Pagine

sabato 4 giugno 2016

Appalti: il conflitto di interesse nega la fiduciarietà


Una delle conseguenze più rilevanti del d.lgs 50/2016 è avere messo definitivamente in luce che nel campo degli appalti (come, del resto, anche in qualsiasi campo di azione della PA), non vi può essere spazio per gli affidamenti “fiduciari”.
La riforma del codice dei contratti dà uno scossone in particolare agli incarichi ancora da molti ritenuti appartenere ad un’area “protetta”, come quelli agli avvocati, o anche a quelli di limitato valore “allo scopo di favorire le imprese locali”.

I principi fissati sia dall’articolo 4, relativo agli appalti esclusi dal campo di applicazione del codice, sia dall’articolo 30, riguardante tutti gli altri appalti, sono estremamente chiari nel negare ogni possibilità di connettere l’affidamento di una prestazione di lavori, servizi o forniture a presunte, ma imperscrutabili e non motivate, capacità di opportunità ed intuito dell’amministrazione aggiudicatrice e, per essa, del dirigente o responsabile di servizio, di individuare quell’unico prestatore capace di realizzare al meglio l’appalto, senza consultare o dimostrare di aver consultato nemmeno un limitatissimo spicchio di mercato.
I principi delle norme citate prima sono i seguenti:
Articolo 4
Articolo 30
  1. economicità,
  2. efficacia,
  3. imparzialità,
  4. parità di trattamento,
  5. trasparenza,
  6. proporzionalità,
  7. pubblicità,
  8. tutela dell'ambiente ed efficienza energetica
  1. economicità,
  2. efficacia,
  3. tempestività,
  4. correttezza,
  5. libera concorrenza,
  6. non discriminazione,
  7. trasparenza,
  8. proporzionalità, nonché di pubblicità con le modalità indicate dal d.lgs 50/2016

