Su Il Messaggero del 24 luglio 2017 interviene Cesare Mirabelli con
un commento (titolo: “Un errore cambiare il reato di mafia”)
molto pacato e riflessivo relativo alla sentenza di condanna per i
reati connessi a “Mafia Capitale”, che esclude, tuttavia,
l’esistenza di un’associazione di stampo mafioso.
Se la nota del celeberrimo giurista appare estremamente utile a
riportare il dibattito relativo alla sentenza sui giusti binari, le
considerazioni finali ivi contenute relative al sistema per
combattere il devastante fenomeno della corruzione negli appalti
comprovano lo stato confusionale nel quale ci si ritrova, sempre ai
confini tra soluzioni immaginifiche e fiera dell’ovvio, che poi
partoriscono topolini o, peggio, sistemi ancor più esposti alla
corruzione.
Mirabelli riflette: “La corruzione va repressa e perseguita
penalmente, scoprendo e sanzionando i reati che vengono commessi. Ma
va anzitutto prevenuta eliminando gli elementi che costituiscono
terreno di coltura della corruzione. Conoscere la patologia per
passare alla profilassi, diffondendo vaccini anticorruttivi ed
eliminando i fattori di rischio nei quali la corruzione si annida e
può allignare”. E queste considerazioni non possono che essere
sottoscritte da chiunque. Il problema è cercare di capire come agire
per cogliere l’obiettivo.
L’editoriale spiega, per un verso, cosa è opportuno evitare:
“Recenti esperienze mostrano che l'attività corruttiva trova
buon terreno quando gli appalti per le forniture di beni o servizi
seguono procedure previste come eccezionali e in situazioni di reale
o costruita urgenza; come pure quando le forniture di servizi vengono
aggregate in appalti di straordinario rilievo economico,
con requisiti che riducono a pochi e prevedibili concorrenti la
idoneità a concorre”.
Sebbene il giurista non lo scriva esplicitamente, i riferimenti sono
chiari: ad appalti come quelli per la ricostruzione post-sisma o Mose
o Expo, da un lato; e, soprattutto, agli appalti gestiti dai soggetti
“aggregatori”, come la Consip, rivelatisi esattamente l’opposto
di quella garanzia di efficienza, risparmio e prevenzione della
corruzione che erano stati sbandierati, prima di tutti dall’ex
commissario alla spdending review
Carlo Cottarelli, come obiettivi della riduzione delle stazioni
appaltanti “da 35.000 a 35”. Un’utopia impossibile, un
risultato irraggiungibile, come dimostrano i fatti: i prezzi ottenuti
dai soggetti aggregatori o dalle centrali di committenza non sono per
nulla inferiori a quelli a acquisibili in singoli appalti da singole
stazioni appaltanti,
né le procedure di gara si rivelano più rapide o efficienti e, meno
ancora, al riparo da vastissimi e gravissimi fenomeni corruttivi.
L’osservazione del Mirabelli è
importante: per la prima volta un giurista, sia pure in modo molto
morbido, in un editoriale pubblicato in un giornale muove una critica
nei confronti della grande illusione della lotta alla corruzione
mediante l’aggregazione dei soggetti appaltanti, un peso che grava
come un macigno sul codice dei contratti e che contribuisce a
renderlo inefficiente e complicato quale in effetti è. La speranza è
che l’epifania di Mirabelli contribuisca a svegliare altri esperti
del settore, per convincerli dell’opportunità di un profondo
ripensamento.
Già, ma cosa propone il Mirabelli
per rimediare alle evidenti falle del sistema? Il giurista afferma:
“Trasparenza e semplificazione delle procedure, effettiva
apertura alla concorrenza, pubblicità e accesso diffuso alla
conoscibilità in rete degli atti, identificabilità dei responsabili
di ciascuna fase del procedimento, tempi brevi per ogni passaggio ed
eliminazione di tutti quelli non necessari. Operare m questa
direzione richiede una impegnativa analisi e ingegnerizzazione dei
singoli processi, avvalendosi non solamente di competenze giuridiche,
necessarie ma non adeguate o sufficienti, portate piuttosto a dettare
regole e talvolta ad introdurre ulteriori appesantimenti, e non
piuttosto orientate ad organizzare processi”.
