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martedì 2 agosto 2022

Fabbisogni professionali: le linee di indirizzo, un nuovo Leviatano burocratico in "latinorum"

 “– Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, Si sis affinis,… – cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.

– Si piglia gioco di me?- interruppe il giovine

– Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”. (A. Manzoni, I promessi sposi).

Quando non si ha molto da dire, ma si vuole sviare il tema e confondere; oppure, quando il poco che si ha da dire lo si vuol rendere enfatico e roboante, non c’è migliore scelta di ricorrere al caro vecchio “latinorum”.

Oggi, il nostro latinorum è l’inglese, in particolare se il tema da trattare riguarda la pubblica amministrazione e la gestione dei dipendenti pubblici.

Da decenni immani sforzi per introdurre nozionismi del New Public Management (e si scusi il latinorum) e cascami di un aziendalismo che nelle aziende non esiste e si ritrova solo in pensosi “paper” sulle metodologie organizzative nella PA.

Un vuoto spinto, che negli anni ha prodotto solo caos e formalismi. In particolare proprio in uno degli aspetti più delicati del rapporto di lavoro: la definizione delle attività e delle mansioni.

Le PA da sempre non sono capaci di andare molto oltre titoli o lemmi che non significano nulla, come istruttore amministrativo, funzionario contabile, operatore di macchine complesse.

Declaratorie vuote, che evidenziano il vero vuoto: la conoscenza dei compiti svolti dai lavoratori. Un vuoto di conoscenza particolarmente spinto nel mondo degli enti locali, anche perché molti di essi hanno pochissimi dipendenti e sottilizzare sulla specifica descrizione del lavoro non ha senso pratico. Nei fatti, con soli 5, 10 anche 30 dipendenti è un po’ un tutti fanno tutto, salvo incompatibilità marcate (il tecnico che non si occupa di tributi – ma non è detto – il giuridico che non fa il Rup – ma non è detto – il contabile che non fa l’agente di PM – ma anche qui, non è detto).

Dunque le Linee di indirizzo per l’individuazione deinuovi fabbisogni professionali da parte delle amministrazioni pubbliche, approvate con decreto interministeriale del Ministro delle finanze (ma perché?) e della Pubblica amministrazione 22.7.2022, non potevano sfuggire alla cortina fumogena del latinorum, visto che si interessano di un tema trattato da sempre utilizzando consulenti provenienti dal mondo accademico, molto bravi nel produrre studi e teorie, quanto palesemente estranei all’operatività concreta.

Leggendo le 37 pagine (pesanti e prolisse) delle Linee guida, il latinorum aziendalese dilaga:

mission

competency based

civil service

toolkit

human capital intensive

employer branding

human resources management

competency-based organizations

competency-based human resource management

framework

job profile

job holder

gap

policy design

leadership

policy

marketing

governance

job descriptions

libraries

engagement

soft skill

case study

problem solving

team

job family modeling

digital skills

people management

hard skills

technical skills

panel

turnover

assessment center

in-tray

in-basket

role-play

manager

project manager

Per commentare brevemente le linee guida, ci si potrebbe fermare qui, basterebbe ed avanzerebbe questo elenco (dal quale, incredibilmente, manca la parola stakeholder, ahi, ahi).

Qualche ulteriore considerazione, tuttavia, non può che essere fatta. Si resta abbastanza attoniti nell’assistere ad analisi sul "capitale umano" stantie e vecchie di decenni, come il trito riferimento al “sapere”, “saper fare”, “saper essere”.

Un metodo per legittimare a valle la discutibile scelta, operata col d.l. 80/2021 per la dirigenza, e il d.l. 36/2022 per le qualifiche, estendere in modo ampio e discrezionale la valutazione dei concorsi basata sulla profilazione di “esperti di selezione”: un metodo astrattamente interessante, che rischia seriamente di rendere i concorsi terra di conquista dell’individuazione ad personam del vincitore, grazie alla valutazione psicoattitudinale che potrà cambiare le sorti della graduatoria; la “spintarella” mascherata e nobilitata dalla valutazione delle “soft skills”.

Se è vero, come rilevato sopra, che la PA non sa descrivere i lavori, altrettanto discutibile è l’insistenza delle Linee guida verso figure iperspecialistiche, molte delle quali davvero frutto della fantasia di chi scrive simili documenti come fossero relazioni o tesi conclusive di master. La figura, per esempio, del “Responsabile di e-procurement”. Ma, chi ha scritto questa suggestione, sa cosa sia l’e-procurement? Ha chiaro che nella PA si applica il codice dei contratti e le connesse regole, che con l’e-procurement non hanno nulla a che vedere se non la casuale coincidenza dell’utilizzo di strumenti digitali?

E come non restare attoniti nel leggere che occorre “spostare l’attenzione da cosa viene fatto (mansioni e attività) a come vengono svolti i compiti e a quali conoscenze, capacità tecniche e comportamentali – e di quale profondità e ampiezza - siano indispensabili al loro svolgimento ottimale”? Prego? Una PA avviluppata nel problema gravissimo proprio di non sapere “cosa viene fatto” tanto da non essere capace di gestire il lavoro agile (realizzabile solo se si hanno chiari i risultati dei compiti assegnati ai lavoratori), dovrebbe “spostare l’attenzione al “come”?

E quanto è davvero sostenibile il modello delle camere di commercio, proposto come ipotesi da estendere?


Non risulta chiaro che i passaggi 2) e soprattutto 3) descritti sopra sono frutto dello svolgimento dell’attività lavorativa, dell’esperienza in campo e non possono avere molto a che vedere con la descrizione del lavoro ai fini del reclutamento?

E, soprattutto, ditelo e fatelo fare a comuni con pochi dipendenti di frammentare i profili, per dotarsi del mitico data analyst, figura certamente tanto necessaria in astratto, quanto pochissimo indispensabile per le necessità dei piccoli comuni.

Per quanto non manchino indicazioni interessanti, come il glossario ed alcuni spunti per il raggruppamento delle attività in famiglie professionali e la distinzione tra profilo di ruolo e profilo di competenza, ancora una volta sembra di essere di fronte ad un Leviatano, l’ennesimo – per restare al latinorum evocato dal Consiglio di stato a proposito del Piao – layer of beurocracy, un diluvio di idee assemblate da studiosi nella torre d’avorio, che al più produrrà adempimenti, ulteriori studi e riflessioni, lasciando la PA ancora nella sua incapacità di capire cosa facciano i propri dipendenti, come misurare quel che fanno, come raggrupparlo in profili chiari e spendibili per un reclutamento efficace.

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