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domenica 26 giugno 2016

Utilizzo del personale nei piccoli comuni: clamorosi errori della Sezione Autonomie



La Sezione Autonomie della Corte dei conti continua a stupire per la quantità e qualità delle interpretazioni forzate ed erronee che produce negli ultimi tempi.
Non c’è stato nemmeno il tempo per il legislatore per rimediare alle tesi oggettivamente insostenibili della Sezione relative all’obbligo di ridurre di anno in anno il rapporto della spesa di personale rispetto a quella corrente col decreto enti locali (il d.l. 113/2016; ma meglio sarebbe stata una norma di interpretazione autentica per rimarcare l’erroneità delle chiavi di lettura della magistratura contabile) che la Sezione si è prodotta in una nuova erronea lettura delle norme, riguardante l’articolo 1, comma 557, della legge 311/2004.

Secondo la Sezione Autonomie, pronunziatasi con la deliberazione 20 giugno 2016, n. 23 in sostanza, rientrano nei vincoli alla spesa del personale flessibile gli incarichi che i comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti conferiscono a dipendenti di enti di maggiori dimensioni, se la prestazione lavorativa vada oltre le 36 ore. Non rientrano, invece, in questi vincoli incarichi volti a condividere la prestazione lavorativa sulla base di convenzioni o se si attiva un comando.
La delibera è finalizzata a chiare se la possibilità offerta dall’articolo 1, comma 557, della legge 311/20014 ai piccoli comuni di avvalersi delle prestazioni lavorative di dipendenti di comuni più grandi, possa fuoriuscire dai limiti alla spesa di personale flessibile, posti dall’articolo 9, comma 28, del d.l 78/2010, convertito in legge 122/2010. Ma, la soluzione proposta dalla Sezione è da considerare erronea, perchè confonde la previsione peculiare dell’articolo 1, comma 557, della legge 311/2004 con altri istituti giuridici, che nulla hanno a che fare con essa.
Utilizzo senza convenzione. Secondo la Sezione, un primo schema di utilizzo dell’articolo 1, comma 557, è quello secondo il quale l’ente di piccole dimensioni costituisce col dipendente dell’altro ente un rapporto di lavoro ulteriore e diverso, consentito dalla deroga all’esclusività che, secondo la giurisprudenza amministrativa, pone la norma.
In questo caso, allora, il dipendente aggiunge al rapporto di lavoro “principale” con l’ente di maggiori dimensioni, un ulteriore lavoro a tempo parziale (che non potrà superare le 12 ore settimanali) con l’ente di piccole dimensioni.
In questo caso, secondo la Corte dei conti “la prestazione aggiuntiva andrà ad inquadrarsi necessariamente all’interno di un nuovo rapporto di lavoro autonomo o subordinato a tempo parziale, i cui oneri dovranno essere computati ai fini del rispetto dei limiti di spesa imposti dall’art. 9, comma 28, per la quota di costo aggiuntivo”.
Questo è, a ben vedere, lo schema esclusivo di operatività dell’articolo 1, comma 557. Ed è doveroso affermare l’erroneità dell’interpretazione secondo la quale il piccolo comune può costituire col lavoratore interessato, oltre ad un rapporto di lavoro subordinato, anche un rapporto di lavoro autonomo: in questo secondo caso, infatti, l’interessato non può entrare nei ruoli dell’ente e, quindi, acquisire il rapporto organico che consente di svolgere le funzioni operative necessarie al comune.
Utilizzo con convenzione. La delibera afferma che non si applicano i vincoli al lavoro flessibile, laddove il piccolo comune utilizzi il lavoratore nell’ambito di convenzioni che regolino l’utilizzo reciproco e condiviso del dipendente con l’ente di maggiori dimensioni.
Per meglio dire, l’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010 non è operante se il lavoratore svolge la propria prestazione lavorativa di 36 ore in parte per il comune di maggiori dimensioni che rimane titolare del rapporto di lavoro, e nella parte residua (sempre all’interno delle 36 ore) in favore del piccolo comune richiedente.
Ma, in questo modo la Sezione autonomie confonde la previsione dell’articolo 1, comma 557, della legge 311/2004 con quanto stabilisce l’articolo 14 del Ccnl 22.1.2004, la norma che regola appunto l’utilizzo “a scavalco” dei dipendenti e che, per altro, lo consente tra tutti gli enti locali e non solo per i comuni di piccole dimensioni. Sostanzialmente, questa seconda ipotesi presa in considerazione dalla delibera non ha alcun pregio e rilievo operativo.
Comando. In terzo luogo, la Sezione autonomie ritiene che si possa dare attuazione all’articolo 1, comma 557, della legge 311/2004, mediante l’istituto del comando. In questo caso i vincoli alla spesa di personale flessibile non si applicherebbero, ma solo a condizione che l’ente di maggiori dimensioni che comanda il proprio dipendente non utilizzi le economie di spesa di personale conseguenti per attivare nuove assunzioni.
Ma, anche in questo caso l’ipotesi della Sezione autonomie non regge. Col comando, il dipendente interessato materialmente non esegue integralmente più la propria prestazione a beneficio dell’ente comandante, ma solo a vantaggio dell’ente destinatario. Non è quello, però, che prevede l’articolo 1, comma 557, ai sensi del quale i piccoli enti “possono servirsi dell'attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni locali purché autorizzati dall'amministrazione di appartenenza”. Poiché la legge parla di “autorizzazione” è evidente che non può attuarsi la norma col comando, che non richiede affatto l’autorizzazione, ma, al contrario è un provvedimento unilaterale rivolto al dipendente.
L’interpretazione della Sezione Autonomie è l’ennesima che mette in difficoltà le amministrazioni, nel tentativo di fondare diritto nuovo, invece di sviscerare sul piano tecnico le condizioni di applicabilità del diritto come scritto nelle norme.
La Sezione prosegue nell’andare sempre più oltre la funzione di controllo “collaborativo”, finendo per svolgere invece un’impropria attività di sollecitazione al legislatore di continuare a precisare contenuti di norme che vengono resi complessi, quando non del tutto travisati, da un’indulgenza verso il “diritto creativo” della magistratura contabile (per altro, sempre più spaccata al suo interno, visti continui contrasti tra le sezioni regionali), che non è di aiuto alcuno verso la corretta lineare gestione; al contrario, costituisce un elemento di complicazione estrema, sul quale il legislatore farebbe bene a riflettere, per verificare se sia ancora il caso di tenere in piedi un sistema di “pareristica” che, pur non essendo vincolante, condiziona fin troppo l’operato negli enti locali, anche quando il contenuto dei pareri si riveli manifestamente non condivisibile, come nel caso di specie.


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