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sabato 29 luglio 2017

Dirigenti a contratto, staff e portavoce: meglio dire che si tratta di finanziamento pubblico ai partiti


Il sindaco neo eletto del comune di Padova ha assunto un portavoce con uno stipendio di livello dirigenziale, di circa 82.500 euro.
La notizia vera, tuttavia, non è questo lecito utilizzo di una figura, quella del portavoce, ammessa dalla legge, ma un’altra e la fornisce il Corriere di Verona del 29 luglio 2017, nell’articolo “Pd, bufera sull`ex segretario portavoce del sindaco a cinquemila euro al mese”.

L’articolo riporta gli elementi di rilievo dell’assunzione fatta dal primo cittadino di Padova, che riguarda l’ex segretario provinciale del Pd padovano. La domanda è: quali sono i meriti e le specifiche professionalità in base alle quali l’ex segretario del partito che esprime il nuovo sindaco di Padova?
Risponde l’articolo, sintetizzando il curriculum del portavoce del sindaco: “diplomato al liceo scientifico Tito Lucrezio Caro di Cittadella, responsabile regionale delle politiche giovanili della Cgil dal 2008 al 2010, consigliere del Pd in Comune a Padova nella scorsa legislatura e segretario provinciale dem dal 2013 fino a due settimane fa”. Non molto, sembra: di laurea, pure necessaria per incarichi dirigenziali (ma non per quelli in staff agli organi di governo, grazie ad una delle riforme del precedente Governo) non c’è traccia, mentre non si evince nemmeno un’esperienza professionale come giornalista o nel campo della comunicazione.
Il fatto è che i veri meriti del destinatario dell’assunzione come portavoce l’articolo li evidenzia poco dopo: “è stato uno dei principali artefici non solo della caduta anticipata (tramite sfiducia davanti a un notaio) dell'ex primo cittadino leghista Massimo Bitonci, ma pure della candidatura a sindaco di Giordani, già presidente dell’lnterporto. Ed era quindi scontato che, nel suo staff, il neo inquilino numero uno di Palazzo Moroni trovasse spazio per chi, forse più di ogni altro, gli era stato a fianco prima e durante una campagna elettorale lunga e faticosa”.
Bene, apprendiamo che il “merito” è soltanto e solo di carattere politico. E non è che vi fossero soverchi dubbi.
Allora, la questione che si pone, piuttosto, è un’altra. E’ evidente che l’agone politico implica alleanze, amicizie, schieramenti e fedeltà varie. Altrettanto noto è che non tutti i componenti degli organici dei partiti possono accedere a cariche politiche, il cui numero, per quanto molto elevato, risulta in ogni caso ristretto. Non tutti possono divenire ministri, assessori, consiglieri eccetera. Allo stesso modo, anche gli incarichi nei vertici delle società pubbliche sono limitati, anche se numerosissimi.
La legge, allora, prudenzialmente, mette a disposizione degli organi di governo numerose altre possibilità di cooptare uomini di partito, senza troppi fastidi di concorsi pubblici o prove selettive. La legge 150/2000, ad esempio, consente di assumere appunto addetti stampa o portavoce. Ed, in effetti, come portavoce può essere incaricato chiunque, a prescindere da qualificazione professionale ed esperienza.
Negli enti locali, poi, l’articolo 110 del d.lgs 267/2000 consente di attivare gli incarichi dirigenziali “a contratto”: ottimo ed utilizzatissimo sistema per cooptare come dirigenti esponenti di partito utili ad incidere il principio che vorrebbe la separazione della politica dalla gestione; fa il paio l’articolo 108, che consente di incaricare direttori generali, molto spesso null’altro che assessori aggiunti, altrettanto spesso lanciati dalla posizione di “city manager” verso incarichi politici più alti (si veda il caso dell’attuale sindaco di Milano). Infine, sempre il d.lgs 267/2000 offre la possibilità di dare incarichi non meglio specificabili di “staff” agli organi di governo, consentendo trattamenti retributivi dirigenziali anche a chi disponga della sola licenza media.
E’ noto che queste norme spesso portano verso abusi o scelte, comunque, discutibili (la scorsa estate a Roma scoppiarono i casi degli incarichi come capo di gabinetto, vice capo di gabinetto, capo della segreteria e capo del personale).
Il tutto anche perché il legislatore ammanta questi incarichi in presupposti di “elevata professionalità”, sempre “non riscontrabile negli organici” o di capacità di gestire “con efficienza ed efficacia”.
Sarebbe molto più chiaro ed onesto dire le cose come stanno: si tratta di opportunità di assegnare veri e propri incarichi politici ad esponenti di partito, iscritti o meno, per compensare sforzi fatti in campagna elettorale o comunque per costituire staff politici di supporto ai vertici. Veri e propri finanziamenti ai partiti, che possono, così, mettere a carico delle finanze pubbliche gli emolumenti dei propri quadri.

Almeno si uscirebbe da ogni equivoco e si darebbe ai cittadini elettori modo di capire davvero come si utilizza la spesa pubblica e le modalità dell’esercizio del potere, in modo trasparente.

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