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sabato 14 maggio 2016

Quel pasticciaccio brutto degli incentivi alla progettazione


Una delle cose che generalmente danno più fastidio sono i pareri non richiesti, specie quando, poi, danno per scontate soluzioni che così scontate non sono.

Il parere espresso dalla Corte dei conti, Sezione Autonomie con la delibera 18/2016 in parte appartiene alla categoria. Esso, infatti, in un inciso, prende posizione su un tema estremamente delicato, che non appare per nulla così scontato come risolto dalla Sezione.
Nel parere si legge: “In linea con quanto previsto dai criteri di delega (art. 1, comma 1, lett. rr) contenuti nella legge 28 gennaio 2016, n. 11, la nuova normativa, sostitutiva della precedente, abolisce gli incentivi alla progettazione previsti dal previgente art. 93, comma 7 ter ed introduce, all’art. 113, nuove forme di “incentivazione per funzioni tecniche”. Disposizione, quest’ultima, rinvenibile al Tit. IV del d.lgs. n. 50/2016 rubricato “Esecuzione”, che disciplina gli incentivi per funzioni tecniche svolte da dipendenti esclusivamente per le attività di programmazione della spesa per investimenti e per la verifica preventiva dei progetti e, più in generale, per le attività tecnico-burocratiche, prima non incentivate, tese ad assicurare l’efficacia della spesa e la realizzazione corretta dell’opera”.
Un inciso lo facciamo anche noi e riguarda un’incredibile epifania: le attività burocratiche sono finalizzate ad assicurare “efficacia” e “correttezza della spesa!”. Per una delle rarissime volte in cui ciò avviene, proprio la Corte dei conti, severa giudice della tanto disprezzata “burocrazia”, sottolinea che sia opportuno incentivarla, perché le attività burocratiche sono necessarie e utili. Come, poi, in un’attività tecnica, nella l’esecuzione del progetto è fondamentale tanto quanto il progetto, l’incentivazione possa escludere la progettazione, non lo ha capito proprio nessuno. Salvo, ovviamente, le lobby dei professionisti ingegneri ed architetti, che hanno premuto per anni ed anni allo scopo di ottenere l’eliminazione dell’incentivo alla progettazione, sperando così di vedere incrementare la quantità degli affidamenti in loro favore. Con disdoro delle regole di revisione della spesa e suo contenimento, che nessuno mette in luce.
Infatti, la parola d’ordine, oggettivamente assurda e indimostrabile, è che vietando ai tecnici delle PA di essere incentivati per progettare, si ottenga maggiore qualità.
In effetti è proprio nell’articolo 1, comma 1, lettera rr), ultimo periodo, della legge 11/2016 che l’ossimoro viene apertamente scolpito in legge: “al fine di incentivare l’efficienza e l’efficacia nel perseguimento della realizzazione e dell’esecuzione a regola d’arte, nei tempi previsti dal progetto e senza alcun ricorso a varianti in corso d’opera, è destinata una somma non superiore al 2 per cento dell’importo posto a base di gara per le attività tecniche svolte dai dipendenti pubblici relativamente alla programmazione della spesa per investimenti, alla predisposizione e controllo delle procedure di bando e di esecuzione dei contratti pubblici, di direzione dei lavori e ai collaudi, con particolare riferimento al profilo dei tempi e dei costi, escludendo l’applicazione degli incentivi alla progettazione”.
Insomma, per evitare le varianti in corso d’opera (che sia detto ulteriormente per inciso il d.lgs 50/2016 non elimina per nulla), la pensata migliore è non incentivare la prestazione fondamentale per scongiurarle: cioè una buona progettazione; il tutto, forse, partendo dall’assunto che se un tecnico è dipendente della PA produce progetti soggetti a varianti come status ontologico del progettare da dipendente della PA; se quelle stesse persone, tuttavia, fossero professionisti esterni, si dovrebbe dare per scontato che nessun progetto sarebbe soggetto a variante. I fatti e la cronaca ci diranno se sarà vero che, una volta esternalizzati tutti i progetti ai professionisti esterni, per ciò solo miracolosamente le varianti spariranno dall’orizzonte.
Torniamo a concentrarci sul dictum non richiesto della Corte dei conti. La quale, come si nota, è ben lieta di schierarsi subito e acriticamente sulla posizione per la quale effettivamente e senza dubbio alcuno l’incentivo per l’attività di progettazione è stato abolito.
In effetti, non vi sarebbe nessun’incertezza, a leggere la legge delega. Né residuerebbero remore, leggendo l’articolo 113, comma 2, del d.lgs 50/2016: “A valere sugli stanziamenti di cui al comma 1 le amministrazioni pubbliche destinano a un apposito fondo risorse finanziarie in misura non superiore al 2 per cento modulate sull'importo dei lavori posti a base di gara per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti pubblici esclusivamente per le attività di programmazione della spesa per investimenti, per la verifica preventiva dei progetti di predisposizione e di controllo delle procedure di bando e di esecuzione dei contratti pubblici, di responsabile unico del procedimento, di direzione dei lavori ovvero direzione dell'esecuzione e di collaudo tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità, di collaudatore statico ove necessario per consentire l'esecuzione del contratto nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto, dei tempi e costi prestabiliti”.