I principi, in particolare, di imparzialità e parità di trattamento per i contratti “esclusi” e quelli di correttezza, libera concorrenza e non discriminazione, per gli altri, impediscono di per sé qualsiasi decisione delle stazioni appaltanti di negoziare solo con un operatore economico, in assenza di specifiche motivazioni.
La possibilità di affidare direttamente una prestazione, per “fiducia” nel destinatario, non può essere giustificata da fattori oggettivi, in presenza delle norme citate sopra. L’esclusione del contratto dal campo di applicazione del codice impone, comunque, di rispettare l’imparzialità e la parità di trattamento, che presuppongono l’escussione di una pluralità di soggetti con cui negoziare l’affidamento; il valore contenuto dell’importo in ogni caso, per i contratti inclusi, li attrae nel campo di applicazione dei principi dell’articolo 30 e l’obbligo di motivare l’affidamento diretto esplicitato dall’articolo 36, comma 2, lettera a), per altro solo ripetitivo dell’obbligo generale di motivare qualsiasi provvedimento amministrativo, induce a far emergere in particolare il rispetto dei principi di correttezza, libera concorrenza e non discriminazione, con i quali una consultazione diretta di un solo e unico operatore economico si scontra frontalmente.
Al di là di queste previsioni, ad impedire radicalmente un affidamento diretto privo di una motivazione (che risulti diversa da quelle previste dall’articolo 63 del codice) è anche un’altra norma fondamentale, promanazione diretta della disciplina anticorruzione, la quale, è bene ricordarlo, costituisce una fonte “esterna” ma strettamente collegata alla disciplina degli appalti, visto che si tratta di un’area a forte rischio di corruzione ai sensi dell’articolo 1, comma 16, della legge 190/2012.
Si tratta dell’articolo 42 del codice, ai sensi del quale “Le stazioni appaltanti prevedono misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici”.
Come si nota, la disposizione richiama espressamente alcuni principi enunciati dagli articoli 4 e 30 del codice, riferendosi in particolare alla garanzia della concorrenza e alla parità di trattamento.
La norma è, quindi, chiarissima: di per sé la negazione della concorrenza e della parità di trattamento sono un potenziale rischio di corruzione, legato a conflitto di interessi. Ed è ovvio che la concorrenza e la parità di trattamento si vulnerano quando ci si rivolge ad un solo operatore: infatti, non si apre il mercato e non si consente a nessuno di concorrere col soggetto individuato unilateralmente.
Del resto, è opportuno ricordare che il Piano Nazionale Anticorruzione del 2013 ha considerato come “rischio specifico” di corruzione esattamente gli affidamenti diretti.
E’ noto quali siano le modalità utili per contrastare i rischi di corruzione: la prima e fondamentale è la trasparenza. Essa, però, non consiste soltanto nelle sue componenti più intuitive e, cioè, la disponibilità degli atti e la loro pubblicità (specie se solo successiva). La trasparenza consiste anche nell’agire trasparente, nel dimostrare, cioè, che l’azione della PA non è inquinata da interessi privati.
Ora, è chiaro che laddove un’amministrazione aggiudicatrice vada diretta verso un solo operatore economico, senza minimamente preoccuparsi di verificare se nel mercato ve ne siano altri in grado di rendere la prestazione, il rischio di corruzione e, in particolare, di conflitto di interessi si accentua, se non si è in grado di spiegare la ragione per la quale si adotta tale scelta.
Il problema è che motivare l’affidamento diretto col rapporto di fiducia, significa certificare esattamente la sussistenza del conflitto di interessi. Ai sensi del comma 2 dell’articolo 42 del codice dei contratti, “si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l'obbligo di astensione previste dall'articolo 7[1] del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62”.
Un rapporto fiduciario tra organo dell’amministrazione aggiudicatrice ed operatore economico di per sé configura la presenza di un interesse personale, dovuto a confidenza o altri aspetti esogeni rispetto all’obbligo di consultare il mercato in modo imparziale, sì da generare di per sé il conflitto di interessi.
E’ perfettamente vero che nel privatoè attribuito carattere personale e fiduciario specificamente ai contratti di prestazione d’opera intellettuale. Ma, questa considerazione è ininfluente: il codice dei contratti e la normativa anticorruzione si pongono come disciplina speciale, che deroga alle disposizioni di diritto comune contenute nel codice civile, proprio perché il contraente-PA non è libero di esplicare pienamente l’autonomia di diritto privato, ma deve attenersi a regole procedurali volte a dimostrare che la propria azione è rispettosa esattamente dei fondamentali principi di parità di trattamento e non discriminazione, con i quali la fiducia e l’intuitu personae non possono assolutamente conciliarsi.
L’articolo 42 del codice dei contratti, insieme con le altre previsioni della complessa normativa anticorruzione, dunque, mette in evidenza l’illegittimità della fiducia nel prestatore come motivazione della scelta, perché di per sé la fiducia non risolve, anzi accentua, i rischi di conflitto di interesse e di corruzione retrostanti a qualsiasi affidamento svolto senza aver consultato il mercato e messo nelle condizioni una pluralità, anche contenuta, di operatori di competere ai fini dell’assegnazione.
E’ evidente che solo una negoziazione anche semplice con più di un operatore economico permette di scongiurare il rischio insito nella fiduciarietà e di rendere chiaro perché si affidi all’uno piuttosto che all’altro, in relazione ad elementi come prezzo, tempi della prestazione, modalità attuative della prestazione.
In particolare, per quanto concerne l’affidamento agli avvocati dei servizi legali disciplinati con estrema chiarezza dall’articolo 17 del codice alla stregua di appalti di servizi, sia pure esclusi dal campo del codice, certamente è possibile garantire il rispetto dei principi imposti dall’articolo 4, anche sulla base della richiesta di un preventivo di spesa, quale uno tra i parametri da considerare in una negoziazione.
Occorre ricordare quanto dispone l’articolo 9, comma 4, del d.l. 1/2012, convertito in legge 27/2012: “Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento dell'incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale. In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. Al tirocinante è riconosciuto un rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio”.
Tale disposizione, richiamata dall’articolo 1, comma 6, del DM 20 luglio 2012 n. 140 “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27” impone necessariamente alla PA di chiedere il preventivo di spesa, per altro non limitandosi alla sua indicazione “di massima”, ma il più dettagliato possibile.
Se, infatti, gli avvocati sono obbligati ad esporre il preventivo, a maggior ragione la PA deve considerare questo elemento tra quelli alla base della motivazione che la conduce alla scelta di questo o quel professionista. Lo stesso vale, evidentemente, per qualsiasi genere di incarico legato a prestazioni di servizi intellettuali, considerati come appalti.
La fiducia, dunque, non può travalicare le regole di prudenza ai fini anticorruzione, né rendere indifferente l’elemento della spesa per prestazioni di servizi, come quelli legali, per i quali si è inveterata l’abitudine di considerarlo come ininfluente.
Tutti gli appalti, alla luce dei principi posti dagli articoli 4 e 30 del codice dei contratti, nonché delle disposizioni dell’articolo 42, debbono essere gestiti in modo da evidenziare elementi oggettivi, tali da connotare la motivazione dell’affidamento anche diretto di contenuti misurabili e valutabili. La fiducia, oltre ad evidenziare un possibile conflitto di interessi, di per sé non è commensurabile e, quindi, non è sufficiente a costruire la motivazione razionale imposta dal codice.






[1] Se ne riporta il testo:
Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”.

2 commenti:

  1. Nella posizione dell'ANAC e in molte altre si considerano sostanzialmente nello stesso modo e con le medesime procedure burocratiche, che più sono formalmente complesse più sono suscetttibili di influenze esterne corruttive o comunque distorsive, incarichi che vanno dai 50 (cinquanta) euro ai 40000 euro. Mi sembri che nell'Italia degli anticorruzionistti per professione (perchè anticorruzionisti dilettanti e, fino a prova contraria, onesti, siamo tutti) si sia dimenticato per strada il principio di ragionevolezza. Per un affidamento di 100 euro, seguendo tutta la trafila burocratica prevista, si impiegano circa 4 ore di 2 dipendenti e approssimando e in cifra tonda, circa 110 euro. Forse si saranno risparmiati 10 o 15 centesimi di euro nell'affidamento considerato a se stante, ma se venisse un alieno ci prenderebbe tutti per pazzi. Anche perchè tutto questo si traduce in una sempre maggiore dequalificazione dei pubblici dipendenti.

    RispondiElimina
  2. Si deve aggiungere, anche, il principio di ROTAZIONE (art.36) - Comunque è preciso dovere del funzionario pubblico rispettare la legge e se la legge dice di rispettare gli 8+8+1 principi bisogna che il Funzionario metta in atto quello che occorre fare per rispettarli anche se occorrono 4 ore, 2 dipendenti, etc - Se alla politica questo non sta bene deve avere il coraggio di firmare direttamente i provvedimenti che ora firmano i funzionari.

    RispondiElimina