L'inchiesta Mondo di mezzo o "mafia capitale" ci conferma un dato che, in fondo, conoscevamo o che, comunque, era facilmente percepibile: la legge 190/2012 "anticorruzione" non funziona o, al più, è un pannicello caldo.
Le vicende romane sono, infatti, proprio un colossale e, per la verità, piuttosto plateale, sistema di corruzione, che appare impossibile, oggettivamente, sia passato inosservato per anni.
La verità è una: prevedere la pubblicazione di qualche dato e, soprattutto, escludere del tutto i soggetti politici dalle misure anticorruzione non serve a niente.
In pochi sanno che la legge 190/2012 nella sua prima parte, quella dedicata alla prevenzione di tipo amministrativo della corruzione, non dedica nemmeno una virgola agli organi politici e prende in considerazione solo i dipendenti pubblici. Come se i corrotti fossero o possano essere solo questi.
Una carenza clamorosa, insieme ad altre, tale da rendere questa legge poco più di un simbolo, che richiede tantissimi adempimenti amministrativi, dall'efficacia molto flebile.
A che se serve, ad esempio, pretendere (come fa il d.lgs 33/2013 sulla trasparenza, norma attuativa della 190/2012) la pubblicità dello stato patrimoniale dei dirigenti pubblici, se poi questi vengono remunerati, ovviamente in nero, da cooperative e fondazioni? A nulla. I dati depositati possono essere realistici solo per chi non delinque e non si fa corrompere. Ma, la misura di trasparenza non ha, in modo fin troppo evidente, alcuna funzione deterrente nei confronti di chi intende delinquere. Che, in quanto delinquente, ovviamente di violare le leggi non si fa alcuno scrupolo.
La legge 190/2012 invita ad ogni piè sospinto ad erigere muri contro i conflitti di interesse. E, tuttavia, un dirigente a tempo determinato, Luca Odevaine, scelto fiduciariamente prima da un sindaco di Roma, Veltroni, poi da un presidente di provincia di Roma, Zingaretti, operava da dirigente comunale e provinciale e, contemporaneamente, con varie cariche nell'ambito di cooperative destinatarie di appalti di quegli enti.
La cronaca dimostra che esponenti politici come lo stesso sindaco attuale, Marino, o l'euro deputata Bonafè, si sono incontrati con Buzzi, capo del sistema cooperativistico fonte della corruzione romana. E' vero che fotografie non sono sufficienti per far tintinnare le manette. Ma, è anche vero che il sistema anticorruzione previsto dalla legge 190/2012 non ha aspetti solo penali. Al contrario, esso è basato molto sulla prevenzione. Che consiste in una serie di misure volte ad evitare contatti e rapporti poco commendevoli tra amministrazione e possibili fonti esterne di inquinamento della funzione amministrativa.
Ora, sia Marino, sia Bonafè, giustificano i loro incontri con Buzzi per la circostanza che sono avvenuti in campagna elettorale, rilevando come sia normale, in fase di ricerca di voti e consenso, incontrare il capo di cooperative sociali impegnate nel sociale e, dunque, meritevole di attenzione per i benefici capace di fornire a persone svantaggiate reinserendole nella società e nel lavoro.
Tutto bellissimo e nobile. Ma, ci sono alcuni ma. In primo luogo, appare parecchio strano che all'apparato del Pd sfuggisse totalmente il giro nel quale Buzzi era implicato, e, tuttavia, questo può anche starci, per quanto riveli che i politici in questione sono, se tutto va bene, molto disinformati o molto ingenui o molto inadeguati.
In secondo luogo e soprattutto, è evidente a chiunque, ma non agli interessati, che fare campagna elettorale, evidentemente chiedendo voti o, comunque, accettando finanziamenti da cooperative che ricevono ingenti commesse pubbliche è di per sè fonte di quella corruzione, non penale, ma amministrativa che vuole combattere proprio la prima parte della legge 190/2012. Quella corruzione che, secondo l'Autorità anticorruzione, costituisce un concetto molto più ampio della fattispecie penale e, prescindendo dalla commissione del reato, configura l'inquinamento dell'azione amministrativa, derivante dal perseguimento di interessi privati, oltre o in sostituzione di quelli pubblici, per effetto di influenze esterne.
