dunque, della Nazione, ma anche attualmente parte essenziale di una funzione di governo delicatissima, quella appunto della direzione dei servizi segreti.

Non dovrebbe sfuggire a nessuno la contraddizione insanabile in termini tra la carica di garanzia attribuita dalla Costituzione al Presidente della Repubblica e la possibilità di far passare direttamente un tecnico, senza alcuna esperienza e carriera di politica, per giunta attualmente impegnato in un'attività di intelligence certamente al servizio della Nazione ma che con le funzioni di garanzia e l'unità della rappresentanza proprio non si concilia.

Nè dovrebbe sfuggire la ferita al sistema democratico, il colpo finale derivante da simile candidatura. In fondo Ciampi venne eletto Presidente della Repubblica molti anni dopo aver abbandonato la carriera tecnica di banchiere e dopo esperienze di Presidente del Consiglio e Ministro del tesoro. Non saltò direttamente dal vertice della Banca d'Italia al Quirinale.

La candidatura di un alto dirigente per altro capo dei servizi segreti autorizza, da domani, a qualsiasi componente dell'apparato a poter aspirare all'ascesa verso vertici politici, saltando totalmente meccanismi, competenze, capacità politiche e la legittimazione democratica consistente nella ricerca del consenso, mercè appunto le sciagurate leggi elettorali ancora vigenti.

Sarebbe meglio, necessario, indispensabile non varcare quella soglia e tornare su candidature meno impattanti.

Sarebbe necessario capire che ragionamenti non dissimili dovrebbero valere anche quando si pensi di candidare come Presidente della Repubblica il Presidente del consiglio in carica.

Molte riflessioni sarebbero necessarie. Non si vede, tuttavia, la traccia di una ponderazione seria, pacata e decisa su questi problemi così grandi. Troppo grandi. 


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