Anche il comune di Acireale è
stato investito dallo tsunami degli assenteisti che alterano in modo
fraudolento le risultanze degli strumenti di controllo delle presenze: 62
dipendenti sotto inchiesta. Su 288 censiti al 2013 (ultimo dato rintracciabile
dal sito del comune).
Si tratta del 21,53% dei
dipendenti del comune. Poco più di un quinto dei dipendenti, dunque, è
coinvolto nel sistema odioso della truffa delle presenze. Troppo, per non
immaginare che anche ad Acireale, come a San Remo, vi sia un vero e proprio
sistema organizzato e in qualche modo tollerato, per assicurare a decine e
decine di dipendenti il sistema di non adempiere all’obbligazione fondamentale
della presenza in servizio. Di certo, si può immaginare, sperando di incorrere
in uno sbaglio, che altrettanto lasco sarà stato il modo di controllare la resa
effettiva delle attività lavorative.
Sul sito si possono riscontrare,
nella sezione “amministrazione trasparente” tassi di assenza encomiabili, non
superiori al 5% dei giorni lavorativi.
La realtà, come si nota, è ben
diversa da quella risultante dagli indicatori pubblicati. E se qualcuno vuol
togliersi la curiosità di sapere se e quanti dipendenti del comune di Acireale
abbiano ottenuto premi di risultato almeno per farsi , per verificare se per
caso un 20% sia risultato non meritevole, meglio che rinunci: nella sezione “performance”
dell’amministrazione trasparente si ritrova la dicitura “L'amministrazione pubblicherà i documenti relativi a questa sezione non
appena disponibili”. Un bel modo per adempiere solo in modo formale agli
obblighi della trasparenza: costituire la sezione “amministrazione trasparente”,
prevedere le sotto sezioni, ma non caricare i dati.
Quali considerazioni si possono
trarre da quanto avvenuto, tenendo presente che risale solo allo scorso ottobre
2015 il caso San Remo?
Molte e tutte quante, purtroppo,
a tinte oscure. Una prima considerazione concerne le misure di trasparenza ed
anticorruzione. Non sono di alcun aiuto concreto ad evitare uno dei principali
comportamenti lesivi di ogni onore ed etica del lavoro. Sembra quasi un’irrisione
la previsione dell’articolo 3, comma 1, del “codice etico”, il dpr 62/2013: “Il dipendente osserva la Costituzione,
servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta
ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa. Il
dipendente svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo
l’interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui è
titolare”. Non meno amaro è il sorriso cui induce l’articolo 11, comma 2: “Il dipendente utilizza i permessi di
astensione dal lavoro, comunque denominati, nel rispetto delle condizioni
previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi”.
Indubbiamente il comune di
Acireale avrà adottato il piano triennale di prevenzione della corruzione e
della trasparenza, il piano della performance ed un codice etico specifico. L’utilità
rispetto all’obbligo della presenza in servizio sembra essere pari a zero.
Ma, se per Acireale e San Remo è
acclarata dai fatti la sostanziale inutilità dei tanti, troppi, adempimenti
burocratici utili per rivestire di “forma” la “sostanza” non sempre rispondente
ai canoni del buon andamento (ma sarebbe da dire della buona fede e correttezza),
per le altre amministrazioni nelle quali i dipendenti non pongono in essere
vere e proprie organizzazioni a delinquere per sottrarsi agli obblighi
lavorativi, il rispetto di queste minime regole di onore non dipende certo
dalla presenza di questi documenti. Né la loro redazione, né la loro messa in
opera serve a molto per prevenire ed impedire simili eventi.
Una seconda considerazione
riguarda le conseguenze. I 62 dipendenti del comune di Acireale la faranno
franca, o potranno essere licenziati, anche in assenza dell’operatività della
riforma del licenziamento dei dipendenti pubblici?
L’esperienza di San Remo ha
confermato quello che tutti sapevano, ma che gli esponenti del Governo per
settimane hanno insistito a negare: è perfettamente possibile licenziare i dipendenti
infedeli ed in tempi sicuramente celeri. L’ufficio dei procedimenti
disciplinari del comune ligure, in un lasso di tempo di 90 giorni ha già
risolto il rapporto di lavoro di una ventina di dipendenti.
Lo stesso dovrà e potrà fare il
comune di Acireale, laddove, ovviamente, le istruttorie comproveranno gli
addebiti, senza che allo scopo occorra la riforma Madia. La quale, come in
tantissimi interpreti ed osservatori hanno rilevato, quando sarà in vigore per
un verso non servirà ad attivare i licenziamenti, che possono essere posti in
essere anche adesso che la riforma non è vigente; per altro verso, sarà fonte
di sicuro ed incerto contenzioso costituzionale, a causa della previsione della
sospensione automatica inaudita altera parte e della responsabilità quasi
oggettiva che fa incombere sui dirigenti.
