Incarichi in staff e dirigenti a contratto, fonti di illegalità
Due norme sono il simbolo della “rivoluzionaria” (?) riforma della pubblica amministrazione adottata col d.l. 90/2014, convertito in legge 114/2014: la possibilità di assumere dipendenti negli staff dei sindaci retribuendoli come dirigenti, anche se non laureati e la triplicazione della possibilità di assumere dirigenti a contratto a tempo determinato.
Qualsiasi cittadino che fosse correttamente informato sui contenuti reali delle leggi che adotta il Parlamento, su spinta del Governo (a colpi di decreti e fiducia) si chiederebbe cosa c’entri questo tipo di scelte con la modernizzazione della PA, la sua maggiore efficienza, i suoi minori costi, la digitalizzazione e la semplificazione.
La domanda sarebbe corretta: infatti, le due disposizioni con una riforma della PA utile per i cittadini non c’entrano assolutamente nulla.
A cosa servono, allora, simili norme? Una risposta molto chiara la fornisce l’inchiesta “Mondi di mezzo” sulla situazione davvero incredibile che accade al comune di Roma, ma che probabilmente, trattandosi di un sistema criminale, si estende anche oltre i confini dell’amministrazione capitolina.
Guardiamo ad uno dei protagonisti dell’inchiesta, Luca Odevaine, per limitarci ad esaminare solo i suoi trascorsi nelle due amministrazioni romane: il comune e la provincia.
Odevaine, infatti, è stato rispettivamente nel comune di Roma vice capo di gabinetto dell’allora sindaco Veltroni; presso la provincia di Roma ha operato come direttore del Dipartimento di Protezione Civile e Polizia Provinciale.
Come è stato reclutato Odevaine per questi incarichi? Per quanto concerne il comune di Roma è stato agevole recuperare dal sito il provvedimento di nomina. È l’ordinanza 24 ottobre 2001, n. 316. Che, nella motivazione così dispone: “…Ritenuto di poter individuare il Vice Capo di Gabinetto nella persona del Sig. Luca Odevaine,… assunto" con deliberazione della Giunta Comunale n. 532 del 18.9.2001 alle dipendenze del Comune di Roma per la durata del mandato del Sindaco, ex art. 90 del D. Lgs. n. 267/2000 e art. 6 del Regolamento sull'Ordinamento degli Uffici e dei Servizi del Comune di Roma…”.
Dunque, l’Odevaine è entrato nelle file del comune di Roma senza concorso, ma attraverso il meccanismo degli incarichi fiduciari nello staff degli organi di governo, fissato dall’articolo 90 del d.lgs 267/2000.
Il portale della provincia di Roma non risulta altrettanto trasparente e non è stato possibile recuperare il provvedimento con cui nel 2008 l’allora presidente dell’amminsitrazione provinciale Zingaretti conferì l’incarico all’Odevaine. E’, tuttavia, assai verosimile che in questo caso l’incarico si sia basato sull’articolo 110 del d.lgs 267/2000, la norma, cioè, che al pari dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001, consente agli enti locali di incaricare (sempre, ma per applicazione illegittima, senza concorsi) dirigenti a tempo determinato, cooptati direttamente dall’organo di governo, sovente per mera condivisione di appartenenza o intereressi politici.
Moltissime volte si è scritto della perniciosità ed evidente incostituzionalità di norme come quelle citate, che consentono alla politica di mettere i propri uomini nei gangli del potere, violando il principio discendente dagli articoli 97 e 98 della Costituzione, di separazione tra iniziativa politica e concreta gestione, secondo il quale gli organi di governo dovrebbero concentrarsi nella definizione del programma politico, mentre la concreta gestione operativa deve spettare ad un apparato amministrativo, obbligato sì ad attuare i dettami politici, ma nel rispetto dei principi di imparzialità ed efficienza amministrativa. Principi evidentemente messi molto a repentaglio dalla circostanza che a gestire siano uomini “di parte”, reclutati esattamente per la loro appartenenza e per la garanzia che offrono di perseguire interessi specifici del cooptante, più che per la perizia tecnica e l’atteggiamento imparziale nello svolgere la propria attività.
L’inchiesta su Roma rivela come la pericolosità degli incarichi di sola matrice politica, come quelli regolati dagli articoli 90 e 110 del d.lgs 267/2000 sia ancora maggiore di quanto immaginabile. Non solo, infatti, si tratta di cavalli di Troia per far rientrare dalla finestra la gestione diretta della politica formalmente uscita dalla porta con le riforme Bassanini; ma, in determinate circostanze, queste norme sono la via d’ingresso principale addirittura di malavita organizzata, capace di condizionare pesantemente proprio la gestione amministrativa, a scapito delle finanze pubbliche e della cittadinanza. E’ bene sottolineare che personaggi dalla fedina penale non sempre impeccabile con i concorsi pubblici avrebbero vita molto più difficile ad entrare nelle pubbliche amministrazioni: sia perché potrebbero essere sopravanzati da vincitori più in gamba, sia perché i nodi del possesso dei requisiti per l’assunzione verrebbero inevitabilmente al pettine.
