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mercoledì 29 giugno 2016

Incarico al capo di gabinetto del sindaco del comune di Roma. Le pessime abitudini non cambiano mai.

Se le norme non sono scritte in maniera chiara, sebbene chiarissimo sia il loro spirito, gli organi di governo, di qualsiasi colore politico siano, non si sottraggono mai alla possibilità di "interpretarle per gli amici" e quindi volgerle al proprio utile.
E' esattamente quanto avvenuto al comune di Roma, ove è stato incaricato (o si intende formalizzare un incarico già deciso) come capo di gabinetto del sindaco un consigliere comunale uscente.
Il problema di tale incarico è posto dall'articolo 7, comma 2, del d.lgs 39/2013, in materia di inconferibilità ed incompatibilità ai fini di incarichi pubblici. La disposizione citata prevede quanto segue:
"A coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l'incarico, ovvero a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico, nonché a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti:
a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione; 
b) gli incarichi dirigenziali nelle medesime amministrazioni di cui alla lettera a)
c) gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale; 
d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione".
La norma non pare ammettere dubbio alcuno. Ma, invece, il neo sindaco di Roma afferma che tutto è a posto e che sono stati chiesti (a chi?) i necessari pareri e che non si vìola alcuna norma, perchè il capo di gabinetto non è un dirigente, ma un soggetto incaricato in via fiduciaria direttamente dal sindaco, per lo svolgimento delle sue funzioni.
Cosa stia a fare un capo di gabinetto in un comune, nel quale operano a supporto del sindaco già gli assessori, il segretario generale, il direttore generale e tutto l'apparato amministrativo non sarà mai nè chiaro, nè giustificabile. Ma, in ogni caso, basta guardare l'organizzazione del comune di Roma, per comprendere che l'incarico di capo di gabinetto è dirigenziale: questa è la qualifica che gli si dà.
Per evitare incompatibilità, comunque, informano i giornali che il sindaco Raggi non intende assegnare al capo di gabinetto incaricato o in pectore non avrà poteri di spesa o di firma su atti aventi rilevanza esterna.
La cosa induce a ritenere che l'incarico sarà fondato sull'articolo 90 del d.lgs 263/2000. Il cui comma 3-bis dispone: "Resta fermo il divieto di effettuazione di attività gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale".
Allora, il divieto di svolgere le funzioni proprie della dirigenza non è una concessione del sindaco, ma semplicemente il rispetto di un'imposizione di legge. La quale, per altro, ammette il trattamento economico parametrato ai dirigenti anche per persone che non dispongano del titolo di studio necessario ad assumere tale qualifica, cioè la laurea, pur senza che gli incaricarti ex articolo 90 svolgano funzioni (con correlate responsabilità) dirigenziali. Qualcosa al limite dell'assurdo, che il legislatore ha introdotto per sanare l'abitudine estesissima dei sindaci (e non solo) di incaricare persone "di fiducia", ma senza laurea.
Sta di fatto che fondare l'incarico sull'articolo 90 del Tuel è la sottigliezza alla quale si vuole ricorrere per affermare che l'incarico di capo di gabinetto non è di livello dirigenziale, ma qualcosa d'altro.
Purtroppo, siamo un Paese abituato a cercare sempre le sfumature tra il bianco ed il nero. Ma il fatto è che se il gabinetto del sindaco, ed a Roma così è, è composto da una serie di dirigenti, anche a tempo determinato, il vertice ha la qualifica dirigenziale. Il fatto che sia individuato attraverso un meccanismo fiduciario, ai fini del d.lgs 39/2013 non conta assolutamente nulla.
Semmai, la verità è che si vuole affermare la sottrazione alle regole sull'autonomia dalla politica, imposte per lo svolgimento di funzioni dirigenziali che dovrebbero essere al solo servizio della Nazione come dispone l'articolo 98 della Costituzione, gli incarichi nei gabinetti politici.
Questo potrebbe anche essere giusto. Occorrerebbe, allora, un po' meno ipocrisia e qualificare figure come capo di gabinetto, porta voce, addetto stampa, addetto alla comunicazione e similari altre, come figure  espressamente soggette a spoil system, proprio perchè politiche e non tecniche, disponendo una regolazione specifica per esse. Così da differenziare la dirigenza "politica", da quella tecnico-amministrativa, che andrebbe sottratta alle logiche fiduciarie.
Simile scelta di coerenza e trasparenza significherebbe, però, scoperchiare ancora di più la dannosità estrema della riforma Madia, che vuole politicizzare anche i dirigenti di ruolo.
Un'altra ipocrisia andrebbe risolta. Posto che un sindaco può a giusta ragione pretendere di circondarsi di persone di assoluta fiducia per le attività strettamente connesse al suo ruolo e posto che, allora, questi soggetti non vadano qualificati e definiti come dirigenti pubblici, allora si pone una domanda: perchè dovrebbe essere il comune, o la provincia o la regione, ad accollarsi la spesa per gli stipendi di queste figure? Che ci pensi il politico, utilizzando parte della propria indennità o fondi del partito. Altrimenti, il sindaco, come rilevato sopra, può benissimo avvalersi della collaborazione della giunta, che ha esattamente questo compito e ruolo (per chi non lo sapesse, basta leggere con attenzione l'articolo 48 del d.lgs 267/2000). Ma, se un sindaco non ha "fiducia" negli assessori che egli stesso incarica, nè ritiene opportuno il supporto di coloro che già dipendono dal comune, che incarichi dall'esterno chi richiede (sempre entro un novero ristretto di funzioni non gestionali). Ma non a carico dei cittadini. Ovviamente, a queste semplicissime conclusioni non si arriverà mai e le abitudini, pessime, non saranno sradicate.

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