In terzo luogo, si nota come
nelle amministrazioni che subiscono il sistema organizzato degli assenteisti,
la loro fiducia nelle sicure “coperture” di cui godono e l’abitudine inveterata
a frodare il datore di lavoro prevalgono su qualsiasi forma di deterrenza. Non
è bastato l’esempio di San Remo, dove si è deciso di fare molto sul serio per
colpire i responsabili della frode sulle presenze; meno ancora pare aver
irretito i “furbetti del cartellino” siciliani l’effetto annuncio della riforma
Madia.
Nella realtà, si deve prendere
atto che il sistema di comprova della presenza in servizio mediante la
strisciatura del badge è obsoleto e poco utile ad evitare lo sconcio delle
frodi: troppo semplice affidare i cartellini a qualche collega compiacente, che
“timbri” per conto di altri.
Al di là delle norme etiche (di
nessuna utilità a bloccare chi è disposto a delinquere) e delle disposizioni
sanzionatorie (evidentemente incapaci di fare da deterrente), le
amministrazioni debbono studiare sistemi nuovi e diversi, per controllare le
presenze (per non parlare del rendimento) dei propri dipendenti. E prendere
atto che allo scopo occorre investire risorse.
L’idea contenuta nello schema di
decreto legislativo di riforma del licenziamento per gli assenteisti, secondo
la quale oltre all’assenteista debba pagare anche il “dirigente che non
controlla” può apparire corretta in astratto, ma in concreto si scontra con i
modi, “la pagina del come” direbbe Crozza-Montezemolo. A meno di non pretendere
che l’attività dei dirigenti si riduca al solo appello mattutino ed all’ispezione
da caserma, oppure a pensare che i dirigenti si schierino tutti all’orologio
marcatempo nell’arco (talvolta anche di un’ora e mezza, a seconda delle
flessibilità orarie) di tempo nel quale i dipendenti timbrano, occorre attivare
strumenti di verifica di altra natura.
Per esempio, nel caso del
telelavoro, l’operatività del dipendente che lavora da remoto viene monitorata
attraverso il controllo che il sistema compie sull’aggancio dell’indirizzo IP
del computer utilizzato, verso il data base nel quale il dipendente è chiamato
a svolgere la propria attività.
Non si vede perché non
estendere, in via semplificata, questa idea anche al lavoro in sede, posto che
la gran parte delle attività lavorative sono realizzate al pc, agganciate ad un
sistema in rete.
Si potrebbe, dunque, stabilire
che la presenza in servizio sia attestata non dalla sola strisciata del badge
all’orologio, ma necessariamente anche dal momento nel quale il dipendente si
autentica nel sistema informatico, stabilendo che l’orario di lavoro si computi
e scatti esclusivamente da questo secondo evento. Il sistema informativo,
allora, dovrebbe poter produrre in tempo reale per i dirigenti ed i vertici
responsabili dei dipendenti un rapporto, col quale dare conto della
corrispondenza 1/1 tra timbrature all’ingresso ed agganci al sistema di rete,
in modo da segnalare anomalie eventuali e permettere interventi realmente
immediati.
Un’idea simile costa?
Verosimilmente sì. Ma, se un dirigente o responsabile di servizio chieda alla
propria amministrazione di attrezzarsi per poter svolgere il proprio compito di
controllo nei confronti dei dipendenti e l’amministrazione non investa o non
risponda o non accolga la domanda, la responsabilità, poi, di chi è?
Certo, si potrebbe pensare a
strumenti meno sofisticati: la previsione che i dipendenti comunque anche dopo
aver timbrato attestino la propria presenza attraverso un registro firma, alla
vista del dirigente o responsabile, che, poi, dovrebbe procedere con fogli di
calcolo o anche con carta pergamena e penna d’oca a fare gli incroci necessari
a verificare la correttezza delle attestazioni: ma si tratterebbe troppo di
idee vicine al modello fantozziano.
In ogni caso, la semplice
attestazione tramite badge non mette in alcun modo al riparo dalle frodi. Il
minimo sarebbe prevedere l’obbligatorietà dei tornelli, impostati in modo che
consentano di passare una sola timbratura per volta.
Sta di fatto che ciascuna
amministrazione deve impegnarsi per adottare sistemi concreti di controllo e
verifica delle presenze, perché affidarsi ai massimi sistemi non produce alcun
risultato.
Non ultimo, sarebbe il caso
anche di immaginare modalità per colpire le coperture politiche e partitiche a
sistemi di questo genere: in assenza, la convinzione di molti dipendenti di
essere “protetti” politicamente costituirà sempre una resistenza inviolabile.
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