La Sezione Autonomie della Corte
dei conti continua a stupire per la quantità e qualità delle interpretazioni
forzate ed erronee che produce negli ultimi tempi.
Non c’è stato nemmeno il tempo
per il legislatore per rimediare alle tesi oggettivamente insostenibili della
Sezione relative all’obbligo di ridurre di anno in anno il rapporto della spesa
di personale rispetto a quella corrente col decreto enti locali (il d.l.
113/2016; ma meglio sarebbe stata una norma di interpretazione autentica per
rimarcare l’erroneità delle chiavi di lettura della magistratura contabile) che
la Sezione si è prodotta in una nuova erronea lettura delle norme, riguardante
l’articolo 1, comma 557, della legge 311/2004.
Secondo la Sezione Autonomie,
pronunziatasi con la deliberazione 20 giugno 2016 , n. 23 in sostanza, rientrano
nei vincoli alla spesa del personale flessibile gli incarichi che i comuni con
popolazione inferiore ai 5000 abitanti conferiscono a dipendenti di enti di
maggiori dimensioni, se la prestazione lavorativa vada oltre le 36 ore. Non
rientrano, invece, in questi vincoli incarichi volti a condividere la
prestazione lavorativa sulla base di convenzioni o se si attiva un comando.
La delibera è finalizzata a
chiare se la possibilità offerta dall’articolo 1, comma 557, della legge
311/20014 ai piccoli comuni di avvalersi delle prestazioni lavorative di
dipendenti di comuni più grandi, possa fuoriuscire dai limiti alla spesa di
personale flessibile, posti dall’articolo 9, comma 28, del d.l 78/2010,
convertito in legge 122/2010. Ma, la soluzione proposta dalla Sezione è da
considerare erronea, perchè confonde la previsione peculiare dell’articolo 1,
comma 557, della legge 311/2004 con altri istituti giuridici, che nulla hanno a
che fare con essa.
Utilizzo senza convenzione. Secondo la Sezione, un primo schema di utilizzo dell’articolo 1, comma
557, è quello secondo il quale l’ente di piccole dimensioni costituisce col
dipendente dell’altro ente un rapporto di lavoro ulteriore e diverso,
consentito dalla deroga all’esclusività che, secondo la giurisprudenza
amministrativa, pone la norma.
In questo caso, allora, il
dipendente aggiunge al rapporto di lavoro “principale” con l’ente di maggiori
dimensioni, un ulteriore lavoro a tempo parziale (che non potrà superare le 12
ore settimanali) con l’ente di piccole dimensioni.
In questo caso, secondo la Corte dei conti “la prestazione aggiuntiva andrà ad inquadrarsi
necessariamente all’interno di un nuovo rapporto di lavoro autonomo o
subordinato a tempo parziale, i cui oneri dovranno essere computati ai fini del
rispetto dei limiti di spesa imposti dall’art. 9, comma 28, per la quota di
costo aggiuntivo”.
Questo è, a ben vedere, lo schema
esclusivo di operatività dell’articolo 1, comma 557. Ed è doveroso affermare
l’erroneità dell’interpretazione secondo la quale il piccolo comune può
costituire col lavoratore interessato, oltre ad un rapporto di lavoro subordinato,
anche un rapporto di lavoro autonomo: in questo secondo caso, infatti,
l’interessato non può entrare nei ruoli dell’ente e, quindi, acquisire il
rapporto organico che consente di svolgere le funzioni operative necessarie al
comune.
Utilizzo con convenzione. La delibera afferma che non si applicano i vincoli al lavoro
flessibile, laddove il piccolo comune utilizzi il lavoratore nell’ambito di
convenzioni che regolino l’utilizzo reciproco e condiviso del dipendente con
l’ente di maggiori dimensioni.
Per meglio dire, l’articolo 9,
comma 28, del d.l. 78/2010 non è operante se il lavoratore svolge la propria
prestazione lavorativa di 36 ore in parte per il comune di maggiori dimensioni
che rimane titolare del rapporto di lavoro, e nella parte residua (sempre
all’interno delle 36 ore) in favore del piccolo comune richiedente.
Ma, in questo modo la Sezione autonomie confonde
la previsione dell’articolo 1, comma 557, della legge 311/2004 con quanto
stabilisce l’articolo 14 del Ccnl 22.1.2004 , la norma che regola appunto
l’utilizzo “a scavalco” dei dipendenti e che, per altro, lo consente tra tutti
gli enti locali e non solo per i comuni di piccole dimensioni. Sostanzialmente,
questa seconda ipotesi presa in considerazione dalla delibera non ha alcun
pregio e rilievo operativo.
Comando. In terzo
luogo, la Sezione
autonomie ritiene che si possa dare attuazione all’articolo 1, comma 557, della
legge 311/2004, mediante l’istituto del comando. In questo caso i vincoli alla
spesa di personale flessibile non si applicherebbero, ma solo a condizione che
l’ente di maggiori dimensioni che comanda il proprio dipendente non utilizzi le
economie di spesa di personale conseguenti per attivare nuove assunzioni.
Ma, anche in questo caso
l’ipotesi della Sezione autonomie non regge. Col comando, il dipendente
interessato materialmente non esegue integralmente più la propria prestazione a
beneficio dell’ente comandante, ma solo a vantaggio dell’ente destinatario. Non
è quello, però, che prevede l’articolo 1, comma 557, ai sensi del quale i
piccoli enti “possono servirsi
dell'attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni
locali purché autorizzati dall'amministrazione di appartenenza”. Poiché la
legge parla di “autorizzazione” è evidente che non può attuarsi la norma col
comando, che non richiede affatto l’autorizzazione, ma, al contrario è un
provvedimento unilaterale rivolto al dipendente.
L’interpretazione della Sezione
Autonomie è l’ennesima che mette in difficoltà le amministrazioni, nel
tentativo di fondare diritto nuovo, invece di sviscerare sul piano tecnico le
condizioni di applicabilità del diritto come scritto nelle norme.
La Sezione prosegue nell’andare
sempre più oltre la funzione di controllo “collaborativo”, finendo per svolgere
invece un’impropria attività di sollecitazione al legislatore di continuare a
precisare contenuti di norme che vengono resi complessi, quando non del tutto
travisati, da un’indulgenza verso il “diritto creativo” della magistratura
contabile (per altro, sempre più spaccata al suo interno, visti continui
contrasti tra le sezioni regionali), che non è di aiuto alcuno verso la
corretta lineare gestione; al contrario, costituisce un elemento di
complicazione estrema, sul quale il legislatore farebbe bene a riflettere, per
verificare se sia ancora il caso di tenere in piedi un sistema di “pareristica”
che, pur non essendo vincolante, condiziona fin troppo l’operato negli enti
locali, anche quando il contenuto dei pareri si riveli manifestamente non
condivisibile, come nel caso di specie.
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