Anche questi, si consenta, però sono solo slogan. Che lo stesso
codice dei contratti afferma come principi normativi caratterizzanti
il proprio sistema di disciplina degli appalti.
Di “trasparenza” ve n’è fin troppa, con la quantità enorme,
eccessiva, pervasiva, di adempimenti minuti di pubblicità di atti,
che distraggono i responsabili dalla gestione delle procedure, per
trasformarli in publisher di
internet compulsivi. L’effettiva apertura alla concorrenza è
predicata dal codice, ma smentita da contorte norme per gli appalti
sotto soglia, che consentono, mentre al contempo negano, affidamenti
diretti o limitati ad una quantità di aziende scelte
dall’amministrazione appaltante.
L’identificabilità dei responsabili del procedimento esiste dal
1994; il problema è che questi responsabili sono gravati di troppi
adempimenti burocratici e debbono subire il diktat di non potere in
teoria effettuare alcun atto di gestione della gara e, quindi, non
partecipare alle commissioni di gara, anche se, incredibilmente, sono
considerati dall’Anac i titolari della verifica dell’anomalia
delle offerte.
I tempi brevi per ogni passaggio e l’eliminazione dei passaggi non
necessari sono il sogno di qualsiasi amministrazione appaltante e di
ogni responsabile: ma la giusta e necessaria attenzione alla lotta
alla corruzione ha esasperato il sistema, imponendo, invece, una
quantità immensa di passaggi procedurali che costituiscono
un’insidia costante alla legittimità e, in definitiva,
all’efficacia del sistema.
Per uscire dagli slogan bisogna abbracciare soluzioni che cambino
rotta e direzione. Si vogliono procedure più snelle e la
reingegnerizzazione dei processi (sperando che siano coinvolti
proprio i giuristi e non altri, in una materia che richiede
competenze eminentemente giuridiche)? Allora, si costruisca una
piattaforma informatica univoca, sulla quale gestire
obbligatoriamente le procedure, così da guidare senza possibilità
di scantonamenti l’attività delle amministrazioni ed ottenere in
tempo reale la massima trasparenza. Si vuole combattere la
corruzione? Ogni atto decisorio deve essere sottoposto ad un
controllo preventivo di legittimità di un soggetto terzo e neutrale.
Finchè non ci si decida ad adottare queste soluzioni, ogni dibattito
rimarrà sterile ed ogni altra norma-slogan servirà solo ad aprire
altre falle nel sistema.
"...si costruisca una piattaforma informatica univoca, sulla quale gestire obbligatoriamente le procedure, così da guidare senza possibilità di scantonamenti l’attività delle amministrazioni ed ottenere in tempo reale la massima trasparenza."
RispondiEliminaParole sante.
Il controllo preventivo su "ogni atto decisorio" lo vedo più problematico.
Ogni atto , cioè l'equivalente di ogni Smart CIG ?
L'equivalente -anche in minimo importo- di ogni spesa economale ?
Abrogare affidamenti diretti e negoziati! Unico sistema ammesso deve essere quello edll'asta pubblica
RispondiEliminaProgetti in cui chi deve poter progettare, avendone la qualificata competenza, deve indicare anche il ribasso massimo possibile per gli affidamenti in maniera che la stazione appaltante nell'approvare gli atti già stabilisce il ribasso possibile. La scelta del contraente, nelle varie modalità previste dal codice (quant'anche da rivedere)solo ed esclusivamente tramite SORTEGGIO pubblico. Fine della Corruzione!
RispondiEliminaPer come sono ora le gare, il sorteggio sarebbe la soluzione più equa. Strano, anzi da pazzi, ma vero.
RispondiEliminaVedo che il titolo si addice anche ai commenti ... povera italia
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