Molte volte, per difendere gli incarichi di matrice politica, i fautori di degli incarichi in staff e a contratto hanno sostenuto l’indispensabilità, per gli organi di governo, di poter contare su persone “di fiducia”, per lo svolgimento della propria attività.
Si vede, ora, quanta fiducia potesse meritare Odevaine. La fiducia non dovrebbe e potrebbe essere mai fonte di un incarico pubblico, per la semplice ragione che i requisiti fissati dalla Costituzione per svolgere le funzioni pubbliche sono totalmente diversi: il dovere fissato dall’articolo 54, comma 2, ai sensi del quale “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”; il dovere posto dall’articolo 98, comma 1: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”; il modus operandi fissato dall’articolo 97, comma 2: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buono andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”.
Nessuno di questi precetti contempla, né, soprattutto, ammette un rapporto di fiducia diretta e personale tra organo di governo ed impiegato pubblico, che giustifichi un reclutamento diretto e, si ribadisce, un legame personale tra l’uno e l’altro, tale da compromettere la funzionalizzazione del funzionario pubblico all’esclusivo perseguimento dell’interesse generale e non della parte politica o, comunque, del corpo sociale particolare da cui proviene la sua nomina.
Gli articoli 90 e 110 del d.lgs 267/2000, come l’articolo 19, comma 6, come le moltissime altre disposizioni speciali relative all’ordinamento dei ministeri e delle agenzie nazionali, laddove consentono un reclutamento diretto, senza concorsi, per sola fiducia, di personale sono in contrasto insanabile con la Costituzione. La Corte costituzionale, sia pure troppo timidamente, a partire dal 2007 ha espresso una giurisprudenza comunque solidissima in merito, escludendo appunto che la fiducia possa essere fonte di costituzione e regolazione di rapporti di lavoro dirigenziali a tempo determinato, con l’eccezione (qui la timidezza) di alcuni incarichi di massimo apice nei ministeri.
Nei comuni i sindaci possono e debbono trovare collaborazione politica e tecnica non attraverso gli incarichi dirigenziali, bensì mediante un organo tecnico-politico, quali sono le giunte. Che, ai sensi dell’articolo 48, hanno il compito di collaborare nel governo, per altro collegialmente, il che priva di legalità il modello “ministeriale” degli assessori, ancora oggi imperante. Ciò fa comprendere come figure come il “capo di gabinetto” nei comuni non hanno alcun senso, visto che “il gabinetto” del sindaco è (dovrebbe essere la giunta).
Lo “staff” del sindaco altro non dovrebbe essere se non un ufficio particolare e dedicato all’attività di questo organo, non un sistema per reclutare dall’esterno, senza concorsi, sodali e clienti, quando non addirittura esponenti di strutture appartenenti alla crminialità organizzata. I dirigenti pubblici, vista la delicatezza delle loro funzioni e competenze, mai dovrebbero essere frutto della cooptazione politica.
In effetti, le riforme Bassanini, se per un verso hanno cercato di attuare i principi costituzionali prima indicati, attuando meglio il principio di separazione delle competenze di governo da quelle dirigenziali, per altro verso hanno creato un virus nel sistema, un rimedio che consentisse comunque alla politica di contare su uomini propri, per violare il principio posto, mediante il sistema, appunto, della cooptazione diretta di staff, capi di gabinetto e dirigenti a contratto.
L’attuale Governo, per quanto conti su molto personale politico con età anagrafica molto più giovane, non sta facendo altro che continuare il perseguimento delle politiche di Bassanini, che per altro su alcuni temi furono prudenti. Già nel 1996-1997 si voleva con insistenza l’abolizione dei segretari comunali e allo scopo la Lega promosse un referendum. La legge 127/1997 salvò la figura dei segretari, ma a caro prezzo: assoggettandone la nomina, attingendo all’albo, alla volontà dei sindaci ed introducendo la figura, un vero e proprio cavallo di Troia della politica, dei direttori generali. La cui presenza, nell’ordinamento locale, si è manifestata costosa (infatti nei comuni sotto i 100.000 abitanti i direttori generali sono stati eliminati) e del tutto inutile. Si torni a Roma, da sempre caratterizzata dalla presenza del direttore generale: ai sensi dell’articolo 108 del d.lgs 256/2000 avrebbe dovuto sovrintendere alla gestione dell'ente, “perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza”. Infatti, il comune di Roma è fallito, è sotto una montagna di debiti curati da una gestione commissariale, debiti scaricati sulla fiscalità generale, cioè su ogni cittadino non solo di Roma, ma italiano.
I fatti, la cronaca, le disfunzioni dimostrano, allora, che la “rivoluzionaria” (?) riforma della pubblica amministrazione compiuta col d.l. 90/2014 è tutt’altro che rivoluzionaria ed utile, proprio laddove rafforza strumenti di reclutamento di personale para-politico, che si rivelano varchi, praterie, all’ingresso incontrollato non solo del clientelismo, non solo dell’inefficienza, ma persino della criminalità organizzata nel cuore delle amministrazioni pubbliche.
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