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sabato 5 marzo 2022

No ad incarichi professionali esterni negli uffici dei procedimenti disciplinari della PA

 

Illegittima la costituzione di uffici dei procedimenti disciplinari monocratici mediante affidamento di incarichi di lavoro autonomo a professionisti.

E’ sempre più diffusa la prassi, in particolare negli enti locali, di affidare a soggetti esterni, non appartenenti ai ruoli delle amministrazioni, il compito di gestire i procedimenti disciplinari riguardanti i dipendenti pubblici. Una plateale violazione ad una rilevante serie di norme e principi.

La responsabilità disciplinare si manifesta qualora il dipendente, con dolo o colpa, non adempia alle obbligazioni connesse alla prestazione lavorativa e, violando le regole giuridiche e comportamentali alla base delle attività di sua competenza. E’ del tutto evidente che il dipendente assume la propria responsabilità disciplinare esclusivamente nei confronti del datore di lavoro, che è il creditore diretto della prestazione cui si obbliga il lavoratore. Il potere disciplinare è del potere datoriale di organizzazione, cui si riconnette quello di intervenire con sanzioni nei confronti dei dipendenti autori di violazioni consideranti rilevanti agli assetti organizzativi.

Non può esservi dubbio alcuno, allora, che l’esercizio del potere disciplinare spetti integralmente al datore, chiamato, nel rispetto delle modalità disposte da un lato dal d.lgs 165/2001 e per la parte residua dai contratti collettivi, a gestire integralmente il procedimento: dalla contestazione dei fatti, fino al loro accertamento in contraddittorio e all’irrogazione della sanzione.

Il datore di lavoro, nelle amministrazioni pubbliche, è il dirigente o il responsabile di servizio preposto alla direzione delle strutture, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del d.lgs 165/2001.

Non essendo contestabile che l’attivazione e lo svolgimento del potere disciplinare attiene esattamente alla gestione del rapporto di lavoro, basterebbe questa semplice constatazione per comprendere che sia precluso a qualsiasi soggetto che non rivesta il ruolo di datore l’intromissione dall’esterno in una relazione tra lavoratore e datore.

L’articolo 55-bis, comma 2, del d.lgs 165/2001 conferma pienamente il principio facilmente desumibile dall’assetto ordinamentale. Infatti, la norma dispone: “ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento e nell'ambito della propria organizzazione, individua l'ufficio per i procedimenti disciplinari competente per le infrazioni punibili con sanzione superiore al rimprovero verbale e ne attribuisce la titolarità e responsabilità”. Il precedente comma 1 dispone: “Per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l'irrogazione della sanzione del rimprovero verbale, il procedimento disciplinare è di competenza del responsabile della struttura presso cui presta servizio il dipendente”.

Si notano, allora, due precetti molto chiari. Una parte del potere disciplinare è rimessa integralmente e direttamente in capo ai singoli dirigenti ed afferisce alle violazioni sanzionabili con il rimprovero verbale. La rimanente parte della fattispecie è, invece, attribuita ad un apposito “ufficio per i procedimenti disciplinari”. Pensare di incaricare soggetti esterni come uffici per i procedimenti disciplinari, per un verso significa ammettere l’impossibile ed inspiegabile distinzione dell’esercizio di una medesima funzione esclusivamente datoriale, rimessa in parte ad un soggetto non appartenente all’organizzazione dell’ente, per le sanzioni superiori al rimprovero, mentre al singolo dirigente fino al rimprovero. La costituzione obbligatoria dell’ufficio procedimenti disciplinari ha scopi organizzativi: rimettere ad un soggetto specializzato ed esperto la gestione, per evitare la dispersione tra troppi altri organi.

Ma, l’ufficio dei procedimenti disciplinari esercita le medesime prerogative datoriali del datore di lavoro: per questa ragione non può che essere diretto o costituito monocraticamente da un dirigente o un soggetto preposto ai vertici organizzativi dell’ente. Non solo per gerarchia, ma anche per il necessario rapporto organico. Solo un dipendente dell’ente instaura il rapporto organico, che gli permette di agire esercitando le competenze dell’ente, ivi comprese quelle datoriali. Un soggetto esterno, incaricato come collaboratore, non entra nell’organico né assume alcun rapporto organico con l’ente; il che gli inibisce di esercitare, legittimamente, alcun potere proprio della PA, sia di diritto pubblico, sia di diritto privato.

Un ufficio dei procedimenti monocratico ad un incaricato esterno agisce senza alcuna legittimazione ed adotta atti radicalmente nulli. Un incaricato esterno potrebbe, al limite, essere partecipe di un ufficio collegiale, ma solo a scopi consultivi e non decisionali, poiché l’istruttoria e l’adozione delle decisioni finali spettano solo ed esclusivamente all’ufficio come organi dell’ente, e dunque componibile solo da soggetti con un rapporto organico legittimo. Ecco perché il legislatore impone che l’ufficio sia costituito nell’ambito dell’organizzazione di ciascun ente: deve esserne parte integrante.

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