Lo capirebbe anche un bambino che in campagna elettorale mai un politico dovrebbe incontrarsi e chiedere voti a destinatari di commesse pubbliche e meno che meno accettare finanziamenti.
Eppure, questi comportamenti, di per sè non necessariamente rilevanti sul piano penale ma fondamentali per l'etica e la morale pubblica, non sono lontanamente nè previsti, nè sanzionati dalla legge anticorruzione, proprio perchè, come già detto, essa non si rivolge assolutamente ai politici.
Ma, anche le misure da essa previste contro i funzionari infedeli si rivelano assai poco utili, se un Odevaine poteva continuare a mantenere incarichi "fiduciari", nonostante tutto.
Inutile proclamare, come Marino ora, la "rotazione" dei dirigenti, utilizzandola come strumento indiscriminato per colpire tutti. Come sempre, di fronte a fatti come quelli di Roma, si cerca di annacquare le responsabilità penali, che sono solo personali, con misure che si rivolgono a un tutto indifferenziato.
La rotazione è certo prevista dalla normativa anticorruzione, ma va limitata alle aree a maggiore rischio. Occorre che gli organi di governo si assumano la responsabilità di differenziare e dedicare misure di prevenzione ad aree precise di responsabilità, invece di continuare a predicare il teorema "tutti colpevoli, nessun colpevole", magari attuando sistemi formalistici, come la rotazione, che poi si possono rivelare totalmente ininfluenti di fronte alle blandizie o, talvolta, le minacce delle fonti esterne di corruzione. Che, come possono tranquillamente sopravvivere e prosperare al cambiare del colore politico del governo cittadino, possono anche rimediare alla rotazione dei dirigenti. Infatti, le interecettazioni dimostrano come l'apparato criminale fosse in grado di determinare dall'esterno gli incarichi dirigenziali.
Questo dovrebbe dimostrare che lo spoil system, gli incarichi dirigenziali esterni a contratto (come quelli di Odevaine), gli incarichi negli staff degli organi di governo sono nervi scoperti, punti di accesso dell'intrico politica-corruzione, che la legge anticorruzione nemmeno considera alla stregua dell'invece evidente pericolo. E, paradossalmente, la riforma della PA approvata pochi mesi fa dal Governo, invece di intervenire su questi istituti per eliminarli, ha triplicato il numero di dirigenti esterni nominabili senza concorso dalla politica, e permesso sempre alla politica di cooptare nei propri staff persone senza laurea, retribuendole però come fossero dirigenti. Non solo: nel disegno di legge delega di ulteriore riforma della PA si prevede l'ulteriore estensione dello spoil system e l'eliminazione dei segretari comunali, considerati ex lege responsabili anticorruzione.
E' evidente che tra il parlare di lotta alla corruzione e l'agire concreto passi un oceano. E' evidente, anche, che occorre al più presto ripristinare un sistema di controlli, esterni, non interni, e preventivi, di legittimità sugli atti e sugli appalti, tale da bloccare ogni affidamento diretto, soprattutto se seriale nei confronti dello stesso soggetto. La normativa di favore agli affidamenti diretti alle cooperative per servizi sotto soglia, come si vede, si presta troppo, troppo facilmente alla corruzione.
Accanto al ripristino rigoroso e fortissimo dei controlli, occorrerebbe ripristinare il senso civico, ma al tempo stesso, molto prudente di millenni fa quando, nell'antica Grecia, si sequestravano i beni degli architetti incaricati di realizzare un'opera pubblica, a garanzia del buon andamento dei lavori.
Per amministratori pubbici e dirigenti non basta depositare o pubblicare lo stato patrimoniale. Bisognerebbe che i loro conti fossero aperti esclusivamente nell'ambito di un sistema pubblico, nel quale dovrebbe passare ogni fonte di pagamento e spesa. Una rinuncia, certo, a privacy ed autonomia contrattuale e patrimoniale. Ma un giusto carico per chi sia chiamato a servire le istituzioni, resistendo e, anzi, denunciando e combattendo la corruzione. Ma, ben prima di cadere dal pero.
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