Tale norma considera, quindi, incentivabili le seguenti “funzioni tecniche”:
a)      attività di programmazione della spesa per investimenti,
b)      attività per la verifica preventiva dei progetti,
c)      attività di predisposizione e di controllo delle procedure di bando
d)     attività di predisposizione e di controllo delle procedure di esecuzione dei contratti pubblici,
e)      attività di responsabile unico del procedimento,
f)       attività di direzione dei lavori ovvero direzione dell'esecuzione
g)      attività di collaudo tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità,
h)      attività di collaudatore statico.
Pazienza se le attività di cui alle precedenti lettere a), c) e d) di “tecnico” abbiano oggettivamente poco, nel senso, almeno, di non appartenere alla tecnica progettuale, ma solo a quella amministrativo-contabile.
Se l’articolo 113 si fosse limitato al comma 2, la coerenza con la legge delega sarebbe stata assoluta e la Sezione Autonomie avrebbe affermato l’ovvio.
Indubbiamente, questa è la volontà del legislatore, concorde con le lobby. Tuttavia, non si può e non si deve fare a meno di segnalare che l’esito reale della norma non è affatto questo. Non per difendere a spada tratta l’incentivazione della progettazione (la cui eliminazione, comunque, appare un erroneo paradosso), ma allo scopo di apportare un necessario correttivo, per scongiurare il fiorire dei contenziosi.
Sì, perché l’articolo 113 ha anche un comma 3, il quale, al primo periodo dispone: “l'ottanta per cento delle risorse finanziarie del fondo costituito ai sensi del comma 2 è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, servizio, fornitura con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale, sulla base di apposito regolamento adottato dalle amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti, tra il responsabile unico del procedimento e i soggetti che svolgono le funzioni tecniche indicate al comma 1 nonché tra i loro collaboratori. Gli importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell'amministrazione”.
Ebbene, fosse stato scritto che l’incentivo è da ripartire tra i soggetti che svolgono nel funzioni tecniche indicate al comma 2, non vi sarebbe alcun problema. Il fatto è, però, che si richiamano le funzioni elencate dal comma 1 e che questo sia formulato come segue: “Gli oneri inerenti alla progettazione, alla direzione dei lavori ovvero al direttore dell'esecuzione, alla vigilanza, ai collaudi tecnici e amministrativi ovvero alle verifiche di conformità, al collaudo statico, agli studi e alle ricerche connessi, alla progettazione dei piani di sicurezza e di coordinamento e al coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione quando previsti ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, alle prestazioni professionali e specialistiche necessari per la redazione di un progetto esecutivo completo in ogni dettaglio fanno carico agli stanziamenti previsti per la realizzazione dei singoli lavori negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle stazioni appaltanti”.
Nessuno può negare, sulla base della semplicissima e piana lettura del testo, che l’articolo 113, al comma 1, elenca tra le funzioni tecniche proprio la progettazione. Il rimando, dunque, del comma 3 al comma 1 dell’articolo 113 si risolve nel risultato che sebbene il comma 2, attuando la legge delega, miri ad escludere la progettazione dall’incentivo, in effetti la pessima qualità redazionale delle norme non l’abbia affatto cancellata. Sicchè, questa lineare analisi della norma potrebbe consentire a qualsiasi progettista dipendente della PA a pretendere, almeno nella fase della contrattazione, l’incentivazione, maldestramente non cancellata dall’estensore della norma, per quanto il fine sia chiaro e per quanto da questo punto di vista la legge delegata sia in contrasto con la legge delega.
Poiché le cose stanno così, sarebbe stato lecito aspettarsi che la Sezione Autonomie, nell’affrontare la questione sia pure per inciso, non avesse preso una posizione così netta e radicale, quasi tentata dallo schierarsi con la comunicazione semplice della propaganda, che da mesi ossessiona affermando la grande conquista dell’eliminazione degli incentivi, come strumento per aumentare la qualità dei progetti. Sarà senz’altro vero, per carità. Ma, prima, che la norma elimini davvero gli incentivi.
Non vogliamo credere che la Sezione Autonomie per l’ennesima volta abbia avuto intenzione di intervenire per via interpretativa sull’ordinamento, creando e non fornendo strumenti interpretativi del diritto. Il parere 18/2016, per la verità, contiene un’indicazione decisiva sul ruolo della funzione consultiva della Corte dei conti: “la soluzione delle questioni poste non può che rimanere definita in un ambito di stretto principio, non potendo la Corte in questa sede addentrarsi in aspetti di dettaglio della disciplina, che attengono, come sopra precisato, alla potestà regolamentare riconosciuta in capo agli enti locali. Ciò anche in considerazione di quanto precisato nella delibera n. 3/2014/QMIG in merito al fatto che “ausilio consultivo per quanto possibile deve essere reso senza che esso costituisca un’interferenza con le funzioni requirenti e giurisdizionali e ponendo attenzione ad evitare che di fatto si traduca in un’intrusione nei processi decisionali degli enti territoriali”.
