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domenica 12 ottobre 2014

#province una #riforma caotica che produrrà maggiori costi e #tasse

Due miliardi sono due miliardi e non quattro o tre. Una buona riforma è buona se produce effetti veri e buoni, non se è un caos più costoso.

Basterebbero queste banalissime asserzioni “alla Catalano”, per certificare che la riforma Delrio delle province è il fallimento totale che si è sempre pronosticato ed evidenziato. Non perché il pronosticatore sia un rapace notturno, bensì solo perché si è semplicemente limitato a leggere il testo della riforma.

La legge 56/2014 è stata approvata anche sull’onda delle campagne di stampa che, basate su studi e stime, in primis quelli dell’Istituto Bruno Leoni, diffondevano a piene mani la certezza di un risparmio conseguente di 2 miliardi. Nessuno, però, si è posto mai il problema della base di calcolo di quei due miliardi, tranne, ovviamente, chi li ha stimati.

La stima in discorso risale al 2010. A quell’epoca la spesa delle province era di poco superiore ai 12 miliardi. Nel 2014 probabilmente la spesa delle province, per effetto di una serie di tagli violentissimi, figli della campagna pro abolizione scatenatasi con particolare vigore alla fine del 2011, sarà un pelo sotto i 10 miliardi.

Pare evidente che il risparmio stimato sia già stato conseguito. Ma non per effetto della legge Delrio, che infatti non prevede in nessuna sua parte o allegato intacca o modifica nemmeno di un centesimo il bilancio dello Stato; bensì a causa di una serie di leggi di finanza pubblica, l’ultima delle quali, il d.l. 66/2014, convertito in legge 89/2014, ha dato il colpo di grazia, imponendo tagli ulteriori per il 2014 di 444,5 milioni, che quasi raddoppieranno nel 2015.

La conseguenza? L’ha spiegata l’Unione delle province italiane (Upi) l’11 settembre 2014, quando è stato stipulato tra Stato e regioni l’accordo per il trasferimento delle funzioni: 63 province sono sul punto di sforare il patto di stabilità, 33 in predissesto.

Eppure, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, nonché autore della riforma, ancora è convinto che da essa risulteranno altri 3,5 miliardi di risparmio. Ovviamente, però, non ha mai spiegato, né attraverso la legge, né a completamento delle dichiarazioni, da dove potrebbero mai provenire.

Che, comunque, si tratti solo di velleità lo dimostrano due elementi molto più pedestri e concreti.

Il primo. A seguito della stipulazione dell’accordo dell’11 settembre scorso tra Stato e regioni, il presidente della Conferenza delle regioni, Sergio Chiamparino ha rilasciato questa dichiarazione: “le Regioni aspettano di vedersi assicurati già nella legge di stabilità i finanziamenti per assicurare i servizi che prima gestivano le Province aggiungendo “c'è il rischio che se non saranno stanziate le risorse minime le Province non potranno erogare servizi come il riscaldamento nelle scuole, la pulizia delle strade dalla neve”.

Dunque, le regioni, tra le grandi fautrici della riforma, sanno perfettamente che rischiano di prendersi in corpo funzioni ex provinciali sottofinanziate e altrettanto bene sanno che alle province rischia che residuino finanziamenti irrisori, non sufficienti per lo svolgimento delle funzioni loro rimaste.

Il secondo. Sul Sole24Ore del 12 ottobre 2014 si legge l’articolo titolato “Anci: più risorse per le città metropolitane”. Sicchè, l’Associazione nazionale comuni italiani chiede per le nuove città metropolitane soldi, più soldi di quelli assegnati prima alle province cui succedono. L’articolo è chiarissimo: “Per Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente Anci, «non è sufficiente» che «ci siano trasferite le risorse che avevano le Province fin qui perché le funzioni delle città metropolitane sono maggiori». La richiesta è di definire «le risorse su cui potranno fare conto le città metropolitane nelle loro politiche di bilancio. La legge istitutiva non le definisce»”.

Dunque, l’altro grande gruppo di fautori della riforma, i sindaci delle grandi città, per voce del loro rappresentante:

  1. a) ammettono che la legge Delrio non contiene alcuna norma finanziaria, nemmeno per le città metropolitane;

  2. b) chiedono, comunque, più soldi, molti più soldi di prima, perché le funzioni delle città metropolitane sarebbero “maggiori” di quelli delle province.


Vediamo quali sono queste funzioni maggiori? Ma sì. Diamo un’occhiata all’articolo 1, comma 44, della legge 56/2014, che assegna alle città metropolitane le seguenti funzioni “fondamentali”:

a) adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio metropolitano, che costituisce atto di indirizzo per l'ente e per l'esercizio delle funzioni dei comuni e delle unioni di comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione all'esercizio di funzioni delegate o assegnate dalle regioni, nel rispetto delle leggi delle regioni nelle materie di loro competenza;

  1. b) pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità metropolitana, anche fissando vincoli e obiettivi all'attività e all'esercizio delle funzioni dei comuni compresi nel territorio metropolitano;

  2. c) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano. D'intesa con i comuni interessati la città metropolitana può esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive;

  3. d) mobilità e viabilità, anche assicurando la compatibilità e la coerenza della pianificazione urbanistica comunale nell'ambito metropolitano;

  4. e) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, anche assicurando sostegno e supporto alle attività economiche e di ricerca innovative e coerenti con la vocazione della città metropolitana come delineata nel piano strategico del territorio di cui alla lettera a);

  5. f) promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano”.


A parte la ridondanza di aggettivati come “strategico”, a ben vedere nessuna di queste funzioni è innovativa per le città metropolitane: infatti, erano proprie delle province alle quali subentrano.

Più interessante, allora, è guardare al comma 2 della legge Delrio, ove si prevede di assegnare alle città metropolitane la “cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee”.

Insomma, i sindaci, più volte presi in castagna dalla Corte dei conti per illegittima gestione del denaro pubblico dovuta allo svolgimento di “relazioni internazionali” che non competono per nulla al livello di governo locale, non vedono l’ora di poter, finalmente, fare viaggetti e aprire uffici all’estero, coperti da una normativa che sperano li metta al riparo dai molti strali della magistratura contabile.

Naturalmente, per attivare questa fondamentale funzione delle relazioni internazionali tra città metropolitane, servono più soldi, no?

Ma, se le città metropolitane chiedono maggiori risorse e se le regioni a loro volta pretendono che le funzioni delle province siano coperte da finanziamenti maggiori di quelli oggi disponibili per le province stesse, ci spiega qualcuno come possano aversi effetti di risparmio di 3,5 miliardi? E questo qualcuno, ci spiega come sia garantito che i 2 miliardi già tagliati al sistema delle province, accontentando i potentati regionali e dei grandi comuni, non si riducano e si azzerino o, comunque, non siano fatti recuperare attraverso nuove tasse comunali? Le dichiarazioni di Chiamparino e Fassino vanno certamente verso questa direzione. Possiamo, dunque, “stare sereni”.

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