Forse, questo andrebbe tenuto presente più spesso ed estendere la necessaria prudenza anche all’opportunità che l’espressione dei pareri non si traduca in creazione di regole nuove, non contenute e non desumibili dalle leggi.
La conclusione cui giungere, dunque, è un’altra e diverge da quella suggerita dalla Sezione: esiste, nell’attuale testo, un’ambiguità che va necessariamente risolta, modificando l’articolo 113, comma 3, così da renderlo coordinato con la legge delega. Questo in punto di diritto. Nel merito, l’opportunità di eliminare gli incentivi ai progettisti appare totalmente inesistente, ma ovviamente non si può sindacare su un indirizzo politico.
Resta il fatto che, nonostante sia evidente (per quanto non correttamente disposto) l’intento di abolire l’incentivazione per i progettisti interni, resta prioritaria, come nel precedente sistema, l’attività progettuale interna. Lo rivela molto chiaramente l’elencazione dell’articolo 24, comma 1, lettera a), del d.lgs 50/2016, che segue un ordine di priorità appunto, non casuale:. Pertanto le prestazioni relative alla progettazione di fattibilità tecnica ed economica, definitiva ed esecutiva di lavori, nonché alla direzione dei lavori e agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del procedimento e del dirigente competente alla programmazione dei lavori pubblici sono espletate:
a) dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti;
b) dagli uffici consortili di progettazione e di direzione dei lavori che i comuni, i rispettivi consorzi e unioni, le comunità montane, le aziende sanitarie locali, i consorzi, gli enti di industrializzazione e gli enti di bonifica possono costituire;
c) dagli organismi di altre pubbliche amministrazioni di cui le singole stazioni appaltanti possono avvalersi per legge;
d) dai soggetti di cui all'articolo 46, cioè i progettisti privati, nelle loro varie forme di organizzazione.
Dunque, l’eliminazione dell’incentivo non elimina la pretensibilità della prestazione della progettazione interna da parte della PA.
Il dato poco sottolineato, e che probabilmente il giudice contabile avrebbe dovuto evidenziare anche storcendo un po’ il muso, è che nell’articolo 24 del d.lgs 50/2016, simmetrico all’articolo 90 del vecchio d.lgs 163/2006, manca una disposizione simile a quella del comma 6 dell’articolo 90: “le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare la redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, nonché lo svolgimento di attività tecnico-amministrative connesse alla progettazione, ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f), f-bis), g) e h), in caso di carenza in organico di personale tecnico, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrali, così come definiti dal regolamento, che richiedono l'apporto di una pluralità di competenze, casi che devono essere accertati e certificati dal responsabile del procedimento”. Dunque, mentre nel precedente regime normativo era espressamente richiesto che l’affidamento esterno della progettazione fosse motivato e anche molto bene, con la riforma questa richiesta esplicita non c’è più.
Il vero contenuto “rivoluzionario” sta qui, non tanto nell’eliminazione nell’incentivo: nell’aver eliminato un espresso onere di spiegare la ragione per la quale invece di utilizzare e valorizzare competenze interne, ci si rivolge all’esterno.
E’ con questa sapiente cancellazione che si gioca la possibilità di estendere a dismisura gli incarichi esterni: non essendo esplicitato un dovere di motivare il ricorso a soggetti esterni, risulterà più facile rivolgersi al mercato. Un mercato che sta già premendo, per altro, perché l’affidamento diretto sotto la soglia dei 40.000 euro sia considerato “fiduciario”.
Ma, vorremmo sapere dalla Corte dei conti, è proprio così? Cioè, siamo sicuri davvero che avendo eliminato l’obbligo espresso di spiegare le ragioni che inducono a servirsi di progettisti esterni, proprio nessuna sezione regionale di controllo o proprio nessun Tar o proprio nessun pubblico ministero in sede penale possa considerare illegittimo, o fonte di danno erariale se non causa di reato la decisione di affidare gli incarichi all’esterno, pur essendo l’ordine di priorità ancora evidentemente in favore dei progettisti interni?
Ecco, probabilmente i quesiti ai quali rispondere in modo definitivo, anche influendo, eccome, con le funzioni requirenti e giurisdizionali, sarebbero proprio questi, quelli ai quali, di solito, non si risponde mai o mai con una soluzione chiara e definitiva.




1 commento:

  1. E che l'articolo preveda al comma 2 "in misura non superiore al 2 per cento modulate sull'importo dei lavori" (LAVORI, non servizi e forniture) ma al comma 3 [...]l'ottanta per cento delle risorse finanziarie del fondo costituito ai sensi del comma 2 è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, servizio, fornitura (toh i servizi e le forniture!)...

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